Dietro le band coreane di ragazzi dal volto perfetto e sorridente c'è un sistema che brucia vite in cambio del successo
Nei video che spopolano su internet appaiono come giovani felici e di successo: cantano e ballano, sono ammiccanti e alla moda. Le ragazze hanno i lineamenti delicati da bambola e un fisico perfetto, i ragazzi hanno un tocco trasgressivo, magari i capelli colorati, pur conservando una immagine pulita e rassicurante. Sono le star del K-pop, genere musicale sudcoreano, la cui fama ha varcato i confini nazionali diventando, in breve tempo, idoli dei teenager di tutto il mondo. Eppure, ad una attenta analisi del fenomeno, ci si accorge che, a grattare appena la superficie dorata di ciò che appare come una vita di successo, si scopre un mondo di sfruttamento, dolore e, purtroppo, morte sapientemente nascosto dietro visi perfetti e sempre sorridenti.
Pressione schiacciante - «Ci sono sempre più cose che ci costringono a fare. Le persone si aspettano che gli idoli siano persone sorridenti e sane. Che siano sexy ma senza fare sesso. Che dimostrino carattere, ma senza combattere contro nulla. Quanto a lungo si può sopportare tutto questo? I soldi e la fama sono sufficienti? Non possiamo lasciare che gli interessi delle società di entertainment producano la diffusione di questo virus». Questo lo sfogo contro le major del K-pop del cantante Dongwan, uno dei pochi ad essersi esposto in prima persona contro il sistema tritacarne che sforna ogni anno centinaia di idoli. Una eccezione nel suo campo: nessuno parla e denuncia la realtà dei fatti perché il sistema non perdona alcuno sgarro e questo significa passare, rapidamente, da una vita di successi a una di assoluto anonimato. Se non peggio. I fatti raccontano di giovanissimi cantanti finiti presto nel dimenticatoio, bersaglio di cyberbullismo o della venerazione patologica di orde di fan. I fatti raccontano di giovani vite spezzate, di numerosi suicidi da parte di chi non riesce a sopportare la pressione schiacciante imposta dalle case di produzione sudcoreane.
Profitti economici - Da quando, infatti, si è imposto come fenomeno a livello globale, il K-pop è divenuto una macchina che muove miliardi di dollari ogni anno. Secondo una indagine dello Hyundai Research Institute, i BTS, la band icona del K-pop, portano all’economia coreana ogni anno 4 miliardi di dollari e l’1% di tutto l’export del Paese, oltre che una quantità spropositata di turisti che visitano la Corea nella speranza di vedere e sentir cantare i propri idoli.
Le origini - Per K-pop si intende un genere musicale che nasce dalla fusione del pop coreano con altri quali hip-hop, funky e R&B. Le sue origini si possono rintracciare nell’ondata di cultura occidentale arrivata in Corea tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del Novecento anche se, il K-pop moderno nasce all’inizio degli anni Novanta. Nel 1992, il trio ‘Seo Taiji and Boys’ si esibisce in uno show televisivo proponendo una performance canora e musicale in cui venivano inglobati nel testo della canzone alcune parole inglesi mentre i membri della band ballano una fusione di pop e hip-hop con un look colorato ispirato ai rapper americani. L’effetto per il pubblico fu scioccante ma i giovani si innamorarono immediatamente della band tanto che rimasero in classifica per 17 settimane di fila.
Tale enorme successo infonde un nuovo impulso all’industria musicale sudcoreana e si assiste alla nascita di diversi gruppi musicali che, ispirandosi alle boy band in voga in Occidente, cantano e ballano in perfetta sincronia. Con la Coppa del Mondo ci calcio del 2002, svoltasi tra la Corea del Sud ed il Giappone, il mondo occidentale comincia ad appassionarsi della cultura sudcoreana, compreso il K-pop, genere musicale ormai molto popolare non solo in Corea ma anche in Cina e Giappone.
