Il presidente degli Stati Uniti vuole vietare l'utilizzo del social in America in nome della sicurezza nazionale
Che al giorno delle elezioni presidenziali non manchi tanto, Trump lo ha ben capito. Tanto che non passa giorno senza che i notiziari di tutto il mondo riferiscano di qualche sua dichiarazione o presa di posizione, più o meno ragionata. Se infatti Joe Biden, suo diretto avversario, ha scelto di tenere un basso profilo, lasciando che siano la crisi finanziaria e sanitaria ad affondare il tycoon, Donald Trump, al contrario, non abbandona il suo stile alzando, se possibile ancora di più, il tenore delle sue esternazioni. L’ultima, in ordine di tempo, riguarda la decisione del Presidente americano di rendere la vita difficile al social Tik Tok, usato da milioni di utenti in tutto il mondo ma reo di avere origini cinesi.
Legami col partito comunista? - Venerdì 31 luglio Trump ha dichiarato di essere pronto a firmare un ordine esecutivo per vietare l’utilizzo di Tik Tok in America in nome della protezione della sicurezza nazionale. Anche il segretario di Stato Mike Pompeo aveva dichiarato a Fox News che «le compagnie cinesi forniscono dati direttamente al Partito comunista cinese e al suo apparato di sicurezza nazionale». Pompeo ha poi ribadito che «quando Trump prenderà la sua decisione garantirà che ci sia zero rischio per il popolo americano». Non è la prima volta che Tik Tok si è dovuta difendere dall’accusa di collaborazionismo con il Partito comunista cinese: «Non siamo politici, non accettiamo pubblicità politica e non abbiamo una agenda -ha affermato il Ceo Kevin Mayer- L’intero settore è sotto esame, e giustamente. A causa delle origini cinesi dell’azienda siamo sottoposti ad un esame ancora più attento. Lo accettiamo e accettiamo la sfida».
Un nuovo colosso - Tik Tok è un social network cinese creato nel 2015 da Alex Zhu e Luyu Yang con il nome di musical.ly. Attraverso tale applicazione, gli utenti posso creare brevi clip musicali, modificare la velocità di riproduzione, aggiungere filtri ed effetti particolari per una durata che varia dai 15 ai 60 secondi. La prima versione di musical.ly è stata lanciata ufficialmente nell’agosto del 2014 e, dopo essersi espansa nel mercato indonesiano, è stata poi acquisita dal colosso cinese ByteDance, di proprietà di Zhang Yiming, una multinazionale valutata 50 miliardi di dollari che ha reso Yiming il nono uomo più ricco al mondo. Attraverso un aggiornamento, ByteDance ha fuso insieme la piattaforma Tik Tok, creata da Yiming, con musical.ly, al fine di allargare la base degli utenti, mantenendo il nome di Tik Tok per il mondo occidentale e di Douyin per la Cina. L’applicazione conta 800 milioni di utenti attivi ed è stata scaricata oltre due miliardi di volte.
Portale di spionaggio - Dopo la sua esplosione nel 2019, Tik Tok è stata posta sotto attacco in diverse parti del mondo: se in Europa si sta studiando la questione della violazione, da parte della app, del regolamento per la gestione della privacy, in altre parti del mondo, come India e Pakistan, Tik Tok è stato bandito quale minaccia alla privacy e per i suoi contenuti ritenuti «immorali, osceni e volgari». Un duro colpo per l’azienda se si considera che un terzo dei suoi utenti risiede proprio in India. Il 2 luglio di quest’anno il gruppo di hackativisti Anonymous ha denunciato la pericolosità di questo social network che, secondo quanto sostenuto dagli attivisti, sarebbe controllato dal governo cinese e agirebbe al solo fine di portare avanti uno spionaggio di massa. Nel proprio tweet il gruppo Anonymous non usava mezzi termini: “Cancellate Tik Tok in questo momento e se conoscete qualcuno che lo usa, spiegategli che non è nient’altro che un malware nelle mani del governo cinese intento in una colossale operazione di sorveglianza di massa”.
Radicato nella cultura occidentale - Dal canto suo Tik Tok ha sempre ribadito la propria indipendenza dal governo cinese ricordando che il Ceo dell’azienda è l’americano Kevin Mayer, già a capo della divisione streaming della Disney, che la sede principale è a Los Angeles mentre Londra rappresenta il principale hub per il mercato europeo. «Tik Tok è guidata da un Ceo americano, con migliaia di dipendenti che lavorano sul prodotto, sulla sicurezza e per rispondere alle policy americane -ha spiegato un portavoce della società- Non abbiamo mai fornito i dati dei nostri utenti al governo cinese e non lo faremo se ci venisse richiesto». Tik Tok, inoltre, al pari di Google, Facebook e Twitter, ha annunciato che bloccherà la possibilità di scaricare l’applicazione nei mobile store a Hong Kong per protestare contro le leggi volute da Pechino che limitano la libertà di manifestare pacificamente e impongono alle società tecnologiche di condividere i dati che consentono di localizzare i propri utenti. Eppure, nonostante il suo essere così radicato nella cultura occidentale, Tik Tok continua a essere visto con sospetto: è molto probabile che non gli venga perdonato di essere stato il primo social network a diffusione mondiale a non provenire dalla Silicon Valley. Una minaccia per lo strapotere dei colossi digitali americani.
