È quanto sostengono i due pubblici ministeri nella memoria di 2'778 pagine depositata al tribunale
GENOVA - Il collaudo statico del ponte Morandi, aperto al traffico nel 1967, fu eseguito solo tre anni dopo l'inaugurazione "in palese violazione alle norme vigenti" e "tra i tre cavalletti, la pila 9 fu quella oggetto di minore attenzione e non fu interessata da alcuna prova di carico". Lo scrivono i pubblici ministeri Massimo Terrile e Walter Cotugno nella memoria di 2.778 pagine depositata al tribunale nell'ambito del processo per il crollo del viadotto sul Polcevera (14 agosto 2018, 43 vittime).
«Anche le prove di laboratorio sui materiali furono limitate a quelle riportate nei due certificati n.33758 del 22/5/65 e n.35710 del 20/12/1965. Ciò può far pensare che i lavori di realizzazione della pila 9 furono controllati con minore attenzione rispetto a quella già bassa prestata alle altre opere, comunque documentata da un maggior numero di prove di controllo sui materiali».
Nella lunga memoria, corredata da un'ampia documentazione anche fotografica che ripercorre cronologicamente i fatti e poi si sofferma sulle responsabilità dei 58 imputati, la procura ricorda come non solo l'ingegner Morandi, progettista dell'opera, a partire dal 1981 avesse lanciato l'allarme sulla corrosione e prima di lui lo abbia fatto nel 1975 un ingegnere di Spea ma ancora prima della costruzione del viadotto c'erano elementi che potevano far supporre futuri problemi: nella memoria viene citata infatti un'opera divulgativa dell'ingegner Sandro Dei Poli, che già nel 1942 segnalava il pericolo delle microfessurazioni nel calcestruzzo e della conseguente corrosione delle armature, nonché l'importanza della manutenzione.
Il libro ha in copertina il disegno di un ponte crollato e il suo autore spiega: «Una buona manutenzione, oltre a limitare tutte le cause che, alterando la qualità e la resistenza dei materiali, minano la sicurezza di una struttura, giova spesso a rivelare l'inizio di lesioni o di cause che col passare del tempo possono portare alla distruzione dell'opera».