Il giudice Mauro Ermani ha oggi giudicato «inammissibili» le pene proposte, che prevedevano la scarcerazione
LUGANO - Doveva essere un processo breve, quello avvenuto questo pomeriggio a Lugano nei confronti di un 35enne ticinese che si è macchiato di diversi reati nei confronti della sua compagna, ma così non è stato.
La Corte delle Assise Criminali di Lugano, presieduta dal giudice Mauro Ermani, ha infatti respinto l'atto d'accusa presentato dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni. Per l'imputato accusato di coazione sessuale, sequestro di persona e rapimento (ripetuto), coazione (ripetuta), lesioni semplici e vie di fatto, l'accusa chiedeva 36 mesi di carcere (sei da espiare e trenta sospesi), 13mila franchi quale torto morale a favore della vittima e un percorso ambulatoriale con uno psichiatra.
Il giudice, però, l'ha definita una pena «inammissibile» e «inaccettabile», in particolare «tenuto conto di un rischio di recidiva tutt'altro che trascurabile». Niente rito abbreviato quindi, ed è tutto da rifare: l'imputato resterà in carcerazione anticipata, con il fascicolo che torna al Ministero pubblico.
Violenza e sequestro
I fatti risalgono tra agosto 2021 e maggio 2022, periodo in cui l'imputato è stato più volte violento nei confronti della sua partner. In particolare la coazione sessuale è avvenuta nell'abitazione dell'uomo l'8 maggio, quando l'imputato, di ritorno dalla Festa delle Fragole, ha usato «violenza e minacce» per costringere la sua compagna a subire un atto sessuale (inclusi un rapporto anale e un rapporto orale), incurante del fatto che la vittima piangesse e invocasse aiuto.
In alcune altre occasioni, invece, l'imputato ha segregato la compagna in camera da letto, chiudendo la porta a chiave, o le ha impedito di allontanarsi, ricorrendo alla violenza e alle minacce. Uno degli episodi incriminati (lesioni semplici) ha invece avuto luogo nel 2017, quando l'imputato ha colpito con una testata la sua compagna di allora, fratturandole il setto nasale.
«Sono dispiaciuto»
Oggi in aula, l'uomo si è dichiarato colpevole di tutti i reati, chiedendo scusa alle vittime. «Sono dispiaciuto di quanto successo. Purtroppo non posso tornare indietro, mi vergogno profondamente» ha detto al giudice, riferendo di una sfiducia cronica che ha nei confronti delle sue partner. «Purtroppo mi sono reso conto che dopo il divorzio non ho mai metabolizzato la mia sofferenza. Invece di chiedere aiuto l'ho sfogata contro le persone che mi stavano vicine».
In risposta all'affermazione dell'imputato che «all'inizio non avevo neanche compreso la gravità delle mie azioni», il giudice ha ribadito che in realtà «sapeva benissimo cosa stava facendo. Faccio fatica a trovare un aggettivo che descriva come si è comportato». Questo anche perché la perizia effettuata sull'uomo è arrivata alla conclusione che è «pienamente responsabile» delle sue azioni.
Avendo già espiato i sei mesi di carcere (48 giorni in carcerazione preventiva e il resto in esecuzione anticipata della pena), il 35enne sarebbe stato scarcerato con l'approvazione dell'atto d'accusa. Ma così non è stato.
«Ha un'aggressività innata»
Definendo l'atto d'accusa «non approvato», Ermani ha ribadito come «l'agire dell'imputato - che non beneficia di nessuna scemata imputabilità - è stato crudele» e che quello che è successo (e che è stato filmato) è «raccapricciante».
Per quanto riguarda l'assunzione di responsabilità mostrata in aula dall'imputato, il giudice non si è mostrato convinto: «È parsa più formale che altro, quasi per diminuirne la responsabilità. Non si può dire solo "mi dispiace" e "guardo avanti", ma occorre confrontarsi, occorre dirsi "quella persona non è un'altra persona, sono io". E da questo punto di vista siamo ancora ai piedi della scala».
Infine, secondo la Corte, l'imputato continua a mancare di empatia e ha un serio problema d'alcol. «Ha un’aggressività innata, che l'alcol facilita a sprigionare. E su questo non basta essere astinenti».