A livello di normativa viene definito “Lavoro agile”, ma questa modalità lavorativa è definita come “smart working”
Di regola, esso viene definito come una nuova filosofia manageriale, fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità nella scelta di spazi, orari e strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.
Dal momento che di questi tempi se ne parla in abbondanza, cerchiamo di chiarire alcuni aspetti fondamentali che lo descrivano e meglio lo collochino in un contesto contrattuale. Lo smart working deve essere tenuto ben distinto, innanzitutto, da alcune altre categorie: il remote working.
Quest’ultimo è contraddistinto da una vera e propria delocalizzazione remota delle mansioni lavorative e dematerializzazione delle stesse attraverso specifiche soluzioni di social collaboration. Il punto essenziale di questa collaborazione è la garanzia del tempo di consegna. Il remote worker può decidere modalità e tempistica, purché consegni entro la data prevista. Talvolta, il lavoratore non deve mai neppure incontrare referenti e datore di lavoro.
Anche se ne parliamo in termini di lavoro agile, lo smart working non è agile working. Lo scopo è senz’altro quello di permettere alle imprese di aver successo nel lungo periodo e affrontare degnamente la forte concorrenza sul mercato, sfoderando grandi doti di competitività. Ecco perché questa figura punta a una gestione ottimale delle risorse umane, meglio adeguandole sia ai risultati da ottenere (in questo caso si parla di flessibilità rispetto alle necessità) sia agli stessi processi aziendali necessari per conseguire i risultati stessi, affinché siano per l’appunto snelli e responsivi.
Pensiamo, per esempio, alle conseguenze innescate dalla crisi economica del 2008. Molti datori di lavoro hanno adottato pratiche volte a incrementare la loro flessibilità con contratti “zero ore”, potenzialmente svantaggiosi per i lavoratori. Va da sé che ciò non sempre risulta allineato alle aspettative dei lavoratori, tuttavia molti dipendenti mantengono buone relazioni lavorative e manifestano di apprezzare offerte di lavoro “family-friendly” e iniziative work-life-balance. Questi supporti unitamente alla legislazione europea intesa a offrire a qualunque lavoratore il diritto di chiedere di poter lavorare in maniera flessibile, hanno ampliato la gamma e l’adozione delle opzioni offerte. Altra tipologia contrattuale che, procedendo per differenze, contraddistingue lo smart working è il flexible working. La parola chiave è, evidentemente, la flessibilità di cui si fa applicazione agli orari lavorativi e ai luoghi in cui il lavoro è svolto. Sotto questi profili, il flexible working è fortemente somigliante allo smart working. Ma la flessibilità è tra gli elementi essenziali del contratto; così, mentre lo smart working è agganciato a un contratto di lavoro subordinato, il flexible working caratterizza diverse forme contrattuali e comprende variegate opzioni: il lavoro subordinato; forme di collaborazioni associate e contratti con liberi professionisti.
Se sommiamo un uso intenso della tecnologia informatica, l’assenza di orari fissi e una modalità di lavoro mobile, tendiamo ad assegnare la definizione di smart worker a chi tale in realtà non è. Lo smart worker è un lavoratore dipendente e deve sempre fare riferimento a una realtà aziendale.
Poco importa di quali dimensioni, purché essa sia anche solo minimamente strutturata. Lo strumento in parola permette certamente di conquistare e sviluppare doti di leadership e imprenditorialità dovendo, il lavoratore, avere la capacità di condizionare in autonomia la gestione del proprio lavoro. I fattori interessati da una tale evoluzione sono sì la cultura manageriale ma anche il luogo di lavoro e l’uso inevitabile della tecnologia. Ci rendiamo conto tutti quanti, di questi tempi, quanto la tecnologia – a volte demonizzata per la pressione creata sui ritmi biologici – divenga strumento di equilibrio tra la vita e il lavoro; un fattore che – se impiegato al meglio – determina aumenti della produttività aziendale. E, in tempi di limitazione dei contatti personali, ci si rende conto di come valori estremamente umani e importanti quali fiducia e rispetto vadano progressivamente a presidiare anche i rapporti professionali a scapito di quella cultura dirigenziale dominata dal controllo. Ciò innesca un ulteriore cambiamento anche nelle figure responsabili e di riferimento le quali devono adattare e accrescere le loro qualità e competenze per una gestione che si sposi meglio al gioco di squadra, che sappia insomma fare leva sulle componenti motivazionali.
