Cristiano Poli Cappelli
Prendo spunto da alcune dichiarazioni lette e ascoltate, da parte di alcuni esponenti politici locali, a seguito degli ormai celebri fischi dei molinari, e non solo, durante la celebrazione del 1 agosto a Lugano.
Ho sempre più la sensazione che, a esprimersi, con organizzata veemenza e retorica, siano sempre gli stessi che reclamano ordine e disciplina mentre coloro che hanno idee diverse decidano di tacere, vuoi per pudore, vuoi per paura, vuoi per mancanza d'idee, vuoi ancora per indole meno teatrale.
Sta di fatto che un marziano piombato su Lugano la settimana scorsa, leggendo le varie dichiarazioni, potrebbe quasi pensare che sia vietato per legge esprimere un’opinione contraria a quella espressa dalle Istituzioni. Potrebbe pensare che la Rivoluzione Francese sia passata senza lasciare nulla alle sue spalle e che Guglielmo Tell non fosse altro che uno spiantato che osò ribellarsi all’autorità. Guglielmo Tell, simbolo meraviglioso di un popolo alla ricerca della sua libertà che citiamo spesso e volentieri senza forse riuscire a immedesimarci del tutto nei principi che la sua leggenda ispira.
È ovvio, Guglielmo Tell possa essere visto non già come simbolo della Svizzera che si erge contro il dominio straniero ma, a seconda della prospettiva, come un simbolo di anarchia, di pericoloso esempio di mancanza di sottomissione all’autorità. Non è affatto un caso che qualche regime abbia deciso, nel passato recente, di vietare la rappresentazione dell’opera di Schiller, “Guglielmo Tell”: guai a diffondere un ideale di libertà che giustifichi addirittura l’uccisione del tiranno. Insomma: Tell può essere un simbolo di libertà - a me piace, ovviamente, vederlo così - o come simbolo d'irriverenza, di mancanza di rispetto, d'inosservanza delle leggi, a seconda della narrazione e dell’uso che se ne fa.
A bene vedere, il primo agosto, non abbiamo assistito a gesti rivoluzionari di chissà quale portata distruttiva. Non abbiamo assistito a vetrine frantumate, barricate, lanci di pietre, morti, feriti, cariche della polizia, fumogeni, arresti. Abbiamo semplicemente ascoltato dei fischi: gli stessi fischi che ascoltavamo nei teatri quando un’opera, un concerto o una rappresentazione non piacevano al pubblico. Fischi assordanti, irriverenti, senz’altro ineducati, non adatti a cene di gala con le posate d’argento e bicchieri di cristallo, va bene. Fischi che non provenivano solo dai cosiddetti molinari, ma da una buona fetta di cittadinanza. In merito a questi fischi abbiamo letto che ci si trova di fronte a una “contestazione anarchica che ha tutta l’aria di diventare sistematica”. Ora, mi domando: e se anche fosse? E se questa contestazione diventasse sistematica? Da quando in qua le contestazioni sono educate e raffinate? Forse qualcuno dimentica o non ha mai saputo o non accetta che nei paesi democratici, in cui vige lo Stato di Diritto, il popolo possa contestare i propri rappresentanti e che lo faccia con urla, con manifesti, con fischi, con striscioni. Mi rendo conto che questo non faccia piacere: i politici sul pulpito preferirebbero essere osannati da folle festanti. Se dovessi trovarmi nella stessa situazione sarei estremamente dispiaciuto nel subire dei fischi. Sta di fatto che, in regimi di libertà, le persone hanno il diritto anche di fischiare e il fatto che questo episodio venga visto con tanto stupore dovrebbe far preoccupare non tanto i politici che fanno queste dichiarazioni ma, al contrario, i cittadini tutti e i politici portatori d'idee personali e di opposizione. Leggo di manifestazioni che dovrebbero “stroncate sul nascere” e, onestamente, mi vengono i brividi. È questo il tipo di paese che vogliamo? Un paese in cui se esprimo un dissenso questo dissenso debba essere stroncato? La storia non ci ha ancora insegnato abbastanza?
Karin Valenzano Rossi, la nostra municipale fischiata, che rappresenta il partito per cui sono stato candidato, ha dichiarato di essere dispiaciuta ma che i fischi sono legittimi. Credo che siano parole importanti e condivisibili, che mostrano un tentativo di tenere vivo il dialogo: un dialogo che non bisogna cercare d'interrompere mai, con tutte le parti nonostante gli errori che possono essere stati fatti. La parola Dialogo deriva dall’unione di Dia e Logos, ovvero incontro tra due discorsi, ma anche tra pensieri diversi, contrari, che possono trovare un punto in comune.
Se i fischi sono legittimi è cosa ben diversa e giustissima condannare fermamente gli episodi di violenza contro cose e persone, condannare le minacce personali a cui purtroppo abbiamo assistito così come tutte le violazioni delle leggi. Le violazioni e le responsabilità penali sono personali. Il diritto ce lo insegna: cerchiamo di non dimenticarlo mai. Facciamoci guidare dal diritto, anche quando siamo classe dirigente. Il Diritto è la garanzia della pacifica convivenza e lo Stato crea, rappresenta, e dà il buon esempio seguendo il diritto sempre, anche e soprattutto quando i cittadini non lo rispettano, anche di fronte alle fattispecie più estreme.
Attenzione però a imboccare la strada di coloro che vorrebbero ridurre al silenzio le voci contrarie, le voci che contestano. Guai a far tacere chi la pensa diversamente da noi, guai a far tacere chi ci contesta, ci fischia, ci urla la sua rabbia: vorrebbe dire che abbiamo scelto la strada del manganello piuttosto che quella del dialogo, dell’imposizione piuttosto che quella comprensione e queste sono strade pericolose per la democrazia.