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Addio a Geo Mantegazza, l'uomo che ha fatto la storia dell'HC Lugano

L'impero miliardario. L'avventura dell'hockey nata nel caffè Olimpia di Piazza Riforma. Il rapimento e il riscatto milionario.
L'impero miliardario. L'avventura dell'hockey nata nel caffè Olimpia di Piazza Riforma. Il rapimento e il riscatto milionario.

«Vorrei morire in possesso delle mie facoltà, serenamente, in pace con tutti, con i miei cari vicino, e ovviamente il più tardi possibile». Era questo il desiderio di Geo Mantegazza. Lo aveva detto qualche anno fa durante un’intervista. Si è spento a 95 anni. Amava il sole, il caldo, il mare. 

«Se dovessi vivere lontano dal Ticino, vivrei allora in un posto che gli somigliasse, se possibile con un inverno più corto», disse una volta. Imprenditore di successo, ingegnere, presidente di trofei alla guida dell’Hockey Club Lugano, che ha portato per quattro anni alla vittoria nel campionato svizzero e al secondo posto nel campionato europeo, nella stagione 1986/87. Miliardario, il cui patrimonio si aggira attorno ai quattro miliardi. Non amava parlare di soldi «sono fonte di preoccupazione, per chi ne ha e per chi non ne ha» aveva dichiarato in una nostra intervista.

L’impero miliardario
Era nato il 12 novembre del 1928, da mamma Angelina Ribozzi e papà Antonio. Di professione noleggiatore di barche, il padre, fece fortuna negli anni in cui Lugano era un naturale punto di passaggio commerciale. Si dice che trasportò anche molti profughi in fuga dall’Italia fascista. Fondò la Globus proprio nell’anno della nascita del figlio Geo. Inizialmente era un ufficio viaggi con diversi pullman. Una dozzina di veicoli, che portavano in giro per la Svizzera i turisti stranieri. Ma è solo con la fine della seconda guerra mondiale che la Globus prese vigore e spiccò il volo.

La Globus si inventò in quel periodo il concetto dei “circuiti guidati in bus” e in breve tempo, a partire dal 1950, i torpedoni iniziarono a viaggiare in Europa. La gestione dell’azienda viene presa in mano soprattutto dal fratello Sergio. Geo restò tuttavia attivo all’interno della Globus come consigliere, ma si concentrò essenzialmente nell’attività di ingegnere affermandosi nel campo edilizio e svolgendo importanti incarichi nel settore delle costruzioni pubbliche e private con la realizzazione di palazzi ed edifici di alto standing.

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Oggi la famiglia Mantegazza – stando ai beninformati - possiede a Lugano 500 appartamenti, tra cui stabili di grandi dimensioni, come il Palazzo Mantegazza in Riva Paradiso con 15'000 metri quadrati di appartamenti e la Residenza Grand Palace.  La carriera di ingegnere è stata costellata di successi ed è andata di pari passo con i successi collezionati dalla Globus. L’azienda negli anni sessanta strinse accordi con Werner Albeck e inaugurarono le gite turistiche in aereo verso località estive.

Ma il grande botto avvenne solo nel 1968 con la creazione della Monarch Airlines, tra le più importanti in Inghilterra, che arrivò a contare fino a 22 aerei Airbus e Boeing. Per tutti gli anni settanta, ottanta e novanta la Globus e la Monach Airline (quest’ultima è stata venduta nel 2005) sono stati i leader incontrastati  nel mercato mondiale dei viaggi, riuscendo a trasportare ogni anno più di cinque milioni di passeggeri verso centinaia di destinazioni per il mondo. La passione per i viaggi non si è esaurita a questo. La famiglia è azionista della Avalon Waterways, società che si occupa di navi da crociera con 16 imbarcazioni.

Il nome di Geo è legato anche al lago di Lugano. In pochi se lo ricorderanno ma è stato lui a progettare e a dirigere i colossali lavori durati vent’anni con la posa di canali, tubi e impianti di depurazione, lavori che hanno permesso di rendere l’acqua del Ceresio definitivamente limpida. Un amore per Lugano che lo ha visto impegnato come consigliere comunale per 13 anni tra le file del PLRT.

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Il Presidentissimo
La storia di Geo Mantegazza non è solo quella di un imprenditore di successo legato a palazzi e viaggi. Nell’immaginario collettivo il suo nome è legato indissolubilmente alla storia dell’Hockey Club Lugano. Per 12 stagioni ne è stato il Presidente, dodici campionati irripetibili (dal 1978/1979 al 1990/1991) che hanno segnato la storia non solo dell’hockey ticinese, ma di quello svizzero.

