Dramma di Solduno: «Non è morta solo perché viveva vicino all'ospedale». Il giovane dovrà scontare la sua pena in un istituto chiuso.
LUGANO - Condannato a 17 anni per tentato assassinio. Da scontare però in un istituto chiuso per adulti. È questa la pena decisa oggi dalla Corte delle Assise criminali per il 22enne sangallese che la sera del 21 ottobre 2021 a Solduno sparò alla sua ex compagna con un fucile, portandola a sfiorare la morte.
«Questo ragazzo ha necessità impellente di essere curato. Ma se non aderirà alle cure sarà trasferito in carcere», ha sottolineato il giudice Siro Quadri.
L'accusa, lo ricordiamo, aveva chiesto proprio 17 anni di carcere per tentato assassinio. La difesa aveva invece spinto per il proscioglimento del giovane sia dal tentato assassinio che dal tentato omicidio, chiedendo otto anni di detenzione da scontare sotto forma di trattamento stazionario in una struttura chiusa.
Tragedia sfiorata - La sera dei fatti la vittima «è stata recuperata in fin di vita dai soccorritori. Il suo ex compagno le ha sparato con un colpo di fucile a pallettoni, quello che si usa per cacciare i cinghiali», ha detto Quadri, evidenziando che «non è morta solo perché ha avuto la fortuna di abitare a 800 metri dall'Ospedale di Locarno».
«È un assassino» - Per definizione, ha spiegato in seguito il giudice, «l'assassino è una persona senza scrupoli che agisce a sangue freddo, che si contraddistingue per il suo crasso egoismo, che non tiene conto in nessun modo della vita altrui e agisce solamente per il proprio interesse. E per questa Corte l'imputato è un assassino».
Una mente perversa - Giudicate compromettenti, inoltre, le svariate armi che il ragazzo portava nello zaino, tra cui un'ascia, un coltello, delle siringhe e della soda caustica. «È chiaro che chi scende da un treno con tutto quell'arsenale è privo di scrupoli e ha un modo di ragionare particolarmente perverso e fuori dalla realtà», ha chiosato Quadri. Il giovane aveva poi annotato numeri di telefono, numeri di targa e indirizzi della ragazza e dei suoi familiari in quello che aveva denominato "Piano", «il che dimostra che c'era premeditazione».
Vendetta - Anche il movente è stato giudicato come «particolarmente odioso»: «Ha tentato di uccidere per vendetta, e avrebbe ucciso per vendetta». Dopo aver sparato alla ragazza, «l'imputato non ha inoltre allertato i soccorsi. Però ha chiamato sua mamma, dicendole "ho dovuto farlo" e chiedendole di distruggere il telefono rimasto a San Gallo».
La vittima, dal canto suo, «è apparsa assolutamente credibile. E l'ha detto chiaramente: "Non è stato un incidente, lui voleva uccidermi"». Il giovane, al contrario, «ha mostrato una memoria selettiva, con bugie e continui "non ricordo". La verità «è quindi saltata fuori grazie al lavoro della polizia, del procuratore pubblico e della Corte. Non di certo grazie alle dichiarazioni dell'imputato», ha concluso Quadri.
Rabbia e niente più - Per quanto riguarda invece le attenuanti, «la scemata imputabilità è solo lieve». E, stando al perito psichiatrico, «l'imputato è incapace di provare la normale gamma di emozioni e la rabbia è l'unico sentimento al quale ha accesso».