Il trattamento ricevuto da Ursula von der Leyen ad Ankara ha rimesso in luce le tensioni fra Erdogan e i vecchi alleati.
Il Washington Post lo ha definito “Un momento imbarazzante” e, di certo, si tratta di un episodio di politica estera destinato a fare scuola. L’incidente della sedia negata dal presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, anche ribattezzato ‘sofagate’, ha compromesso il buon esito dell’incontro che doveva avere carattere distensivo per i non facili rapporti tra Turchia ed Europa.
Il fatto che il rappresentante di un’alta carica istituzionale europea abbia subito, volontariamente, un così grave torto, per di più in quanto donna, ha sortito invece l’effetto di raffreddare ulteriormente tali rapporti. L’incontro non iniziava in un clima facile visto che, di recente, Erdogan ha deciso di ritirare la Turchia dalla Convenzione di Instabul, il cui fine è la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, e la stessa von der Leyen si era detta «profondamente preoccupata per il fatto che la Turchia si sia ritirata dalla Convenzione di Istanbul. Si tratta di proteggere le donne e i bambini dalla violenza. E questo è chiaramente un segnale sbagliato in questo momento».
Erdogan «dittatore», ma ne abbiamo bisogno - Il trattamento riservato alla presidente della Commissione europea, costretta a sedersi su un divano lontano 4 metri dai suoi interlocutori, Erdogan e Charles Michel, ha suscitato lo sdegno internazionale: il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha speso a tal proposito parole molto dure. «Mi è dispiaciuto moltissimo per l’umiliazione che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dovuto subire», ha dichiarato. Per poi aggiungere: «Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono, di cui però si ha bisogno uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società».
Come se non bastasse, è successivamente emerso che l’episodio della sedia negata non fosse l’unico incidente diplomatico a cui si rischiava di andare incontro. Durante il pranzo ufficiale il tavolo era stato apparecchiato per cinque persone, con solo due poltrone d’onore riservate ad Erdogan e Charles Michel, mentre per von der Leyen era stata disposta una sedia più piccola alla destra del presidente del Consiglio europeo. Uno sgarbo rimediato solo in extremis. Persino la foto istituzionale escludeva inizialmente la presidente di Commissione richiamata solo alla fine.
Ankara: «Seguito il protocollo» - Ovviamente la Turchia ha rispedito al mittente le accuse ricevute bollandole come ingiuste e dichiarando che «durante l’incontro è stato rispettato il protocollo». La verità è che dopo l’accaduto sono in molti a chiedersi se in Turchia sia in corso una deriva antidemocratica e se la stessa sia reversibile.
I rapporti tra la Turchia e l’Unione europea sono particolarmente tesi e tanti sono gli episodi che hanno portato a un raffreddamento, se non a una frattura, tra le due parti: la contestata gestione dei flussi migratori, gli interventi militari in Siria e Libia, l’esplorazione del gas nelle contese acque che circondano l’isola di Cipro oltre che la recente acquisizione del sistema missilistico S-400 dalla Russia sono solo alcuni esempi della politica sempre più nazionalista perpetrata dal presidente turco.
Deterioramento dello stato di diritto - Se, da una parte, la Turchia continua a lamentare una politica poco chiara portata avanti a suo danno dall’Europa, dall’altra parte preoccupa il deterioramento del processo democratico e dello stato di diritto in Turchia a vantaggio di un deciso rafforzamento del potere esecutivo. Ciò ha portato il Paese ad allontanarsi sempre più dagli standard democratici su cui si fonda la costituzione europea e anche se, formalmente, i negoziati per l’adesione della Turchia alla Comunità europea non sono stati abbandonati, attualmente ci si trova in una situazione di assoluto stallo. Solo il Parlamento europeo, recentemente, si è espresso a favore di una sospensione del processo negoziale mentre, nella retorica di Ankara, l’ingresso in Europa rimane ancora un obiettivo strategico del governo.