Un successo globale - La svolta arriva nel 2012 quando il brano ‘Gangnam Style’ del cantante e produttore sudcoreano Psy diventa il brano musicale più visto di sempre, con oltre un miliardo di visualizzazioni su YouTube. Grazie a Psy ed alla sua canzone che ironizza sullo stile del quartiere esclusivo Gangnam, il K-pop oltrepassa i confini nazionali arrivando ad essere conosciuto in tutto il mondo. Le principali case discografiche sudcoreane, la SM Entertainment, la YG Entertainment e la JYP Entertainment, puntano molto sul mercato anglofono e dopo una serie di tentativi non troppo riusciti, nel 2017 un gruppo K-pop riesce a conquistare l’America: si tratta dei BTS, ossia Bang Tan Sonyeondan ‘Gruppo di ragazzi a prova di proiettile’, che diventano la prima band coreana della storia a conquistare un Billboard Music Award ed un American Music Award. Inoltre nel 2018 ‘Love Yourself: Tear’ diventa il primo album in coreano della storia della Billboard 200.
20 ore al giorno di esercitazioni - Negli anni seguenti sono nati tantissimi gruppi K-pop, maschili e femminili, capaci di totalizzare migliaia di visualizzazioni. In genere il numero minimo dei membri di un gruppo K-pop è di 4 persone ed in ogni band c’è una sorta di graduatoria con un leader, di solito il membro più anziano, che deve essere carismatico ed in grado di gestire al meglio il gruppo. Poi vi è quello che rappresenta al meglio i canoni di bellezza imposti dal K-pop ed infine vi è il membro più giovane che, in genere, viene etichettato come timido e carino. Nelle band c’è un cantante principale, un rapper ed i ballerini, che cantano meno ma eseguono al meglio le difficili coreografie. Le band si comportano come delle vere e proprie famiglie, ed i loro membri condividono tra loro la propria vita 24h su 24, vivendo nella stessa casa ed allenandosi anche 20 ore al giorno. Il K-pop si basa su di un sistema di ‘trainee’, apprendisti, ossia ragazze e ragazzi, spesso giovanissimi, che, dopo aver superato una prima, durissima selezione, entrano a far parte di una etichetta discografica che li formerà, per molti anni, nel canto e nella danza. Solo chi diventa famoso ha diritto al titolo di ‘Idol’ mentre i fan sono identificati come ‘Army’.
Band create a tavolino - In realtà, ad una prima analisi, il K-pop non sembra divergere molto dalle centinaia di band prodotte a tavolino dalle case discografiche occidentali: si tratta sempre di band composte da giovani ragazze o ragazzi, belli e sorridenti, a cui è chiesto di calarsi in un personaggio in grado di attrarre il pubblico dei teenager: il bello, il ribelle, il leader della band, il ballerino provetto. Eppure qualcosa di profondamente diverso deve esserci se ad allungarsi non è solo la lista dei successi mietuti dalle K-pop band ma anche quella dei suicidi dei loro idoli.
«Sono rotto nell’interno» - Il 24 febbraio del 2015 Ahn So-jin, giovane protagonista del reality ‘Baby Kara’ si è lanciata dal decimo piano del palazzo in cui viveva: sembra soffrisse da diverso tempo di una grave depressione. Motivo del suicidio sembra possa essere il fatto che non era stata inglobata nel gruppo di ragazze che avrebbe dovuto debuttare nell’aprile dello stesso anno ed il suo contratto era stato risolto un mese prima del suicidio. Nel 2017 si toglie la vita Kim Jong-hyun, componente della band Shinee. Il corpo del ventisettenne è stato trovato senza vita in un albergo di Seul dove è morto per le esalazioni di monossido di carbonio. Il giovane aveva affidato alla sua amica, la musicista Naing, il compito di pubblicare un messaggio di addio sul suo account Instagram. «Sono rotto nell’interno-si legge nel post- e la depressione mi ha lentamente logorato e adesso mi ha distrutto del tutto. Non sono più in grado di sconfiggerla e mi sento così solo».
