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SVIZZERA

L'ambasciatrice a Berna: «Israele non commette un genocidio»

Ifat Reshef si dice allarmata per l'aumento degli atti di antisemitismo e critica alcune posizioni del governo elvetico
Imago
Fonte ats
L'ambasciatrice a Berna: «Israele non commette un genocidio»
Ifat Reshef si dice allarmata per l'aumento degli atti di antisemitismo e critica alcune posizioni del governo elvetico

BERNA - Chi in Svizzera sostiene che Israele stia commettendo un genocidio a Gaza avanza un'accusa ignobile: lo afferma l'ambasciatrice dello stato ebraico a Berna, Ifat Reshef, che si dice anche allarmata per l'aumento degli atti di antisemitismo e che critica alcune posizioni del governo elvetico.

«A tutti coloro che lanciano questa accusa oltraggiosa dico che dovremmo essere gli ultimi a essere accusati di tali atrocità, di cui siamo stati le prime vittime», afferma la 57enne in un'intervista pubblicata oggi da Le Temps. «È stata l'inimmaginabile sofferenza degli ebrei durante l'Olocausto a dare origine alle convenzioni internazionali usate oggi per prevenire il genocidio e altri atti inumani. Quello che stiamo facendo oggi è combattere un'organizzazione feroce con un programma genocida contro di noi: Hamas. Quando questa organizzazione ha invaso Israele il 7 ottobre, massacrando uomini, donne, bambini e anziani, abbiamo preso le armi e combattuto. Era l'unica cosa da fare».

«Manipolazioni incredibili» - In un anno e mezzo però - osserva la giornalista del quotidiano romando - sono morti almeno 50'000 palestinesi, tra cui molti bambini, secondo un rapporto del ministero della sanità di Gaza accreditato dalle Nazioni Unite. «Dall'inizio di questa guerra, che non abbiamo scelto né voluto, da quando siamo stati attaccati, abbiamo assistito a manipolazioni assolutamente incredibili. Le stime dell'ONU si basano esclusivamente sui ministeri sotto il controllo di Hamas, un movimento capace di far credere alle famiglie degli ostaggi morti che sono vivi e alle famiglie degli ostaggi vivi che sono deceduti. Le cifre mescolano civili e combattenti, per non parlare delle morti naturali, e sono già state modificate più volte, senza adeguate spiegazioni. Purtroppo le vittime civili sono numerose. Questo è il risultato del fatto che Hamas usa la propria popolazione come scudo umano, mentre Israele fa del suo meglio per proteggerla».

«Il nemico ricorre a ogni stratagemma» - Quindici soccorritori palestinesi chiaramente identificabili secondo un'inchiesta del New York Times - insiste la cronista - sono stati uccisi qualche giorno fa da Israele, non è questo un crimine? «La velocità con cui veniamo accusati mi stupisce», replica la diplomatica. «Coloro che accusano l'esercito israeliano di crimini si mettono per un attimo nei panni dei soldati che combattono contro un nemico che ricorre a ogni stratagemma, compreso quello di confondersi con la popolazione civile e di utilizzare le strutture e le ambulanze delle Nazioni Unite? Possono davvero stabilire se si sono sentiti minacciati o meno? Quindi no, non posso dire a questo punto cosa sia realmente accaduto».

«Non sto dicendo che Israele, che è uno stato indipendente con un forte esercito, non sia in grado di commettere crimini come qualsiasi altro stato del mondo», puntualizza la giurista con laurea all'università di Tel Aviv. «Sì, in teoria può farlo. Ma Israele non commette e non commetterà genocidi. Il nostro esercito ha un'unità di avvocati militari interamente dedicata al rispetto del diritto internazionale. Avverte la popolazione prima dei bombardamenti e durante la tregua ha facilitato un afflusso senza precedenti di aiuti umanitari a Gaza, anche se i saccheggi da parte dei militanti di Hamas ci esentano da questo obbligo secondo il diritto internazionale. Vi chiedo: è questo il genocidio?».

«Una guerra brutale» - Come descrivere quindi ciò che sta accadendo a Gaza? «È una guerra brutale», risponde la funzionaria con trascorsi in Egitto e negli Stati Uniti. «Perché Hamas sta usando civili e ostaggi palestinesi come scudi umani e non vuole rinunciare alle armi. Perché si svolge in un ambiente urbano, in uno dei luoghi più densamente popolati del mondo, con una vasta rete di tunnel in cui opera anche Hamas. E perché dobbiamo tornare più volte negli stessi luoghi: non appena ci ritiriamo, Hamas torna a creare centri di comando militari».

Cosa pensa della posizione della Svizzera sul conflitto israelo-palestinese? «Abbiamo davvero relazioni amichevoli e ne sono orgogliosa e grata. Detto questo, non siamo d'accordo su tutto. All'epoca dell'attentato del 7 ottobre, la Confederazione era per la prima volta un membro non permanente del Consiglio di Sicurezza e non sempre sono stato contenta delle posizioni che ha assunto e continua ad assumere. Ad esempio, la scorsa settimana a Ginevra, in occasione del Consiglio dei diritti umani, la Svizzera ha nuovamente votato a favore di un testo che ci accusa, senza menzionare Hamas o il massacro. Israele non solo è soggetto a un doppio standard, ma è soggetto a richieste impossibili».

Che cosa dire degli atti e delle dichiarazioni antisemite nella Confederazione, che sono aumentati drasticamente? «È molto doloroso e allarmante vedere cittadini svizzeri che soffrono perché sono ebrei», si rammarica l'ambasciatrice in carica dal novembre 2021. «Il picco di atti antisemiti si è notato subito dopo il 7 ottobre, quando Israele non aveva ancora iniziato l'offensiva di terra a Gaza. Questo dà l'impressione che le persone stessero solo aspettando una scusa per gettare la maschera. Ma la Svizzera rimane in una posizione migliore rispetto ai suoi vicini. Ci sono state anche molte iniziative locali e cantonali per combattere l'antisemitismo. Mi ha colpito molto sentire la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter sollevare la questione dell'antisemitismo durante il suo ricevimento di Capodanno, quando aveva appena assunto la presidenza», conclude Reshef.

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