In cerca di nuovi partner - Delusa dall’atteggiamento dell’Europa, da diversi anni la Turchia è in cerca di nuovi partner politici e commerciali che le consentano di acquisire un ruolo di primo piano quale ponte fra Oriente e Occidente e, in questa ottica, si è mossa firmando un discusso accordo con la Libia per la delimitazione dei rispettivi confini marittimi in acque in cui la Grecia rivendica una propria area economica esclusiva. Le sanzioni poste in atto dall’Europa a seguito delle esplorazioni alla ricerca di gas nelle acque cipriote, hanno avuto una finalità più simbolica che effettiva e la Comunità europea sembra poco incline a mettere sotto pressione il governo di Ankara in merito a temi spinosi come il flusso di migranti e la lotta al terrorismo. Anche dal punto di vista storico i rapporti tra Turchia ed Europa sono sempre stati altalenanti, con periodi di vicinanza e cooperazione a cui sono seguiti momenti di forte contrasto. Nel 1945, superata la Seconda Guerra Mondiale senza aver subito l’invasione tedesca, la Turchia si ritrovò piuttosto isolata.
Per fronteggiare il colosso russo che rivendicava il controllo degli stretti dei Dardanelli e del Bosforo per scopi militari, Ankara decise di entrare a far parte del blocco americano, contrapposto a quello russo, a seguito dell’instaurarsi della Guerra Fredda.
Il presidente americano Truman offrì protezione alla Grecia e alla Turchia e i due Paesi si unirono alla Nato nel 1952. Il 12 settembre 1963 i leader della Comunità europea e la Turchia si incontrarono per firmare ad Ankara ‘L’Accordo di Associazione’, cosiddetto accordo di Ankara, avente lo scopo di promuovere e rafforzare gli scambi commerciali e le relazioni economiche tra le parti.
Il 14 aprile del 1987 la Turchia presentò la propria candidatura a far parte della Comunità europea ottenendo lo status di Paese candidato dopo il Consiglio di Helsinki del dicembre 1999. Il 6 ottobre 2004 la Commissione europea suggerì al Consiglio di dare inizio ai negoziati per l’ingresso della Turchia in Europa, nonostante l’allora presidente della Convenzione europea Giscard d’Estaing, quattro anni prima, avesse dichiarato pubblicamente la sua decisa contrarietà a tale ingresso citando le forti differenze culturali che avrebbero reso impossibile una vera integrazione politica.
Il 29 ottobre dello stesso anno, a Roma, i membri del Consiglio dell’Unione europea firmano il Trattato che promulgava la Costituzione europea il cui progetto era già stato firmato a giugno da Recep Tayyip Erdogan in rappresentanza della Turchia. Il 3 ottobre del 2005, nonostante le riserve espresse dall’Austria e da Cipro, ebbero inizio i negoziati di adesione che vennero subordinati a una serie di condizioni: la continuazione del processo di riforma del diritto e delle libertà civili, il riconoscimento da parte turca della Repubblica cipriota e l’abbandono dell’occupazione militare della parte settentrionale dell’isola.
Questione di Cipro: una spina nel fianco - Da oltre 40 anni, la situazione dell’isola di Cipro è una vera spina nel fianco nei rapporti tra Turchia ed Europa. Il 15 luglio 1974, a seguito di un colpo di Stato militare greco, venne preso d’assalto il palazzo presidenziale al fine di annettere l’intera isola di Cipro alla Grecia. Il 20 luglio la Turchia intervenne militarmente, in via ufficiale per soccorrere la comunità turco-cipriota ma, in verità, per occupare militarmente l’Isola. Cipro, di fatto, è dal 1983 divisa in due realtà contrapposte: la Repubblica di Cipro, stato membro dell’Unione europea, e l’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia, che occupa il 37% del territorio dell’isola.
La situazione, già di per sé molto complessa, è andata a peggiorare in questi ultimi anni perché la parte settentrionale di Cipro è divenuta la porta d’ingresso per un numero sempre crescente di migranti che si riversano nelle zone cuscinetto circostanti gestite dall’Onu.