Una catena di morti - Nel 2019 sono state tre le star del K-pop ad essersi tolte la vita: ad ottobre si è suicidata la venticinquenne Sulli, ex membro della famosa girlband F(x) e poi cantante solista di enorme successo, seguita, dopo appena 6 settimane dalla sua amica ventottenne Goo Ha-ra, cantante solista ed ex membro delle Kara. Nel dicembre dello stesso anno si toglie la vita il ventisettenne Cha In-ha, leader della band SurpriseU ed attore di successo. Il 18 giugno di quest’anno si è invece tolto la vita Yohan, nome d’arte di Kim Jeong-hwan, uno dei membri della band Tst. L’etichetta discografica della band ha rilasciato solo una breve nota in merito alla morte del ragazzo non specificando le cause del decesso. Una impressionante catena di morti violente, solo a citare gli Idol più famosi, che hanno scosso le fondamenta del K-pop.
Niente lieto fine - Sulli cerca di allontanarsi da un mondo che rischia di fagocitarla ma i media non si stancano di starle addosso: una volta è la foto di lei leggermente alticcia in compagnia di amici, un’altra volta sono le sue dichiarazioni relative al fatto che non vuole sentirsi obbligata ad indossare il reggiseno. Nel maggio del 2019 tenta il suicidio la sua amica, nonché famosa idol, Goo Ha-ra, da tempo ricattata dall’ex fidanzato contro il quale aveva in corso una causa legale. Salvatasi, la ragazza diffonde un messaggio per i propri fan nel quale si scusa per le “preoccupazioni” causate dal suo gesto e aggiunge «Mi sto riprendendo, soffrivo per una serie di problemi che si sono accumulati uno dopo l’altro...Ma ora ho il cuore d’acciaio e cercherò di stare bene». La storia invece non ha un bel finale per le giovani amiche: ad ottobre viene ritrovato il corpo senza vita di Sulli, la ragazza libera e ribelle che voleva sfidare i tanti tabù che avvolgono il mondo del K-pop, ed il video di Goo Ha-ra in lacrime per la morte dell’amica fa il giro del mondo. Sei settimane dopo è quest’ultima a suicidarsi dopo aver postato un video in cui augurava la buona notte sul suo account Instagram.
Sulli rompe il silenzio - Sulli, vero nome Choi Jin-ri, aveva solo 25 anni ed il suo corpo è stato trovato senza vita nel suo appartamento a Seongnam, periferia di Seul, dal suo manager che non riusciva a mettersi più in contatto con lei dopo una sua ultima e preoccupante telefonata. La ragazza aveva solo 11 anni quando era stata scelta dalla SM Entertainment per diventare una idol. Nel 2009 fa il suo debutto con la girlband F(x) e seguono anni intensi di tour, concerti, promozioni, dischi. Anni forse troppo intensi tanto che, nel 2014, la ragazza decide di fermarsi perché fisicamente e psicologicamente esausta. E’ la prima a rompere il tabù su argomenti quali la depressione e gli attacchi di panico e va in tv a parlare del suo disagio «Soffro di attacchi di panico da quando sono giovane. Sentivo che non c’era nessuno che mi capisse e sono crollata».
«Il lato oscuro della medaglia» - «Il K-pop è la maschera indossata dalla Sud Corea per convincere se stessa e gli stranieri di essere importante e cool» afferma il professore John Lie, sudcoreano e docente all’università di Berkley in California. “L’amara realtà del K-pop -continua il docente- è che nonostante lo scintillio superficiale, si porta dietro l’eredità dell’industrializzazione di Stato, il dirigismo, l’ordine gerarchico autoritario e lo sfruttamento della forza lavoro. In un Paese destinato al declino perché fa pochi figli e quasi sconosciuto rispetto alla Corea del Nord di Kim Jong-un i politici e burocrati di Seul trattano la music pop come elisir di prestigio”. Gli aspetti negativi posti in evidenza dal professor Lie vengono chiamati dagli esperti del settore come “il lato oscuro della medaglia”. La realtà, dietro la felice apparenza di star della musica giovani e spensierati, è fatta di giovanissimi apprendisti che, arruolati dalle case discografiche, vengono sottoposti ad estenuanti lezioni di ballo e canto oltre che di portamento e buone maniere, per poter, forse, un domani diventare un idol.
