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Guerriglia a Gaza? «In ogni finestra può nascondersi un cecchino»

Quale scenario attende i soldati israeliani a Gaza? Ne parliamo con Mauro Gilli, esperto di strategie militari del Politecnico di Zurigo
Quale scenario attende i soldati israeliani a Gaza? Ne parliamo con Mauro Gilli, esperto di strategie militari del Politecnico di Zurigo

Strade, edifici, cunicoli sotterranei e, inevitabilmente, macerie. Lo scenario urbano di Gaza, in cui Israele si appresta ad attuare una campagna offensiva di terra con l'obiettivo di "estirpare" le forze di Hamas, è militarmente un rompicapo. Che tipo di operazione sarà? Con quali, potenziali, conseguenze? Ne abbiamo parlato con Mauro Gilli, ricercatore ed esperto di strategie militari e di sicurezza internazionale del Politecnico di Zurigo.

Israele da giorni sta facendo evacuare il nord della Striscia di Gaza per poter dare il via a un’operazione militare di terra. Parliamo di un contesto urbano: strade, edifici, strettoie e cunicoli sotterranei. Che tipo di offensiva si sta configurando?
«Le invasioni di terra sono generalmente delle operazioni difficili. Il problema principale lo hai quando vai a scontrarti contro una forza non convenzionale, ovvero non con un altro esercito che combatte in modo convenzionale, carro armato contro carro armato. In quel contesto, in una guerra d'attrito, avere la superiorità tecnologica è ovviamente un grande vantaggio. Se hai carri armati più resistenti, artiglieria che colpisce più a lungo raggio, ecco che il tuo vantaggio tecnologico si traduce in un vantaggio operativo e poi strategico. Quando invece l'invasione di terra è contro un avversario che non ha una forza regolare - e che quindi si appresta a lanciare una guerriglia - questo è un problema. E, recentemente, lo abbiamo visto sia in Iraq che in Afghanistan. Il solo fatto di combattere una guerriglia è di per sé molto complesso. Lo è per una serie di ragioni. Prima di tutto è però una questione di interessi: vai in un Paese straniero e porti i tuoi soldati in un territorio dove vivono altre persone. Prima o poi i tuoi soldati se ne dovranno andare, mentre la popolazione locale combatte per il proprio territorio».

Uno scenario pieno di insidie...
«Quando la guerriglia diventa urbana è tutto più complicato, perché in ogni finestra può nascondersi un cecchino. Ogni tombino può contenere una bomba o una mina. Ogni bambino che attraversa la strada può avere con sé dell'esplosivo per andare a farsi saltare in aria. Il contesto urbano diventa quindi un complesso in cui la quantità di ostacoli al campo visivo è tale per cui diventa molto difficile avvistare i potenziali pericoli e a neutralizzarli. E quindi può diventare un bagno di sangue. Il caso dell'Azovstal di Mariupol, in Ucraina, può darci un'idea. Sono riusciti a resistere per mesi. Perché in un territorio urbano, in cui ci sono poi dei cunicoli, tu puoi distruggere gli edifici. Ma più ne distruggi e più si creano macerie. E più si creano macerie e più, se tu bombardi, non distruggi più nulla perché hai queste macerie che vanno a fare da cuscinetto a ulteriori colpi di artiglieria e missili aria-terra».

AFP«In un territorio urbano, in cui ci sono poi dei cunicoli, tu puoi distruggere gli edifici. Ma più ne distruggi e più si creano macerie. E più si creano macerie e più, se tu bombardi, non distruggi più nulla perché hai queste macerie che vanno a fare da cuscinetto a ulteriori colpi di artiglieria e missili aria-terra».

Tracciando un parallelo con quanto già visto per la Russia nella guerra in Ucraina; Israele attraversa una fase di grande debolezza delle sue istituzioni. Il suo governo - invero ora ricompattato dalla crisi - è considerato tra i più deboli, se non il più debole, della sua storia. E in più ci sono la rabbia e la voglia di vendicarsi. Tutto questo come impatta sulla sua catena di comando?
«Illustriamola nel modo forse più estremo, che credo sia anche il più efficace. Se tu sei un membro delle forze armate israeliane e sei in profondo disaccordo con il governo in carica, e magari lo ritieni anche responsabile per quanto sta accadendo - ad esempio perché hai messo buona parte delle forze armate a difendere i coloni in Cisgiordania piuttosto che al confine con Gaza -, questo tipo di malessere si può poi tradurre in un minore grado di efficacia a livello tattico e operativo. È quanto accade anche in realtà civili: avere una leadership nella quale si crede, che motiva le persone, aumenta il livello di produttività. In più c'è un altro aspetto, che riguarda gli ordini o determinate decisioni che possono essere ritenute non corrette o inappropriate. I soldati sono in sostanza obbligati a metterle in pratica, però possono comunque non farlo nel modo in cui sono stati ordinati o, proprio perché la decisione è qualcosa in cui non credono, implementarli male. È un aspetto che sicuramente gioca un ruolo. Di certo non è quello che segnerà la differenza tra vittoria e sconfitta, ma è un fattore».

