Fabio Regazzi, Consigliere agli Stati
La decisione del Consiglio federale di rendere immediatamente applicabile la nuova ordinanza sulla legge CO₂ – con effetto retroattivo al 1° gennaio 2025 (!) –è un duro colpo per il già fragile settore automobilistico svizzero. Un settore che, in un momento di difficoltà, si trova ora a fare i conti con un provvedimento che rischia di paralizzarlo.
I dati parlano chiaro: nei primi tre mesi del 2025, il mercato svizzero delle auto ha registrato un calo delle vendite dell’8% rispetto all’anno precedente, con appena 52’700 vetture nuove immatricolate. In Ticino, la flessione arriva addirittura al 10%. È In questo contesto di significativa riduzione della domanda che si inserisce la rigida normativa imposta da Berna.
L’ordinanza prevede un severissimo limite alle emissioni di CO₂ per le nuove auto vendute in Svizzera: 93,6 g/km, una soglia inferiore a quella europea e impossibile da rispettare nel breve-medio periodo. Basti pensare che, terminato il primo trimestre, la media svizzera è ancora a 118 g/km. Per ottemperare alla nuova regola, gli importatori dovrebbero praticamente vendere solo auto elettriche da qui alla fine dell’anno, un obiettivo del tutto irrealistico, considerato che il mercato dell’elettrico è fermo al 20% e cresce a rilento, a dimostrazione che il comportamento dei consumatori non si lascia influenzare più di tanto da normative dirigistiche.
L’impatto economico sarà molto pesante: le multe a carico degli importatori per il superamento dei limiti potrebbero raggiungere, già quest’anno, il mezzo miliardo di franchi, mettendo a rischio la sopravvivenza di molte aziende del settore e migliaia di posti di lavoro. In un momento in cui il potere d’acquisto delle famiglie è già eroso dall’inflazione e dal carovita, questa stretta appare incomprensibile e del tutto scollegata dalla realtà economica del Paese.
V’è da chiedersi perché la Svizzera abbia deciso di applicare regole così rigide in modo immediato e addirittura con effetto retroattivo, mentre l’Europa prevede un’implementazione spalmata su tre anni. Una maggiore gradualità avrebbe permesso al settore di adattarsi, senza infliggere un colpo durissimo a un mercato già sotto pressione.
Ancora una volta, la Svizzera vuole fare la prima della classe (e questo nonostante il nostro impatto sulle emissioni globali sia trascurabile), solo per assecondare i soliti burocrati che scrivono le ordinanze comodamente seduti nei propri uffici di Berna e con un lauto stipendio assicurato, incuranti delle conseguenze per la nostra economia e per la popolazione. Ma ancora peggio ha fatto il Consiglio federale, che non ha avuto il coraggio di bloccare questa proposta. Se non riconsidererà questa scelta, il rischio concreto è quello di una paralisi del settore automobilistico svizzero, con gravi ripercussioni su aziende, posti di lavoro ma anche per gli automobilisti.
Una transizione ecologica è necessaria, ma deve avvenire in modo pragmatico e realistico, non con decisioni calate dall’alto che minano la competitività e la stabilità economica del Paese.