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Alimentazione

Ricerca svizzera sulla carne: «la carne dovrebbe costare almeno il doppio»

Wesual Click | Unsplash
Con l’aumento del tenore di vita aumenta anche il consumo di carne. In Svizzera si consumano ogni anno 50 chili di carne pro capite. Per essere sostenibili, occorrerebbe consumarne solo 16 chili.
Ricerca svizzera sulla carne: «la carne dovrebbe costare almeno il doppio»
Fino al 20 per cento delle emissioni totali di gas serra è generato dall’allevamento. Come possiamo riuscire a consumare meno carne? Intervista con Saskia Stucki che svolge le sue ricerche sulla carne e i sui diritti degli animali negli Stati Uniti, in Germania e in Svizzera.

In breve

    • Con l’aumento del tenore di vita aumenta anche il consumo di carne: gli svizzeri consumano ogni anno circa 50 chili di carne pro capite.
    • Per tenere sotto controllo gli effetti del consumo di carne sull’ambiente dovremmo ridurne il consumo a meno di un terzo: 300 grammi alla settimana o 16 chili all’anno.
    • «Se tenessimo in conto tutti i costi per l’ambiente e la salute, la carne dovrebbe costare il doppio», spiega Saskia Stucki, che dopo aver lavorato presso il Max Planck Institut in Germania e la Harvard Law School negli Stati Uniti collabora oggi con la ZHAW e l’Università di Zurigo.
    • Stucki prende ad esempio la Scandinavia: «Alcuni mesi fa, il governo danese ha pubblicato, in collaborazione con il settore agricolo, un documento di 40 pagine contenente numerose misure per promuovere la svolta alimentare: l’agricoltura verrà rafforzata mentre si valuta l’introduzione di tasse sulla carne.»

Signora Stucki, quanta carne consumiamo in Svizzera?

Attualmente il consumo annuale di carne ammonta a circa 50 chili pro capite. Ogni anno in Svizzera vengono macellati 80 milioni di animali ossia dieci volte di più del numero di abitanti totali della Svizzera. A livello mondiale, il consumo di carne è raddoppiato rispetto agli anni ‘60. Questo è dovuto in parte all’aumento della popolazione mondiale e dall’altra all‘aumento del tenore di vita. È previsto che con l’aumento dei redditi nei Paesi emergenti come l’India e la Cina, il consumo globale di carne aumenterà ancora dell’80 per cento entro il 2050. In Svizzera, il consumo annuale di carne pro capite negli anni ’80 e ‘90 ammontava a circa 60 chili e da alcuni anni si è stabilizzato anche se ci sono sempre più vegetariani e flexitariani.

Questo consumo è sostenibile?

Oltre agli effetti negativi sulla salute e sul benessere degli animali, il consumo di carne è una delle cause principali dei cambiamenti climatici: indicativamente, tra il 18 e il 20 per cento delle emissioni globali di gas serra sono generati dall’allevamento. Anche la crisi della biodiversità è strettamente legata al consumo di carne. La soia, per la cui coltivazione viene disboscata la foresta pluviale del Sudamerica, viene impiegata principalmente come mangime per animali. Queste correlazioni sono comprovate scientificamente. Anche il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, la Banca mondiale e l‘OECD hanno riconosciuto che la protezione del clima deve passare anche dal sistema alimentare.

Quanta carne dovremmo mangiare per non pesare eccessivamente sul clima?

L’agricoltura, e in particolare l‘allevamento, non sarà mai a emissioni zero. La Planetary Health Diet, basata su estesi dati scientifici, offre un valore di riferimento per un consumo di carne sostenibile: massimo 300 grammi alla settimana, ossia circa 16 chili all’anno, ossia meno di un terzo di quanta ne mangiamo attualmente in Svizzera. Anche le nuove raccomandazioni sull’alimentazione della Confederazione parlano di un massimo di due o tre porzioni di carne alla settimana.