Sul fronte della sicurezza internazionale, la grande inquietudine è data dallo spettro di un riversamento del conflitto oltre i confini, in parte già in corso, se pensiamo alle schermaglie alla frontiera con il Libano. In quest’ottica, il fattore "tempo", inteso come durata, dell'offensiva che peso può avere?
«In termini prettamente probabilistici, più dura e più è probabile che accada qualcosa d'altro. Allargherei però lo sguardo. Se Israele dovesse iniziare quest'offensiva e si verificassero altri casi come quello accaduto l'altro giorno nell'ospedale a Gaza - perché purtroppo la guerra, indipendentemente da chi è a farlo, di morti ne provoca e questi mobilitano poi le piazze e le coscienze - è inevitabile aspettarsi che questo vada a gettare ulteriore benzina sul fuoco e che, tanto da una parte quanto dall'altra, ci possa essere un allargamento e vadano ad accendersi più focolai. Ed è anche da questa prospettiva che va visto l'arrivo delle due portaerei americane».

Ecco, gli Stati Uniti, senza sorprese, sono stati da subito molto reattivi. Da un punto di vista prettamente militare, come va letta questa decisione "muscolare" nel Mediterraneo orientale?
«Le mie chiavi interpretative sono due: una è operativa e l'altra è strategica. Quella operativa contempla il supporto in termini di copertura anti-aerea per Israele. Le portaerei generalmente non viaggiano da sole perché sono dei casermoni giganteschi, per cui se ne affondi una uccidi in un colpo cinquemila persone. Quindi hanno quello che viene chiamato il "carrier strike group", che include anche delle navi che hanno il ruolo di difesa anti-aerea. Che è orientato alla difesa della portaerei ma, quando si avvicinano al territorio, possono chiaramente fornire copertura anche alle strutture sulla terra ferma. Ulteriori radar e missili per Israele per abbattere i razzi di Hamas. Poi c'è l’interpretazione strategica, che consiste nel mandare un messaggio molto chiaro, all'Iran e a Hezbollah, per cui se questi ultimi dovessero intervenire e tentare di aumentare il numero di fronti, ecco che la marina degli Stati Uniti è lì è può intervenire. E Israele non si troverebbe così solo in una guerra su più fronti nella quale avrebbe grandi difficoltà a uscirne vincitore».

ReutersCome va letto lo schieramento delle due portaerei americane?«Le mie chiavi interpretative sono due: una è operativa e l'altra è strategica. Quella operativa contempla il supporto in termini di copertura anti-aerea per Israele. Quella strategica consiste nel mandare un messaggio molto chiaro, all'Iran e a Hezbollah». (nella foto la USS Gerald Ford, portaerei più grande al mondo)

Tornando al rischio di uno "spillover" della guerra. Lo scenario peggiore è quello di un coinvolgimento diretto dell’Iran. Nei fatti, questa eventualità quali conseguenze comporterebbe?
«Faccio un passo indietro. Il problema principale del coinvolgimento diretto è il come. L'Iran trasporterebbe le sue truppe in Libano per inviarle a combattere? Oppure lancerebbe missili balistici verso Israele? O entrambe le cose? In ogni caso, questo avrebbe delle implicazioni. L'Iran - come fece la Russia nel 2014 in Ucraina con quelli che venivano chiamati little green men - potrebbe mandare i suoi operativi che però vengono presentati come membri di Hezbollah e così facendo il fronte non si allargherebbe. Se invece inizia con i lanci di missili per colpire il territorio di Israele allora diventa un problema, perché a quel punto gli Stati Uniti possono reagire e bombardare i punti da cui vengono effettuati i lanci. Detto questo, arriviamo al fulcro della questione: un coinvolgimento diretto diventa un'escalation - anche togliendo l'aspetto nucleare dall'equazione - molto problematica. Perché l'Iran stesso ha dei problemi. Un regime che ormai da un paio d'anni ha proteste di piazza. E se dai a Paesi ostili la scusa di colpire le tue installazioni militari, che sono poi anche parte del tuo sistema di controllo e repressione della popolazione, da questo non ne esci rafforzato. E quindi mi pare ragionevole pensare che la deterrenza convenzionale funzioni ancora. Certo è che se dovesse scoppiare qualcosa, tipo l'Iran che attacca l'Arabia Saudita e Israele, e via di seguito, la situazione andrebbe a complicarsi. Si avrebbero a quel punto più focolai e servirebbero mezzi e uomini per "spegnere" questi focolai».

E chi lo considera, quasi, uno scenario da terza guerra mondiale? Esagera?
«Non esagera nel senso che se l'Iran entra in guerra lo fanno poi anche gli Stati Uniti. Poi l'Arabia Saudita. E a quel punto anche Inghilterra e Francia probabilmente si sentirebbero obbligate a fornire supporto. Quindi ci sarebbe in quel contesto un aumento del numero dei partecipanti. Ora, c'è chi dissente dalla mia interpretazione, ma a mio avviso le armi nucleari rendono qualcosa del genere molto meno probabile. Paradossalmente anche perché l'Iran si è sviluppato in questo senso. E tutto questo suggerisce che un coinvolgimento di più Paesi diventi meno probabile. Lo abbiamo visto anche in Ucraina: gli armamenti vengono inviati però non c'è stato un coinvolgimento delle truppe. Piuttosto c'è stato, a livello pazzesco, in termini di intelligence. Ma oltre a quello non si è andati. Quindi mettiamola così: possiamo escludere scenari apocalittici? No, non possiamo mai escludere nulla. Ma è qualcosa di probabile? Mi sento di dire di no».

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