Tutti la vogliono - Con un valore di mercato di oltre 50 miliardi di dollari, sono state tante le società che hanno pensato di voler acquisire la proprietà di Tik Tok: tra loro anche Sequoia e General Atlantic. È da un po' di tempo che si parla, più concretamente, di una possibile acquisizione della piattaforma da parte della Microsoft, nonostante il presidente Trump si sia detto “fortemente contrario alla cessione”. Domenica 2 agosto il gigante hi-tech statunitense ha confermato i negoziati con la cinese ByteDance per la gestione di Tik Tok negli Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Il Ceo di Microsoft, già proprietaria di Linkedin, Satya Nadella ha parlato, nei giorni scorsi, con Trump al telefono per discutere delle preoccupazioni presidenziali in merito a una possibile minaccia alla sicurezza nazionale dovuta alla gestione dei dati da parte della società cinese. Microsoft ha rilasciato una dichiarazione nella quale conferma di comprendere «appieno l’importanza di affrontare le preoccupazioni del presidente e di essere impegnato ad acquisire Tik Tok rispettando una completa revisione della sicurezza e fornendo benefici economici adeguati agli Usa».
«Il Ceo d'America» - Dopo una prima e, all’apparenza, irremovibile contrarietà all’acquisto di Tik Tok, Trump ha fatto marcia indietro e si è detto favorevole all’accordo solo se da questo il dipartimento del Tesoro ne ricaverà «una quota molto significativa» ed ha concesso il termine del 15 settembre per concludere la trattativa. Secondo Trump, quindi, il governo deve avere una fetta dell’incasso,«a substantial portion» queste le parole usate, quasi a ringraziare del fatto che il Presidente ha reso possibile l’operazione commerciale. Il riconoscimento di una quota dell’affare sarebbe un precedente pericoloso per la libertà dei negoziati tra imprese costituendo una sorta di tassa sugli investimenti esteri. Alla luce di questi avvenimenti si può capire perché il New York Times ha scritto che Trump ha l’impulso di comportarsi come se fosse il «Ceo d’America».
Ingerenza in una trattativa privata - In pratica, cosa assolutamente inedita fino a ora, il Presidente Usa, non solo ha esercitato una forte ingerenza nell’ambito di una trattativa privata, ma ha richiesto, neanche velatamente, una percentuale sul ricavato. Secondo il Wall Street Journal ByteDance aveva inizialmente proposto la creazione di un consiglio di amministrazione americano indipendente grazie all’accrescimento delle quote degli investitori statunitensi, di modo da farli arrivare a possedere la maggioranza delle operazioni relative al social network. Tale proposta però non era piaciuta a Trump che aveva insistito nella minaccia di bloccare definitivamente la piattaforma negli Stati Uniti. Per ora il Governo cinese non si è espresso ufficialmente sulla vicenda ma il China Daily, quotidiano inglese controllato dal Partito comunista cinese ha scritto in un editoriale che la Cina «non accetterà il furto di Tik Tok» mentre il ministro degli Esteri Wang Wenbin ha definito l’iniziativa della Casa Bianca come «totale bullismo». La Cina, continuava l’editoriale, «avrà molti modi per rispondere» se la cessione della piattaforma dovesse avvenire con successo.
Gli interessi di Microsoft - Appare chiaro come l’acquisto di Tik Tok da parte di Microsoft non abbia solo una grande rilevanza commerciale ma assuma una fondamentale importanza nell’ambito dei delicati rapporti diplomatici tra le due super potenze mondiali. Tutte le parti in causa hanno molto da guadagnare a seconda del buon esito o meno dell’operazione. Per Microsoft si tratta di una acquisizione importantissima: da quando è Ceo della società Satya Nadella, Microsoft è riuscita nell’impresa di acquistare il popolarissimo videogioco Minecraft per 2,5 miliardi di dollari, del social network Linkedin per 26 miliardi di dollari e della piattaforma per programmatori GitHub per 7,5 miliardi. Tutte operazioni molto fruttuose a differenza di quelle rivelatisi fallimentari, quali l’acquisto di Nokia e Skype. Se infatti è vero che Microsoft è ancora la società leader per quanto riguarda i software da ufficio, negli anni non è riuscita ad ritagliarsi una fetta nel mercato delle app e dei servizi non professionali.