Geo ha avuto il merito di trasformare una squadra che non faceva notizia, in una vera e propria organizzazione sportiva capace di vincere per ben quattro volte il titolo di campione svizzero. Un’avventura, quella di Geo e l’HC Lugano, nata verso la fine del 1977 al caffè Olimpia di Piazza Riforma. La squadra si trovava in un mare di debiti, bazzicava in serie B e i tifosi erano sempre meno. Una situazione finanziaria e sportiva che avrebbe fatto scappare qualsiasi investitore. Ma non lui. «Le sfide mi sono sempre piaciute», disse una volta.

La passione per lo sport fece il resto. Una passione che lo aveva visto giovanissimo giocare nel calcio come centravanti nel Rapid Lugano, poi nel Chiasso, e infine anche nel Lugano. Perfino da studente, al Politecnico di Zurigo, aveva giocato nella nazionale degli universitari. Ma la passione sportiva lo portò ad abbracciare l’hockey. Il Lugano, intesa come società di hockey, gli era sempre piaciuta. Era stato in passato spettatore di diverse partite. Con lui la squadra riuscì a entrare in serie A, a vincere trofei, a giocare partite importanti in Coppa dei Campioni contro squadre come il Cska Mosca. Merito anche dell’allora allenatore John Slettvoll.

E proprio su quest’ultimo, Geo amava raccontare l’aneddoto di cose era rimasto colpito dall’allenatore. Era il 1982 e si recò fino a Stoccolma per incontrarlo. Slettvoll stava preparando la sua squadra e quando incontrò Geo gli disse che gli avrebbe dedicato solo cinque minuti per palare con lui perché doveva tornare dai suoi ragazzi e allenarli. Una frase che fece capire a Geo di trovarsi di fronte all’uomo giusto, che Slettvoll era l’allenatore che cercava per HCLugano.  Per 12 anni ha gioito e sofferto con la sua squadra, indossando sempre il suo famoso maglione verde.

Lo ha portato fino alla fine, anche nell’ultimo incontro pubblico che si è tenuto nel 2018 alla Corner Arena per la festa dei suoi 90 anni insieme alla squadra e ai tifosi. Un maglione verde che per lui era una sorte di portafortuna. «Lo indosso spesso. Quando per esempio ci sono dei momenti in cui le cose non vanno per il verso giusto me lo rimetto, in segno di scaramanzia», aveva raccontato in una intervista.

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Prigioniero per 31 ore e il riscatto milionario
La vita di Geo Mantegazza non è stata costellata solo da successi e denaro. Non sono mancati i drammi: la morte prematura di un figlio a causa di una malattia congenita, e il suo rapimento avvenuto il 18 dicembre del 1995. Un rapimento che ha fatto molto discutere, nonostante sulla vicenda la famiglia Mantegazza abbia sempre avuto uno stretto riserbo. Era un lunedì. Alle 12.10 tre individui sbucarono dal garage sotterraneo del Palazzo di Riva Paradiso 32, quartier generale di Geo, e lo rapirono.

Prima lo narcotizzarono, lo incappucciarono e lo spinsero in un’auto. L’odissea di Geo in mano ai rapitori durò circa 31 ore. In quelle ore i malviventi tentarono di mettersi in contatto con la famiglia per un riscatto. Arrivarono quattro chiamate. Fondamentali per aiutare gli inquirenti a mettersi sulle tracce dei rapitori. La prima dal Luganese, la seconda dalla zona di Zurigo, la terza dalla regione di Sargans e la quarta dal confine tra Svizzera e Liechtenstein. 

Quest’ultima mise in contatto gli uomini direttamente con il fratello Sergio. Geo fu liberato il giorno successivo, martedì, alle 19.40 a Nendeln, poco lontano da Vaduz, nel Principato del Liechtenstein.

La stampa parlò di un riscatto milionario, qualcuno avanzò la cifra quattro milioni, altri invece di 10 milioni. Alcune indiscrezioni avevano fatto spuntare una pista russa con agganci nel Luganese, come responsabile del rapimento. A distanza di alcuni mesi dai fatti, un’inchiesta della polizia zurighese riferì di un riscatto pagato nei sotterranei della clinica universitaria di Zurigo: si parlò di una borsa piena di soldi. La cifra era di 6 milioni di franchi.

Fatti sui quali calò subito una cortina di silenzio. Geo non ha mai voluto parlarne pubblicamente. Concedeva pochissime interviste. Non partecipava a eventi mondani. Lo si vedeva solo alle partite di hockey. Ha sempre protetto la sua sfera privata. In una delle poche interviste intime, alla domanda come avrebbe trascorso la sua ultima mezzora di vita, aveva risposto: «Mi isolerei con le persone più care, ad ammirare le bellezze del creato, ringraziando il suo fattore». Sicuramente sarà andata così.


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