La nuova tendenza, dopo quella post pandemica della "Great resignation", è il "Great regret": il 41% di chi si è dimesso non è contento
MILANO / LUGANO - Negli Usa la chiamano "Great resignation", le grandi dimissioni. Ma il fenomeno, in auge dal 2021 e assimilabile a un mercato del lavoro che si fa sempre più "fluido" - perché ad aumentare non sarebbero solo le dimissioni ma anche i licenziamenti -, ha da tempo varcato l'oceano. E basta dare un'occhiata oltre confine per rendersene conto: secondo i dati diffusi dal ministero del Lavoro italiano sono 1,6 milioni le dimissioni nei primi nove mesi del 2022 (+22% sullo stesso periodo del 2021) e un totale record di 3 milioni nel biennio 2021/2022.
Il fenomeno tocca il 60% delle aziende, principalmente nei settori produttivi, del digitale, ma anche in quello prettamente commerciale come marketing e vendite, e ha preso piede soprattutto tra i dipendenti di età compresa tra i 26 e i 35 anni (il 70% del campione preso in esame). Questi ultimi sempre più attratti, non solo da condizioni economiche migliori ma anche soprattutto da un clima aziendale maggiormente "a misura d'uomo", grazie a orario flessibile (smart working) e a un giusto equilibrio tra occupazione e vita privata (work-life balance).
Dal "Great resignation" al "Great regret" - Da un’indagine eseguita su un campione di 800 lavoratori e 100 aziende, condotta dal Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa e resa nota oggi dal Sole24ore, emerge però un'interessante novità. Ebbene, il 41% dei lavoratori che hanno lasciato il vecchio posto negli ultimi 12 mesi (l'11% per cento del campione totale) oggi è insoddisfatto della nuova esperienza. Insomma il rischio di passare dal "Great resignation" al "Great regret" si fa dunque più che concreto.
Le "grandi dimissioni" in Ticino e Svizzera - «Probabilmente il fenomeno c'è anche in Ticino», spiega Benedetta Rigotti, responsabile della Comunicazione di OCST. «La sensazione che abbiamo é che specialmente i giovani oggi chiedano qualcosa di differente al mercato del lavoro: maggiore tempo per sé e un nuovo equilibrio tra vita privata e lavoro. Alle aziende ora spetta capirlo e tenerlo in considerazione».
A capire se anche la Svizzera sia interessata dal "Great resignation" ci aiuta l'indagine svolta dal "Barometro delle condizioni di lavoro 2022" - collaborazione tra Travail.Suisse e la Scuola universitaria professionale bernese, pubblicata da OCST. Dallo studio si evince che a diminuire è il timore di perdere il proprio lavoro (solo l'11,2% si dichiara preoccupato), mentre stress e carico di lavoro rappresentano i veri punti critici.
Stressato il 43% degli occupati - A questo riguardo l'indagine stima che oltre mezzo milione di lavoratori, nel corso dello scorso anno, potrebbe essersi orientato a cambiare lavoro solo a causa del troppo stress. E particolarmente provato sarebbe il 43% dei lavoratori nella Confederazione (anno 2022).
Il dinamismo del mercato porta con sé il rischio che, per alcuni settori, domanda e offerta non si incontrino più. Anche perché condizioni e salari non vengono ritenuti all'altezza delle legittime aspettative del lavoratore: «C'è carenza di manodopera e le aziende, specie in settori come la ristorazione, faticano a trovare collaboratori», conclude Rigotti.