Ad armi pari - Acquisendo Tik Tok e analizzando il comportamento dei suoi utenti, in prevalenza adolescenti, il colosso hi-tech spera di poter sviluppare dei propri software in futuro. Inoltre i controllo di Tik Tok permetterebbe a Microsoft di poter pubblicizzare i propri prodotti, in particolare la console per videogiochi Xbox, molto popolare tra i giovani, per la quale si starebbe pensando ad un servizio streaming direttamente collegato con Tik Tok. La piattaforma quindi diverrebbe, a seguito dell’acquisto, una società americana gestita da un consiglio amministrativo statunitense in diretta concorrenza con Facebook, Twitter e YouTube. Microsoft si troverebbe, per la prima volta, a concorrere, armi alla pari, con il colosso Facebook di Mark Zuckerberg e di vedersi proiettato nella corsa dei video online.
Il flop del comizio - Per quanto riguarda Donald Trump, la presa di posizione nei confronti di Tik Tok si inserisce nel solco dello scontro diplomatico legato alla guerra commerciale in atto da anni tra Stati Uniti e Cina. L’acquisizione di questa vincente creazione cinese sarebbe una vittoria su Pechino che potrebbe fargli acquisire punti in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Donald Trump ci ha infatti già abituato al fatto che, nel momento in cui il suo indice di gradimento inizia a scendere, torna a cavalcare i punti forti del suo programma elettorale e cioè la questione dell’immigrazione e la guerra diplomatica e commerciale con la Cina. Nel caso di Tik Tok, poi, i motivi di astio sono quasi personali se si pensa che al social cinese è da imputarsi, in gran parte, il flop del comizio presidenziale svoltosi a Tulsa. Erano stati annunciati un milione di biglietti prenotati per l’appuntamento in Oklahoma che doveva segnare la ripartenza del Presidente e invece erano presenti appena 19 mila persone. Tutta colpa di un boicottaggio di massa lanciato proprio su Tik Tok dai fan del K pop, pop fatto da band sudcoreane diventate famose negli Stati Uniti: migliaia di utenti hanno iniziato a rilanciare sul social i link per la prenotazione e a riservare a loro stessi i biglietti per il comizio presidenziale senza avere intenzione di parteciparvi. Alcuni appelli video sono diventati virali, con più di 700 mila like e 2 milioni di visualizzazioni con una stima di almeno 17 mila biglietti prenotati a vuoto. Il giorno dopo persino il sito conservatore Drudgereport titolava con molto sarcasmo “Maga less Mega”, ossia “Make America great again”, lo slogan di Trump, è meno grande.
Colpire pechino - L’acquisizione di Tik Tok da parte di una società americana potrebbe ridare lustro all’immagine del Presidente e, come detto, avrebbe una importanza fondamentale per la Microsoft ed è per questo che, dopo una prima totale chiusura, si è aperto uno spiraglio all’acquisizione nonostante sia noto che Trump e Bill Gates si detestino. Quest’ultimo infatti è tra i più ferventi critici delle azioni del Presidente, non ultimo per come ha gestito l’emergenza pandemica negli Usa. Donald Trump non ha mai nascosto di ritenere la Cina responsabile di quello che lui definisce non Covid-19 ma «virus cinese». Il 4 agosto, tornato sull’argomento, il Presidente ha dichiarato che «Non dimenticheremo mai che il virus viene dalla Cina. Prima della pandemia avevano avuto il peggior anno degli ultimi 67 anni. Loro stavano facendo male e noi bene e tutto ad un tratto è cambiato tutto». Che l’opposizione all’utilizzo di Tik Tok sia fortemente legata alla crisi pandemica lo ha detto a chiare lettere Trump stesso sostenendo che «E’ uno dei tanti modi per colpire il governo di Pechino, colpevole di aver infettato 3 milioni di persone negli Stati Uniti e averne uccise oltre 130 mila».
«A un passo da una nuova guerra fredda» - La tensione tra le due superpotenze è ai massimi livelli e il ministro degli Esteri cinesi Wang Yi, parlando all’Assemblea del popolo, ha detto che i due Paesi «sono a un passo da una nuova Guerra fredda». La pandemia mondiale e la questione Tik Tok hanno acuito ai massimi livelli i problemi tra Usa e Cina che, di volta in volta, sembrano trovare un nuovo motivo di scontro. È stato così per Huawei, per la "Guerra dei Dazi" e la Belt and Road. Con Huawei la Cina si presenta nel mercato tecnologico con lo slogan “La Cina può”. Una Cina che può tutto e che minaccia il potere mondiale degli Stati Uniti che decidono di passare all’attacco arrestando, il 1 dicembre 2018 all’aeroporto di Vancouver, Meng Wanzhou direttrice finanziaria di Huawei e figlia del suo fondatore Ren Zhengfei. Pochi giorni fa gli Usa hanno confermato il divieto dei prodotti Huawei sul mercato americano per motivi di sicurezza nazionale.
