Il servizio militare che porta gli eritrei a scappare (anche verso la Svizzera) non sparirà tanto facilmente. E non è l'unico problema
ASMARA / ROMA - A seguito di uno storico incontro fra il presidente eritreo Isaias Afewerki e il premier etiope Abiy Ahmed ad Asmara, i due Paesi africani hanno firmato lunedì un accordo «per una nuova era di pace e amicizia».
L'intesa pone fine a quasi un ventennio di tensioni e guerra latente e getta le basi per nuovi rapporti diplomatici fra i due vicini. Significherà però anche la fine del servizio militare obbligatorio permanente che, da ancora più tempo, spinge migliaia di eritrei alla fuga verso l'Europa, Svizzera compresa? Lo abbiamo chiesto a Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa per il Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali di Roma.
La fine della guerra con l’Etiopia significa l’abolizione del servizio militare permanente per gli eritrei?
In Eritrea il servizio militare obbligatorio viene giustificato solo formalmente con la necessità di una mobilitazione permanente contro l’Etiopia, che è un Paese molto più grande e popoloso. Il presidente, però, utilizza questo strumento per tenere in piedi il suo regime.
In che modo?
La leva obbligatoria non solo assicura un controllo capillare della popolazione, ma permette anche allo Stato di gestire diverse attività economiche a costo zero. La fine della guerra aperta con l’Etiopia non significa quindi l’abolizione automatica del servizio militare da parte di Afewerki e dell’élite eritrea.
La pace non si tradurrà quindi nella fine della fuga degli eritrei verso l’Europa?
Gli eritrei vanno via dall’Eritrea non perché ci sia un servizio militare che dura praticamente a vita, ma perché, all’interno di questo sistema, c’è uno Stato oppressivo, che viola totalmente i diritti umani, anche nei modi più grotteschi. Inoltre, in Eritrea non si sta bene. Ci sono una povertà e un sottosviluppo incredibili. In considerazione di tutto ciò è normale che il cittadino eritreo sia portato ad andare via.
È possibile che la popolazione si sollevi comunque contro il servizio militare permanente e contro l’oppressione?
Venuta meno la guerra e quindi la ragione con cui Afewerki giustificava forme di governo e di controllo della popolazione molto dure, c’è la possibilità che la popolazione chieda il ritiro di alcune di queste misure. Se il governo si rifiutasse, la popolazione potrebbe ricorrere a forme di protesta di una certa entità il cui effetto sarebbe imprevedibile. Le Primavere arabe insegnano. La cancellazione improvvisa del servizio militare nella sua forma attuale, comunque, potrebbe essere percepita come un segnale di debolezza da parte del regime, con conseguenze distruttive per quest’ultimo. Diversa sarebbe invece una concessione graduale di maggiori libertà perché il regime potrebbe controllare il periodo di transizione.
Questo accordo è una mossa conveniente per Afewerki?
Uno dei grandi timori di Afewerki era che l’Etiopia sfruttasse il malcontento eritreo per promuovere un rovesciamento di regime e realizzare il suo sogno mai celato di avere uno sbocco sul mare ponendo l’Eritrea sotto la propria influenza. Il regime eritreo, però, è stato più accorto e, all’interno dell’accordo di pace, ha aperto alla possibilità che merci etiopi viaggino attraverso i porti eritrei. Una cosa però sono gli accordi che si fanno tra governi, un altro gli effetti che questi hanno sulla popolazione civile. Di solito lo strumento migliore per contenere il malcontento è promuovere lo sviluppo. Se questa decisione di aprire i porti alle merci etiopi porterà dei benefici condivisi dalla popolazione eritrea è possibile che quest’ultima sopporti un po’ meglio alcune durezze eccessive del regime. Se questi benefici economici, invece, interessano solo poche realtà elitarie, il Paese lentamente si avvierà a una situazione di fermento sociale.