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LUGANO

«Il mio jazz che nasce dalla voce del mare»

Paolo Fresu sarà il 26 aprile al Palazzo dei Congressi di Lugano con Richard Galliano e Jan Lundgren con lo spettacolo "Mare Nostrum"
Foto Imago
«Il mio jazz che nasce dalla voce del mare»
Paolo Fresu sarà il 26 aprile al Palazzo dei Congressi di Lugano con Richard Galliano e Jan Lundgren con lo spettacolo "Mare Nostrum"

LUGANO - Se il jazz incontra il tango argentino e poi la musica do Brasil, ma anche quel ricco patrimonio della musica popolare francese che arriva dalla tradizione, allora vuole dire che si è finiti dopo una lunga navigazione musicale dalle parti di "Mare Nostrum" e di Richard Galliano alla fisarmonica, Paolo Fresu alla tromba e Jan Lundgren al pianoforte.

L'ensemble, composto da tre vere e proprie leggende viventi di quella musica crocevia di culture, sarà al Palazzo dei Congressi di Lugano il prossimo 26 aprile. È il grande trombettista Fresu a raccontarci la genesi di questo progetto e come è nato il sodalizio con i suoi compagni di palco.

Siete al quarto disco di Mare Nostrum: e pensare che all'inizio alcuni critici non nascosero la loro sorpresa e neanche un certo scetticismo riguardo all'intera operazione e al fatto che si unissero tre grandi nomi con repertori diversi.

«La verità è che è un trio che è nato non per nostra intenzione, come invece spesso accade fra musicisti che decidono di fare qualcosa insieme. L'idea è venuta a René Hesse, un produttotre e agente svizzero di Losanna. Lui conosceva bene Jan Lundgren e aveva fatto delle cose con Galliano e con me e un giorno l'ha buttata lì dicendogli "perché non vi mettete insieme? Secondo me può funzionare". Ci ha visto bene in effetti. E così il sardo, il francese e lo svedese hanno cominciato a fare concerti in giro per l'Europa e per il mondo, con un successo commerciale anche importante».

Il primo disco registrato in Italia, il secondo in Francia, il terzo in Svezia, il quarto di nuovo a Parigi: ci sarà anche la quinta edizione musicale di Mare Nostrum?

«Non so se faremo il quinto, penso che il lavoro fatto sin qui sia sufficiente. E pensare che il titolo del progetto nasce da un brano, "Mare Nostrum" appunto, di Lundgren, l'unico di noi tre musicisti che vive in un Paese che non si affaccia sul Mediterraneo e sul complesso tema della migrazione di cui è depositario. Brano e progetto nascono in un periodo storico precedente a quello che stiamo affrontando».

E di migrazione parla anche questo quarto disco

«Per questo disco ho scritto quattro pezzi, tre dei quali sono tutti profondamente legati al tema della migrazione e della navigazione. Uno si chiama "Hope", un altro "Life", un altro ancora dal titolo "Float". Un pezzo l'ho intitolato "Fair"».

In scaletta a Lugano troviamo le composizioni di tutti e quattro i dischi o vi concentrerete sull'ultima produzione?

«Non ci piace più di tanto l'idea di suonare un disco piuttosto che un altro, perché Mare Nostrum è un progetto permeato da una poesia di fondo e dato dalla risultante di quelle che sono un po' le nostre personalità e anche le nostre penne. A Lugano inseriremo pezzi che appartengono a questo viaggio iniziato nel 2007».

A proposito di mare: da quel che leggo, ti ci tuffi più con lo spirito che con il corpo. Nel nuoto non va come con la tromba...

«Ormai a 64 anni direi che se non ho imparato fino a ora non è che vi siano tante possibilità...Il mio apprendistato l'ho fatto accanto a mio padre che era un pastore e la mia vita si è dipanata a piedi scalzi in mezzo agli escrementi delle pecore. Non è che avessimo molte opportunità di andare a vedere il mare e poi era un viaggio, c'era una strada pessima, era un viaggio della speranza, anche solo per andare a Olbia. Ci andavo con la macchina di mio padre, macchina di pastore, dove caricava i bidoni del latte. Ritengo che il mare resta un luogo da osservare con poesia e curiosità e oggi mi piace sempre di più e ho iniziato ad apprezzarlo in questi anni, grazie al luogo dell'anima di mia moglie, che è algherese. Dalla nostra casa guardiamo il bellissimo mare che prelude alla Catalogna, a Barcellona. Lo amo molto e il mio rapporto con lui si salda e rinsalda ogni giorno».

Come con la tromba, un amore viscerale...

«A lei mi sono avvicinato perché vedevo la banda del paese passare e il mio sogno era farne parte. A casa avevamo una tromba, era quella di mio fratello che aveva cominciato a suonarla ma poi ha abbandonato. Io amavo la musica e così ho iniziato a frequentare il corso della banda. C'era una sala prove, poi quelli più bravini che facevano le processioni alla festa di San Sebastiano martire, alla fine del rito si mettevano nei bar e lì partivano delle jam session fantastiche. Ho sempre suonato, nelle feste di paese, nelle piazze, nei bar, nelle discoteche, ho fatto tutto l'iter dei live della musica. Poi ho scoperto il jazz e dal 1982 sono diventato un musicista professionista, con una carriera oramai quarantennale».

Il Jazz come il mare è un crocevia di culture, linguaggi, sonorità...

«Assolutamente sì. Purtroppo oggi parlare di Mediterraneo assume una connotazione politica e invece dovrebbe essere umana. La situazione a cui assistiamo nel Mediterraneo è tremenda sotto il profilo umano e mal gestita sotto il profilo politico. Io mi sono sempre schierato dalla parte del rispetto e del rispetto verso coloro che partono assediati da guerre e violenze e che non dovrebbero morire in mare. Se non ci fossero state le migrazioni dei primi del '900 il jazz non sarebbe nato, perché questa musica nasce dagli incontri di popoli che si muovono nel mondo. Le musiche di Mare Nostrum sono un po' il nostro modo di respirare il Mediterraneo e le culture che si incrociano e dialogano. Sono una melodia intesa come pathos emotivo»

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