La chiave è mostrarsi solo a chi davvero vuol conoscerci. Scopriamo con Matteo Tibolla come trovare il nostro pubblico
Dà il nome a questa rubrica su Ticinonline, ed è dunque un concetto fondamentale – quasi sacro – del mondo della comunicazione e del marketing, che, con il digitale, è diventato sempre più diffuso e abusato, quasi al punto da perdere significato: il target.
Ma che cosa significa davvero individuare e conoscere il nostro pubblico obiettivo, e come si può riuscirci, nella quotidianità di un’attività di qualunque dimensione e fatturato?
Dopo averne parlato in lungo e in largo, discutendo di buyer personas, introducendo approfondimenti su ricerche mercato e gestione a fini di marketing dei dati aziendali e ulteriori specificazioni riguardanti le campagne B2B e il metodo noto come Account Based Marketing, vogliamo fare un sunto, redigendo un vero e proprio punto della situazione con un nostro partner, nonché esperto di comunicazione con approccio scientifico: Matteo Tibolla.
Matteo, tu ti occupi analizzare il proprio target per fare comunicazione in modo scientifico: che cosa vuol dire, e perché ogni professionista dovrebbe valutare questo approccio?
Perché vuol dire prendere decisioni basate su ciò che spinge davvero i clienti a scegliere un determinato prodotto o servizio. L’empatia con i propri interlocutori è fondamentale per vendere di più e aumentare il ricordo del proprio brand.
Le attività – liberi professionisti, grandi imprese e PMI – hanno difficoltà a mettersi dalla parte del cliente per comprendere cosa li porta a scegliere o evitare le loro proposte.
Questo porta molto spesso a comunicare messaggi non in linea con le aspettative e i bisogni delle persone e a fare due errori gravi:
Con l’adozione di una comunicazione con approccio scientifico, le aziende riescono a investire le risorse in modo più consapevole e mirato. Con l’aumento dei costi per le inserzioni, che comporta un maggior spreco di denaro, se non individuiamo il giusto target, questo cambio di paradigma non più è solo necessario, ma obbligatorio.
Quali possono essere i risultati tangibili di questo modus operandi?
In uno degli ultimi progetti che ho seguito, un’azienda ci ha chiesto di valutare, ad esempio, cosa convinca i clienti ad accettare o meno i preventivi e se/quali investimenti fare nei diversi canali di comunicazione. In breve, l’analisi ha dimostrato la centralità del blog (rispetto ai social) e fatto emergere anche le tematiche da affrontare negli articoli da scrivere.
Inoltre, l’analisi svolta ci ha dato numerose indicazioni anche lato SEO, ovvero parole chiave da utilizzare per posizionare il sito su Google, e abbiamo capito anche se gli interlocutori principali dell’azienda corrispondevano ai decisori del fornitore, così da modificare il tono di voce utilizzato nei diversi canali B2C e B2B.
L’analisi del target dà indicazioni precise su quali concetti utilizzare nella costruzione dei messaggi per favorire l’attenzione e l’interesse dei potenziali clienti nei confronti della nostra comunicazione.
Come si può analizzare il target senza adoperarsi in un’intera una ricerca di mercato?
Lo strumento che utilizzo io, ad esempio, in collaborazione con voi di Linkfloyd, è una survey frutto di anni di esperienze, anche nel campo del neuromarketing, e perfezionamenti.
Questo questionario ha come obiettivo quello di comprendere:
Altri approfondimenti che si possono fare riguardano l’attuale soddisfazione di clienti (con indicatori simili al Net Promoter Score) o i canali di acquisizione di questi ultimi.
Come fine, l’analisi del target ha sempre la comprensione delle motivazioni di ogni scelta fatta dalle persone.
Il vantaggio rispetto alle più diffuse tecniche delle ricerche di mercato è quello di ottenere dati più “puri”, privi della maggior parte dei condizionamenti sociali (che è un punto debole dei focus group, ad esempio).
Se un’attività volesse comprendere meglio il proprio target e cosa porta i propri clienti a sceglierla, come dovrebbe procedere, nella pratica?
La survey ha un’impostazione che modifichiamo a seconda delle esigenze specifiche del cliente. Le domande sono soprattutto a risposta aperta, per lasciare libera espressione alle persone circa i loro obiettivi di scelta e le abitudini.
Al cliente viene poi fornito un link da inviare tramite e-mail al proprio database di contatti.
Ricevute le risposte, si inizia con la categorizzazione.
Essendo le domande a risposta aperta, è infatti necessario riassumere ogni risposta in categorie, così da creare una tabella che mostra in ordine di frequenza i concetti più o meno nominati e dunque importanti.
Quella della categorizzazione è infatti il lavoro più delicato e lungo, dove viene dato anche un peso semantico ai termini.
Quante risposte vengono analizzate solitamente?
Quelle provenienti da soggetti che si aggirano tra 100 e 1000 persone: non c’è bisogno di grandissimi numeri per quella che è un’analisi soprattutto qualitativa.
Analizzare i clienti e migliorare la comprensione del proprio target sembra semplice, ma si può fare altrettanto con i prospect o con potenziali clienti ancora non acquisiti o contattati?
Sì, in questo caso ci si affida a realtà specializzate che possano sottoporre la survey a soggetti con caratteristiche socio-demografiche molto precise. Si possono ottenere campioni di persone che abitano in un determinato luogo e che svolgono una professione precisa, ad esempio architetti, appassionati di birra residenti in una determinata area o ingegneri dipendenti di grandi aziende.
La survey ha le stesse caratteristiche di quella per i clienti e permette di capire cosa convince clienti potenziali a interessarsi al prodotto o servizio di un’azienda, così da costruire una comunicazione mirata con, appunto, un approccio maggiormente scientifico e dunque potenzialmente efficace.
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