A chi scrive le canzoni arrivano solo le briciole, denunciano alcuni autori sentiti dal Parlamento britannico.
Nile Rodgers: «Le etichette hanno deciso unilateralmente che uno streaming è considerato una vendita perché massimizza i loro profitti».
LONDRA - Fino a pochi anni fa, la musica in streaming era vista come una minaccia dalle case discografiche, ma nel frattempo è diventata una delle loro principali fonti di guadagno. Guadagno che, però, non arriva a chi quella musica la scrive. Come denunciato da diversi compositori recentemente sentiti dal Parlamento britannico, infatti, agli autori incasserebbero cifre ridicole dallo streaming.
«I compositori più di successo al mondo non riescono a pagare l'affitto», ha dichiarato a una commissione d'inchiesta di Westminster Fiona Bevan, autrice di canzoni per gli One Direction, Kylie Minogue, gli Steps e Lewis Capaldi. «In questo preciso momento, ci sono compositori di punta che fanno gli autisti per Uber. È piuttosto vergognoso», ha aggiunto come riporta la BBC.
Dello stesso avviso anche il chitarrista e compositore Nile Rodergs. Dopo aver guardato per la prima volta nel dettaglio gli introiti dello streaming dei pezzi da lui scritti perché rimasto senza i buoni incassi dei tour causa Covid-19, il 68enne si è detto «completamente scioccato» per le cifre corrisposte.
«Non sappiamo nemmeno quanto valga uno streaming - ha lamentato -. Non c'è modo di scoprirlo». Gli accordi di confidenzialità siglati tra le etichette discografiche e le piattaforme, infatti, prevedono spesso che queste informazioni non siano rivelate.
Fiona Bevan ha fatto sapere di aver ricevuto solo 100 sterline (ca. 119 franchi) per essere stata co-autrice di una canzone dell'album di maggior successo di Kylie Minogue, "Disco". Rodergs ha denunciato dal canto suo come le case discografiche intaschino fino all'82% dei compensi ricevuti dalle piattaforme di streaming e non lascino che quello che resta agli artisti: «È semplicemente ridicolo», ha affermato.
Secondo lui, il problema principale è che ogni ascolto è calcolato come una vendita da Spotify, Apple Music & co., una interpretazione che garantisce alle etichette la maggior parte dei guadagni. Più giusto, a suo avviso, sarebbe considerarlo invece come un passaggio in radio o una licenza dell'originale, soluzione che farebbe arrivare agli artisti circa il 50% dei diritti.
«Le etichette hanno deciso unilateralmente che uno streaming è considerato una vendita perché massimizza i loro profitti», ha sostenuto Rodgers. «Gli artisti e gli autori devono aggiornare le clausole dei loro contratti per riflettere la vera natura di come vengono consumate le loro canzoni», ha aggiunto. La speranza, ha concluso, è che il Parlamento britannico sia «leader» su questo tema e regoli maggiormente il mercato.