«Una vita meccanica» - Come spiegato dal giornalista esperto di K-pop Lee Hark-joon “Fin da piccoli vivono una vita meccanica passando attraverso un regime di allenamento molto duro. Solo raramente hanno la possibilità di sviluppare una vita scolastica regolare o una normale relazione con i propri coetanei. La loro caduta può esser così improvvisa come drammatica al pari dell’ascesa verso la fama”. Il K-pop è una gigantesca industria che sforna nuovi fenomeni musicali ad un ritmo vorticoso: idoli che sembrano identici tra loro, giovani e belli, sempre single perché impegnati unicamente con il proprio pubblico e presto dimenticati perché servono sempre nuovi fenomeni da dare in pasto ai fan.
Un paese patriarcale - E se la pressione è durissima da sopportare per i ragazzi, la maggior parte delle volte è intollerabile per le ragazze. La Corea del Sud è infatti un paese profondamente patriarcale che, a dispetto dell’apparente occidentalizzazione dei propri costumi, si porta dietro dei retaggi culturali del passato. “La società sudcoreana cresce con l’idea che gli uomini meritino rispetto e che le donne, al contrario, non ne meritino o comunque non ne meritino abbastanza”. In un Paese in cui il sesso è ancora tabù ci sono, soprattutto per le donne, degli standard morali molto alti ed è così che molte star del K-pop sono vittime costanti di cyberbullismo per essersi mostrate troppo sorridenti, o troppo poco, per essersi fidanzate, pur essendo la cosa vietata per contratto, o per aver espresso idee considerate troppo femministe e poco in linea con la tradizione. Le donne si trovano a dover barattare la fama con il sesso: tale problema è talmente diffuso nel K-pop che si da per scontato che tutte le idol lo abbiano fatto, anche coloro che non si sono piegate a questo sordido ricatto.
Una donna su 3 ricorre alla chirurgia estetica - Non a caso in Corea del Sud si registrano, ogni anno, migliaia di crimini legati a video ed immagini di donne realizzati a loro insaputa con telecamere nascoste tanto da indurre il Governo ad adottare drastici provvedimenti: chiusura dei siti pornografici, obbligo di suono allo scatto fotografico per fotocamere e telefoni ed una pena di 5 anni per chi diffonde contenuti illegali. Il mondo del K-pop non fa quindi che riflettere, se non enfatizzare, quelli che sono gli aspetti tipici della società sudcoreana. Tra questi vi è il culto dell’immagine e di un ideale di adesione a dei canoni estetici che fanno registrare, ogni, anno, oltre un milione e mezzo di operazioni chirurgiche in un paese di 50 milioni di abitanti. In pratica, una donna su tre dai 19 ai 29 anni si è sottoposta almeno una volta ad una operazione di chirurgia estetica.
Bellezza eterea - L’ideale estetico della cultura K-pop richiede di aderire ad uno standard di bellezza eterea che accomuna ragazzi e ragazze, con occhi grandi e pelle bianchissima, nasi piccoli ed una forma del viso che, ispirandosi ai protagonisti dei manga, vada a creare una V tra orecchie e mento. Nella maggior parte delle volte sono le stesse case discografiche che impongono agli apprendisti di sottoporsi ad interventi di chirurgia estetica così come sono le stesse etichette discografiche a supervisionare il peso corporeo delle proprie star: se si ritiene che il proprio idol non sia abbastanza magro viene subito obbligato a perdere peso. E le giovani promesse della musica lo fanno, perché per nulla al mondo si vuole correre il rischio di perdere la possibilità di far parte di una band e di raggiungere l’obiettivo per il quale si è sacrificato ogni cosa: infanzia, amici, famiglia.
«Come falene che si bruciano troppo in fretta» - I gruppi femminili si adeguano ad uno standard di bellezza che le vuole come ammiccanti ma indifese Lolite, con una pericolosa sessualizzazione della propria figura che va ad incrementare il problema di un tradizionale atteggiamento misogino molto diffuso nel Paese. “Fama e soldi giustificano tutto questo?” si chiedeva Dongwan in un suo amaro post di denuncia. Giovani come falene che si bruciano troppo in fretta attratti dalle luci della ribalta. Vite spersonalizzate, intrappolate nella macchina dello show business che non ammette umane debolezze. Anime scavate dal dolore nascoste dietro volti falsamente felici: sono le star del K-pop e, al contempo, le sue vittime.