Dal dramma, lo slancio per aiutare gli altri: «Tante vite possono essere salvate»
Nasce così l’Associazione Insieme Contro L'uso Ricreativo Di Farmaci. L'obiettivo? «Entrare nelle scuole e iniziare un dialogo con i ragazzi»
LUGANO - Lo sballo facile e legale. Un gioco da ragazzi, verrebbe da dire. Basta frugare nel cassetto dei medicinali. Ma è proprio così che, 6 mesi fa, è venuto a mancare un 19enne ticinese.
A raccontare il tragico epilogo della giovane vita è la madre del ragazzo, S.*, fondatrice dell’Associazione Insieme Contro L'uso Ricreativo Di Farmaci. «Non ha tentato di togliersi la vita, ma si è sballato al punto da non capire più cosa stesse facendo».
Psicofarmaci e alcool sono stati il mix letale. «Ha preso insieme antidepressivi, ansiolitici e ci ha bevuto sopra», racconta la donna che, ora, vuole parlare apertamente del problema. «In Ticino - sottolinea - sembra quasi un tabù. Come se fosse una realtà che appartiene ad altri luoghi, lontana da noi, ma non è così», spiega.
«Una società che chiede molto» - Quello di S. non è più un grido d’aiuto. «Per mio figlio ormai è tardi, ma può non esserlo per tantissimi altri giovani a rischio». Giovani normalissimi che, per ragioni diverse, iniziano a giocare con le loro vite. «Io così sto bene, sono più lucido, mi diverto di più, sono più sciolto. Questi sono i feedback che si passano e che li avvicinano alle droghe in genere». «La nostra è una società che chiede molto ai ragazzi - aggiunge -. Impone performance elevate già in tenera età. È facile finire macinati da questo sistema e uscirne distrutti». «Così è stato per mio figlio - prosegue -. Dopo un apprendistato andato male e l’incapacità di riciclarsi e trovare un nuovo lavoro si è depresso. Ha iniziato e non fare nulla, quindi a uscire e frequentare altri che, come lui, si erano un po’ persi».
L’inizio con i farmaci - Che qualcosa “girava” per il verso sbagliato ha iniziato ad essere evidente: «Mi sono accorta che si isolava. Non era più il ragazzo solare di prima. Poi ho notato che sparivano dei medicinali».
L'inferno è iniziato con qualche Dafalgan. «Si fanno di tutto, dallo sciroppo per la tosse all’ibuprofene». Lei se n'è accorta e ha cercato di aiutarlo. «L’ho mandato dallo psicologo, dallo psichiatra. Ma essendo già maggiorenne sono dovuta restare fuori. Sono stata spettatrice passiva della distruzione di mio figlio».
L’associazione - Quindi la nascita dell’Associazione. «Ciò che voglio è entrare nelle scuole e iniziare un dialogo con i ragazzi. Occorre fare prevenzione e sensibilizzare tutte quelle famiglie che credono non possa mai accadere a loro». Eppure gli indizi possono essere molteplici: «Dal cassetto delle medicine che viene svuotato al cambiamento repentino di comportamento. Non attribuiamolo solo all'età», sottolinea S.
Tra un paio di settimane l’associazione incontrerà un gruppo di medici con l’intento di formare un comitato di esperti: «Vogliamo coinvolgere i giovani in un progetto di peer education (vedi box) per dare loro la possibilità di scegliere, di sapere cosa fanno davvero. E di autocondizionarsi in positivo».
*nome noto alla redazione.
Peer education
Proposta educativa attraverso la quale, in un gruppo, alcuni soggetti (peer educators) vengono scelti (e formati) per svolgere il ruolo di educatore nei confronti degli altri membri dai quali, però, sono percepiti come loro simili per età, condizione lavorativa, provenienza culturale, esperienze, etc… I peer educators, permettendo il confronto tra pari senza ‘timori riverenziali’, attivando il confronto tra le esperienze e fungendo da agenti di socializzazione, mettono in atto interventi educativi rivolti alla maturazione, da un lato, di livelli di consapevolezza rispetto alle tematiche oggetto del percorso educativo e, dall’altro, rivolti alla presa di coscienza del ruolo che ciascun elemento del gruppo può assumere, delle conseguenze delle singole azioni e, conseguentemente, favoriscono l’attuarsi di processi rivolti alla maturazione di consapevolezza della responsabilità nei confronti delle proprie scelte.