
Il documentario Netflix sul caso di Bertrand Cantat ha acceso un dibattito sul ruolo di società e media di fronte ai femminicidi
PARIGI - Nell'estate del 2003 la Francia fu scossa dall'omicidio di Marie Trintignant. L'attrice e figlia d'arte morì per mano del suo compagno, Bertrand Cantat, frontman dei Noir Dèsir e a quell'epoca la più importante rockstar francese.
La vicenda è raccontata nel documentario Netflix "Da rockstar ad assassino: il caso Cantat". È la ricostruzione della morte violenta di Trintignant, avvenuta in un albergo di Vilnius, di come Cantat è stato chiamato in causa e come la società francese ha reagito.
L'obiettivo della miniserie è chiaro: lanciare una riflessione sulle responsabilità collettive nei femminicidi. «Era necessario parlarne oggi, per interrogare di nuovo le persone e poter andare avanti sull'argomento» ha dichiarato Nicolas Lartigue, uno dei registi. «Questa storia ha ancora oggi un suo significato».
Il documentario punta il dito senza se e senza ma su Cantat, accusandolo non solo della morte di Trintignant (per la quale ha scontato anni di reclusione) ma gettando su di lui altre ombre oscure. Sotto accusa c'è inoltre l'industria discografica, che avrebbe coperto presunti episodi violenti precedenti del musicista per continuare a sfruttare la grande popolarità dei Noir Dèsir. Successiva peraltro all'episodio lituano: l'opinione pubblica si spaccò e moltissimi fan si rifiutarono di credere che Cantat potesse aver ucciso coscientemente Trintignant e ribadirono la tesi dell'incidente, anche quando la giustizia dimostrò senza ombra di dubbio che si era trattato di ben altro. La ragione del sostegno? L'apprezzamento verso l'artista, che superava le colpe evidenti dell'uomo.
Anche i media sono sotto accusa, con una insistita rappresentazione del caso come "crimine passionale" - che era tipica di quegli anni e che, alla luce delle sensibilità post-MeToo, non è più accettabile. Ricordiamo che sono anni nei quali il termine "femminicidio" era ancora lontanissimo dall'essere formulato e, anzi, ci fu da parte di certi organi di stampa una decisa colpevolizzazione della vittima.
Se si può muovere un'obiezione al documentario diretto da Anne-Sophie Jahn, Zoé de Bussierre, Karine Dusfour e Nicolas Lartigue, è il netto squilibrio tra le posizioni contro e a favore di Cantat, dato il taglio nettamente accusatorio del prodotto. Sarebbe stato sicuramente interessante sentire l'opinione dell'artista, che da anni è un uomo libero e continua a pubblicare musica con la sua nuova band, i Détroit, in merito ad alcuni addebiti che gli sono stati rivolti.
"Da rockstar ad assassino: il caso Cantat" è un lavoro che ha raggiunto l'obiettivo di creare dibattito in Francia e di riaccendere i riflettori non solo sul caso specifico, ma su come la società continua a porsi davanti alla violenza sulle donne.