Il consumo di carne stagna da qualche anno a un picco di 50 chili pro capite all’anno. Perché non riusciamo a ridurre il consumo di carne?

È una domanda complessa. Attualmente i prezzi di mercato della carne rispecchiano meno del 50 per cento dei costi effettivi. I costi restanti come quelli per la salute legati all’aumento della resistenza agli antibiotici, quelli della sofferenza degli animali o quelli delle emissioni vengono sopportati dalla società o esternalizzati. Se venissero conteggiati tutti questi costi, la carne dovrebbe costare più del doppio. Il risultato sarebbe probabilmente che molte persone mangerebbero meno carne optando invece per alternative vegetali nettamente meno costose.

Che ruolo ha in tutto questo il nostro comportamento nei confronti della carne?

Non sono un’esperta in questo ambito ma in psicologia esiste il concetto del cosiddetto paradosso della carne: per la maggior parte delle persone il benessere degli animali è importante così come la protezione della natura. Non vogliono che gli animali soffrano. Tuttavia mangiano carne. Dietro questi comportamenti si trovano meccanismi come dislocamento, razionalizzazione o gerarchizzazione. Ad esempio se pensiamo: «Sono solo animali.» Anche l’abitudine e le tradizioni hanno un ruolo importante.

Esistono incentivi per ridurre il consumo di carne?

Uno degli incentivi più efficaci è ad esempio l’offerta di un menu standard senza carne negli ospedali pubblici, il cosiddetto Default Nudges. Gli studi mostrano che queste semplici misure permettono di promuovere con grande successo il consumo di menu vegetariani. Anche le campagne di sensibilizzazione sono da tenere in considerazione.

È sufficiente?

Dal punto di vista scientifico è chiaro: no. Marchi e campagne informative hanno un influsso relativamente ridotto. Le misure finanziarie come sovvenzioni, tasse e investimenti pubblici sono molto più efficaci. Attualmente nell’Unione europea gli investimenti pubblici nell’industria della carne sono 1200 volte superiori rispetto a quelli nell’industria delle alternative vegetali. Anche una tassa sulle emissioni di CO2 o di metano è un‘idea che viene attualmente discussa a livello commerciale. Per i combustibili fossili è già stata attuata.

La strada per la riduzione del consumo di carne è quindi già stata tracciata, Perché non viene percorsa?

Mezzi e soluzioni sono a disposizione ma manca spesso la volontà politica. I politici hanno forse paura di perdere il sostegno degli elettori. Non dimentichiamo inoltre il considerevole potere politico dell’agricoltura, anche in Svizzera. È interessante che in Svizzera attualmente il 5-10 per cento della popolazione è vegetariano mentre gli agricoltori sono solo il due per cento della popolazione.

Ci sono Paesi da cui la Svizzera potrebbe prendere esempio?

La Danimarca diventerà presto una pioniera della svolta verso l’alimentazione vegetale. Qualche mese fa, il governo e il settore agricolo hanno pubblicato un documento di 40 pagine che presenta numerose misure per promuovere la svolta alimentare: il settore agricolo verrà rafforzato mentre si valuta l’introduzione di tasse sulla carne. Verranno offerti corsi di formazione continua sull’alimentazione vegetale per i cuochi. Per quanto ne so, è il primo Stato a portare avanti in modo così deciso la svolta alimentare. Occorre però capire come tutto questo verrà attuato.

Le persone non amano le interferenze nelle proprie abitudini alimentari. Come possiamo rispondere a chi si appoggia alla propria libertà personale per giustificare il consumo di carne?

Per molte persone l’alimentazione è una questione privata. Lo Stato interviene però in numerosi settori della vita privata quando c’è qualcosa che non va: prima si poteva ad esempio fumare in treno mentre oggi è proibito per motivi di salute pubblica. Ci sono quindi dei limiti alla libertà personale che non può prevalere sugli interessi pubblici. Secondo me, per quanto riguarda il consumo di carne, il limite della libertà dei consumatori è già stato ampiamente superato.

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