Il professor Johan Gaume faceva parte della scena internazionale dello snowboard. Oggi, l’ex sportivo professionista studia come prevenire i disastri naturali come le frane di Brienz o di Bondo e si impegna per una maggiore protezione dell’ambiente.
IN BREVE:
Il professor Johan Gaume era conosciuto per il suo backside 720 Melon: «Era il mio marchio di fabbrica», spiega riguardo al salto con doppio avvitamento all’indietro. Per molti anni, Gaume ha partecipato a tornei di snowboard viaggiando tra gli snowpark di tutto il mondo. Oggi, il 38enne guida il gruppo di ricerca sui movimenti di massa alpini al Politecnico di Zurigo e all’Istituto per lo studio della neve e delle valanghe SLF di Davos.
«Ci sono molte somiglianze tra la vita dello snowboarder e quella dello scienziato», spiega Gaume a 20 minuti. Per lo snowboarder professionista, tutto gira attorno al divertimento ma anche al vincere i tornei, guadagnare sponsor e comparire in belle foto sulle riviste. «Per lo scienziato è simile: divertirsi facendo le proprie ricerche, assicurarsi i finanziamenti e fare scoperte che verranno pubblicate», spiega Gaume.
Sulle piste di Grenoble
A metà degli anni 2000, Gaume faceva parte della scena europea dello snowboard. È cresciuto lontano dalle Alpi, nel Giura, ed è passato dallo skateboard allo snowboard, dalle Prealpi alle Alpi di Grenoble. «Dal punto di vista della tecnica sullo snowboard, è stato il momento migliore della mia vita», spiega. Era sulle piste per 150 giorni all’anno, aveva un contratto con Nitro Snowboards e partecipava a campionati mondiali, tornei e shooting fotografici in tutto il mondo: Stati Uniti, Europa, Giappone. «Ho cominciato tardi con lo snowboard», spiega Gaume. «Mi reputo molto fortunato ad aver avuto l’opportunità di essere parte della scena internazionale.»
Nonostante il successo, la vita di Gaume viaggiava su due binari diversi. Passava molto tempo sulle piste ma studiava anche per il suo master. «Ero davvero un ottimo studente ma la mia priorità era lo snowboard», racconta. È stato un incidente ad avvicinarlo alla scienza: dopo un salto, Gaume si è rotto una spalla. Le piste erano tabù. Ha superato questo brutto momento dedicandosi appieno allo studio e ha ottenuto l’opportunità di trasformare il suo master in un dottorato. Gaume sapeva bene che a causa del suo inizio tardivo sarebbe stato difficile rimanere al top nazionale e internazionale nello snowboard, soprattutto se al contempo avesse portato avanti gli studi. È diventato dottorando mantenendo solo l’essenziale dello snowboard: il divertimento.
Studiare i pericoli in montagna
Oggi Gaume guida un team di dieci persone che formano il gruppo di ricerca sui movimenti di massa alpini “Alpine Massenbewegungen” all’ETH a Davos e Zurigo. «Ci occupiamo di tutti i pericoli naturali che possono avvenire in montagna», spiega. Oltre alle valanghe, il team analizza anche gli eventi come le frane di Brienz e di Bondo. «Il nostro obiettivo è comprendere e prevenire meglio questi processi.» Aiutano ad esempio a definire le zone a rischio.I cambiamenti climatici hanno un ruolo importante in questo ambito. Secondo Gaume è difficile fare dichiarazioni statisticamente provate. La nostra comprensione del processo «indica tuttavia un aumento visibile della frequenza e della quantità di pericoli legati alla montagna». Verosimilmente, i cambiamenti climatici renderanno la vita in montagna ancora più pericolosa se non verranno attuate misure di adattamento e prevenzione adeguate.
Scioglimento record dei ghiacciai
In quanto appassionato di snowboard, Gaume non ha bisogno di affidarsi alle statistiche. Ha visto con i suoi occhi gli effetti dei cambiamenti climatici sulle Alpi: se durante una stagione estiva lavorava in uno snowpark ai piedi di un ghiacciaio, la stagione successiva doveva montarlo molto più a monte. Il ghiaccio era scomparso. «Negli ultimi due anni è stato davvero estremo», spiega Gaume. «I ghiacciai hanno perso il dieci per cento della loro massa.» Il professore si chiede: sono eccezioni nella statistica o si tratta della nuova normalità? Se fosse davvero diventato normale, spiega Gaume, non sarà necessario aspettare il 2100 per vedere il completo scioglimento dei ghiacciai. Succederà già nel 2050.
«Io stesso ho capito tardi quali fossero le conseguenze del mio comportamento», spiega Gaume. Come snowboarder ha viaggiato per tutto il mondo e ha praticato l’heliskiing. «Non mi pento del mio passato», spiega, «ma ci sono cose che non farei mai più.»
Un modello non proprio esemplare
Oggi Gaume vive in modo molto più sostenibile rispetto al passato. Come scienziato, cerca di concentrarsi sulle conferenze che si tengono in Europa. Come padre, insegna ai suoi figli a godersi le cose più semplici: passeggiate, escursioni nei boschi, raccogliere funghi. Si impegna anche come collaboratore scientifico per Protect Our Winters, un’organizzazione che mira a introdurre una pratica più sostenibile dello sci e dello snowboard. Gaume sa bene che il suo comportamento non è irreprensibile dal punto di vista ecologico. «Ma se solo chi è perfetto si impegnasse per l’ambiente, nessuno lo farebbe», spiega. Si tratta di convincere anche chi non è perfetto a fare del proprio meglio.
Gaume non passa più 150 giorni all’anno sulle piste. Spiega però che ha molto più successo oggi come scienziato che un tempo come snowboarder: «come snowboarder non sono mai comparso sulla prima pagina di una rivista e non ho mai vinto gare importanti. Come scienziato invece, i miei colleghi ed io abbiamo scritto alcuni articoli pubblicati nella rinomata rivista Nature e vinto sostanziosi incentivi finanziari.»