Mattea David, Consigliera Comunale PS a Lugano
In qualità di architetta, cittadina e neo eletta consigliera comunale, mi sono occupata della questione della demolizione parziale dello stabile dell’ex macello; in particolare ho posto l’accento sull’illegalità del municipio nel muoversi senza una regolare licenza edilizia e far passare come prassi normale compilarne una a posteriori, in sanatoria; su come non si è trattata la questione amianto e altre sostanze nocive – nonostante, la sera stessa della demolizione, io abbia cercato d'interagire con i poliziotti per parlare con gli addetti ai lavori, proprio per sincerarmi di questo fatto. Inutile dirvi che non ho mai ricevuto risposta, solo una cortese richiesta fisica di farmi indietro.
Ora, da architetta penso alla necessità della ricostruzione e al suo significato. Come in un restauro, occorre indagare lo stato di quel che è rimasto in piedi, lo stato di conservazione e, attraverso un esercizio progettuale, ricostruire esaltando ciò che è rimasto per migliiorarlo.
Per svolgere questo esercizio con una realtà culturale e sociale di diverso tipo rispetto a quella ordinaria, e che noi ben conosciamo, dobbiamo passare attraverso il dialogo: in piazza, con i molinari e i ragazzi; dobbiamo cioè comprendere le ragioni che hanno portato all’irrigidimento del CSOA nei confronti del Municipio e ai municipali occorrerà porre le stesse domande per capirne le logiche, le aspirazioni, la cultura. Gli ideali.
Parlando con alcuni ragazzi, è uscita la volontà di essere compresi nella loro voglia di esplorare, di formarsi e crescere al di fuori di strutture e confinamenti: non per anarchia, ma per indipendenza. Questi ragazzi lamentano un trattamento incoerente: a volte vengono innalzati a unica speranza per il nostro futuro e a paladini di una giustizia sociale; altre volte vengono tacciati di essere drogati, disadattati, svogliati e falliti solo perché il loro modo di fare cultura non viene accettato. Perché è questo, il problema che sta alla base (da ambo le parti) del non dialogo: Il non riconoscimento dell’altro. E i giovani stanno, per l’ennesima volta, pagando il prezzo di un preconcetto e di un cattivo esempio da parte di quei molinari che li hanno accolti.
Questo discorso, questo esercizio per la ricostruzione, deve essere praticato da entrambi le parti, soprattutto in un Paese che si fonda sulle proprie differenze e che fa del dialogo, del negoziato dei punti di forza. Così dovrebbero fare il nostro Cantone e così il nostro Comune: imparare e apprezzare la diversità culturale e di pensiero della popolazione, riconoscerla; sarebbe il primo passo per prepararci un futuro a cui tanto stiamo anelando, un futuro di collettività, accettazione, giustizia sociale e pari diritti.
Il Molino, che lo si frequenti oppure no, è semplicemente un’alternativa. Un discorso alternativo. Uno sguardo verso la nostra società che sfrutta un altro punto di vista. Capire che vi sono altri punti di osservazione dovrebbe favorire il confronto, lo scambio di opinioni e una crescita personale. Come la ristrutturazione di un edificio, dove materiali si mischiano e si completano per differenti proprietà fisiche, così dovrebbe essere la ristrutturazione del rapporto fra popolazione, Municipio e autogestione. La difficoltà di comunicazione e di non riconoscimento, ha portato a una mancanza di dialogo e di ascolto. Ora più che mai, per poter gettare delle basi solite dalle macerie ancora fumanti dello stabile dell’ex macello, chiediamo a gran voce che ci si risieda al tavolo, con un mediatore, per partecipare e condividere il progetto di ricostruzione. Ascoltando, prima ancora di parlare. Perché i detriti a terra fanno già abbastanza rumore.