Il processo contro tre dirigenti del Consiglio centrale islamico della Svizzera si aprirà mercoledì al TPF. E gli imputati promettono: «Nessuna cooperazione con il Ministero pubblico»
BERNA / BELLINZONA - Il Consiglio centrale islamico della Svizzera (CCIS) ha di nuovo negato oggi recisamente ogni intento di propaganda a favore del terrorismo a due giorni dal processo contro tre suoi dirigenti che si terrà davanti al Tribunale penale federale di Bellinzona. Un processo che definisce «politico», con accuse «senza fondamento».
In una conferenza stampa tenuta a Berna, alla quale hanno partecipato i tre imputati, il piccolo ma molto attivo gruppo islamista ha ribadito la tesi che Abdallah al-Muhaysini, la cui videointervista in Siria sarà al centro del processo, non è mai stato membro di al-Qaida o della sua succursale siriana an-Nusra ma un «costruttore di ponti» tra i vari gruppi ribelli siriani e un attivo oppositore dello Stato islamico (Isis).
Il CCIS ha pure anticipato che al processo gli imputati non intendono «cooperare con il Ministero pubblico della Confederazione»: manterranno il silenzio e non risponderanno alle domande poste. Il CCIS si aspetta peraltro una piena assoluzione.
Le accuse della Procura federale - La Procura federale federale ha rinviato a giudizio lo scorso settembre il presidente del CCIS Nicolas Blancho, il responsabile della comunicazione Qaasim Illi - entrambi 34enni svizzeri convertiti all'Islam - e il 26enne «produttore culturale» dell'organizzazione Naim Cherni, un tedesco che vive a Berna, con l'accusa di aver violato la legge federale che vieta i gruppi terroristici al-Qaida e Stato islamico nonché le organizzazioni associate.
Concretamente, Cherni è accusato di aver girato nell'ottobre 2015 video in Siria ritenuti opera di propaganda a favore di al-Qaida o di un gruppo ad essa associato. Video che sono stati poi approvati da Illi e pubblicizzati in accordo con Blancho tramite social media e anche in occasione di una manifestazione pubblica a Winterthur nel dicembre 2015.
Nei video è contenuta in particolare una intervista ad Abdallah al-Muhaysini, un saudita che la Procura federale ritiene fosse un alto rappresentante di al-Qaida in Siria, cosa che gli imputati negano recisamente, come l'interessato stesso.
La versione del CCIS - Secondo la versione del CCIS - illustrata sul suo sito web - Naim Cherni si era recato nel 2015 «per l'ennesima volta» in una zona ribelle siriana. Suo obiettivo sarebbe stato di «trattare in modo critico» gli argomenti avanzati dallo Stato islamico in costante rafforzamento contro gli altri ribelli che, secondo l'Isis, sarebbero stati soltanto dei «semplici laici senza alcun interesse a stabilire un regime postrivoluzionario sulla base della legge islamica, la sharia».
In questo contesto il «produttore culturale» sostiene di aver intervistato Abdullah al-Muhaysini, definito dal CCIS «un ribelle indipendente conosciuto come mediatore e costruttore di ponti con un background islam(isti)co», che «dal 2014 si era fatto un nome con il suo tentativo di mediazione tra i ribelli e lo Stato islamico».
Dopo che l'Isis «aveva rifiutato di abbandonare il suo slogan di supremazia, l'indipendente Al-Muhaysini aveva dichiarato giustificata la lotta unita contro il gruppo estremistico», sostiene ancora il CCIS. Cherni avrebbe dunque «giudicato una conversazione con lui sul contesto della sua critica verso l'Isis appassionante e anche utile nella lotta contro la narrativa» dello stesso Stato islamico.
Il processo davanti al TPF si aprirà mercoledì e si concluderà giovedì davanti alla Corte penale con un collegio di tre giudici. La lettura della sentenza è prevista per il 25 maggio, secondo l'agenda pubblicata sul sito del tribunale.