Mettere i bastoni fra le ruote alla Cina - Con la guerra economica giocata sui dazi, Trump ha dato seguito alle promesse enunciate durante la sua campagna elettorale. Per fare l’ “America great again” infatti si è reso necessario contrastare, in qualsiasi modo, l’esponenziale crescita economica della Cina. Ed è per questo che, dallo scorso anno, sono stati imposti dei dazi sui prodotti importati dalla Cina, strategia a cui la Cina ha risposto imponendo altrettanti dazi sui prodotti d'importazione americana. Stesso discorso per la Belt and road, le nuove vie della Seta, che riflettono l’ambizione della Cina di allargare sempre più le proprie relazioni commerciali. E così, mentre gli Usa soffrono da anni della perdita del ruolo di unica superpotenza mondiale, la Cina è pronta a prendere il suo posto elargendo lauti investimenti ai Paesi in crisi o in via di sviluppo, legandoli così a sé. Vi è poi la questione di Hong Kong e Taiwan. Durante l’amministrazione Trump, Washington si è avvicinata sempre più al governo di Taipei scatenando le ire cinesi. Ciò che risulta intollerabile al governo cinese sono le intrusioni di estranei nei propri affari interni: le proteste scoppiate lo scorso anno ad Hong Kong a causa di una discussa legge sull’estradizione hanno servito agli Usa l’occasione d’oro di porsi, agli occhi del mondo, come difensore dei valori di democrazia e giustizia mettendo in cattiva luce la nemica storica.
Divieti e sanzioni - Il braccio di ferro continua in un continuo susseguirsi di colpi di scena e Trump non ha intenzione di abbassare i toni. Il 6 agosto, infatti, il Senato americano ha approvato all’unanimità un progetto di legge che vieta di scaricare l’app Tik Tok su tutti i dispositivi forniti dal governo americano ai membri del Congresso e ai suoi dipendenti ribadendo che «Tik Tok rappresenta un rilevante rischio per la sicurezza e non ha posto sugli apparecchi del governo». Inoltre, lo stesso giorno, Trump è passato dalle minacce ai fatti firmando un decreto secondo la quale le società che fra 45 giorni continueranno a svolgere transazioni con le app Tik Tok e WeChat saranno soggette a sanzioni. Un decreto che impone quindi la vendita da parte di ByteDance del ramo americano della propria piattaforma ad una società americana.
Il 15 settembre: giorno della verità - Immediata è stata la reazione della Cina che ha parlato chiaramente di «manipolazione e repressione politica» da parte di Trump, mentre il ministro degli Esteri si è detto preoccupato dell’evolversi della vicenda che danneggerà produttori e consumatori statunitensi. In campo è scesa anche ByteDance che si è detta «sconcertata dal recente ordine esecutivo del governo degli Stati Uniti emesso senza seguire nessuna procedura regolare». La società cinese ha inoltre ricordato tutti i tentativi fatti, nell’arco di un anno, per «concordare una soluzione costruttiva» al fine di porre a tacere tutte le preoccupazioni espresse sull’utilizzo dei dati da parte di ByteDance. Secondo quest’ultima Trump sta creando un pericoloso precedente a causa della sua ingerenza nelle trattative economiche di due società private e minaccia «di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione al fine di assicurare che non venga messo a rischio lo stato di diritto di modo che i nostri utenti siano trattati in modo equo». E’ facile immaginare che fino alla fatidica data del 15 settembre le due superpotenze continueranno a fronteggiarsi senza esclusione di colpi: oggigiorno la Guerra fredda si combatte sui social.
Ultime indiscrezioni - Secondo il Wall Street Journal, Oracle avrebbe vinto la gara per l'acquisizione delle attività dell'app negli USA, battendo così Microsoft. ByteDance, che possiede il social, ha indicato che Oracle sarà il suo «partner tecnologico», ma non è chiaro se ciò significhi che controllerà la maggioranza dell'app. Secondo network in lingua inglese della tv statale cinese Cctv, però, ByteDance non cederà affatto gli asset statunitensi di TikTok a Oracle. Stando al canale televisivo di notizie Cgtn, che cita fonti anonime, anche Oracle sarebbe infatti esclusa dalla vendita. Nel caso in cui l'acquisizione fosse confermata, il prossimo passo spetterebbe alla Casa Bianca e alla commissione per gli investimenti stranieri negli Stati Uniti, che devono approvare l'intesa. Oracle è una delle poche aziende della Silicon Valley pubblicamente alleate del presidente Donald Trump.