Dal punto di vista dei contenuti contrattuali, lo smart working dev’essere previsto come opzione e non imposizione (periodi correnti esclusi…) in un costante equilibrio tra relazioni familiari e sensazione di isolamento dal rapporto coi colleghi e l’ambiente aziendale; continuità della produttività aziendale e ottimizzazione dei costi. In particolar modo è bene provvedere a un’impostazione che comporti regole e istruzioni chiare, ben definite, su come organizzarsi e organizzare il “posto” di lavoro, garantire un livello sempre adeguato di sicurezza sia per l’azienda sia per il lavoratore.
È decisamente inopportuno, innanzitutto, che il lavoratore acceda alla posta elettronica aziendale con mezzi personali propri. Basti pensare a una webmail senza verifica del dispositivo che si connette o all’ uso di dispositivi esterni di memorizzazione o ancora alla condivisione di documenti attraverso servizi in cloud gratuiti. Ora, se comportamenti del genere possono contrastare con le politiche aziendali ben regolamentate, talvolta sono stati e sono tollerati perché seguono la logica dell’ottimizzazione dei costi. Sono molteplici le soluzioni che rendono possibili i collegamenti coi sistemi informativi aziendali. La difficoltà può sorgere, in effetti, proprio sull’ampiezza di questo accesso. Assenze prolungate dal posto di lavoro, come quelle che attualmente stiamo vivendo, mettono in evidenza come – in effetti – non sempre sia praticabile questo “ingresso” virtuale, ad esempio, a tutte le cartelle di rete. Al di là dei dispositivi opportuni, di una connessione a internet e di un’altra connessione alla rete aziendale, occorre prestare riguardo al livello di sicurezza da garantire per proteggere tanto i dati aziendali quanto quelli personali. Essendo questo un ruolo imputato al datore di lavoro, il momento si presta anche per rivedere quei rapporti svolti già in modalità smart precedentemente la crisi Covid-19 e se del caso integrarli opportunamente. La struttura settimanale è notevolmente cambiata: si è decisamente estesa; comporta una serie di riunioni (i cui contenuti devono restare riservati e non condivisi in ambito familiare); occorre predisporre tutte quelle di misure di sicurezza rese obbligatorie e rafforzate dalla più recente normativa in tema di protezione dei dati. Pensiamo alla crittografia, agli antivirus; ai software per la gestione di riunioni, conferenze sia audio sia video; blocco delle porte USB e di altri punti di accesso; manuali di supporto e interventi tecnici in caso di malfunzionamento; controllo delle patch di protezione; meccanismi di delega per specifici compiti amministrativi a singoli utenti o gruppi, soluzioni di back up idonee a lavorare anche in caso di inconvenienti tecnici ecc.…
Resta sconsigliato l’uso di dispositivi personali, sui quali – tuttavia – si possono implementare delle apposite partizioni nelle quali conservare e gestire i dati aziendali, il cui uso venga regolamentato da una puntuale BYOD (bring your own device, portate il vostro dispositivo) con la imprescindibile valutazione dei rischi a cui ci richiama il GDPR. Inutile ricordare che la responsabilità – in caso di trattamento di dati personali – è del titolare del trattamento il quale deve fornire la prova di avere dato ogni istruzione possibile ai propri dipendenti e adottato ogni misura richiesta per il rispetto delle regole e della normativa. Ecco perché l’adempimento dell’obbligo dell’analisi del rischio e il mantenimento di un costante e idoneo livello di sicurezza possono diventare ottimi alleati di un sano business aziendale.
Zulay Manganaro Menotti
Avvocato europeo e consulente legale