Nel 2016 l’Unione europea e la Turchia hanno stipulato un accordo con il dichiarato intento di tentare di arginare il flusso di migranti che attraversano il Mar Egeo e percorrono la rotta balcanica. L’accordo prevede che «per ogni rifugiato siriano rimandato in Turchia dalle isole greche, un altro migrante siriano viene ricollocato presso i Paesi dell’Unione secondo i criteri di vulnerabilità decisi dalle Nazioni Unite».
La Turchia, da parte sua, si impegnava a prevenire tali flussi migratori, grazie anche a una serie di finanziamenti del valore di 3 miliardi di euro, mentre l’Europa si impegnava a liberalizzare i visti per la libera circolazione in Europa non appena la Turchia si fosse adeguata alle condizioni di idoneità avanzate da Bruxelles. Da allora i negoziati sono più o meno in una fase di stallo, così come ammesso anche dal Parlamento europeo il 10 giugno 2015.
Come scrisse il New Yorker qualche anno fa, «nel 2003 ogni singolo leader dell’Occidente sperava che Erdogan avesse successo», e in effetti, nei suoi primi anni al potere, Erdogan portò avanti numerose riforme di stampo democratico, come la liberalizzazione dell’economia turca, la riduzione del potere ai corpi militari, l’abolizione della pena di morte e una maggiore libertà religiosa, anche se soprattutto a favore dei musulmani.
Il punto di svolta, o per meglio dire di frattura, arrivò nel 2010 quando il governo approvò una riforma costituzionale che concentrava moltissimi poteri sul potere esecutivo, ossia lo stesso Erdogan, il quale iniziò a comportarsi in maniera sempre più autocratica eliminando dal governo e dal suo partito, l’Akp, i membri più moderati.
Gezi Park - Nel 2013 il Presidente turco fece reprimere con la violenza le proteste di migliaia di giovani e attivisti contrari al suo governo radunati nel parco di Gezi a Istanbul. Ci furono 11 morti e oltre 8 mila feriti e la politica internazionale prese definitivamente atto che qualcosa in Turchia stava cambiando in peggio.
Il colpo di Stato fallito - Il 15 luglio 2016 Erdogan scampò a un colpo di Stato, organizzato in maniera rudimentale e approssimativa e ne approfittò per imporre lo stato di emergenza per i due anni successivi e scatenare una feroce repressione dei suoi nemici interni, tutt’ora in corso. Migliaia di persone sono state accusate di vari crimini e collaborazionismo e licenziati dai propri posti di lavoro, anche prestigiosi, in seno alla pubblica amministrazione, esercito e istituzioni.
Il settore giudiziario è stato messo sotto controllo in seguito del licenziamento di migliaia di giudici considerati ostili al governo, così come sono state chiuse numerose università e centri di ricerca ed epurati dagli studiosi più critici al governo.
Successivamente al fallito golpe, Erdogan ha fatto chiudere oltre 150 giornali e l’informazione televisiva è, in pratica, tutta filogovernativa essendo i proprietari delle principali emittenti degli imprenditori vicini ad Erdogan. Sussistono dei giornali e siti di informazione di opposizione ma sono soggetti a continue pressioni e atti di intimidazione.
La riforma costituzionale - Nel 2017 Erdogan, diventato nel frattempo presidente, fece approvare, con referendum, una nuova riforma costituzionale che attribuiva enormi poteri proprio alla carica presidenziale, eliminava la carica di primo ministro e consentiva al governo d'influenzare l’operato dei giudici. Il presidente della Turchia può esercitare il proprio potere su ogni settore nevralgico per la vita del Paese, dall’economia al potere giudiziario oltre che sull’esercito e sulla politica.
Una deriva antidemocratica - La deriva antidemocratica intrapresa da Erdogan, da alcuni definita chiaramente come dittatura, preoccupa non poco e costituisce un forte disincentivo alla ripresa dei negoziati con l’Europa. La Turchia è attualmente sempre più lontana dagli standard di libertà e democrazia imposti dall’Unione europea se si considera che diverse libertà, quale quella religiosa, d’espressione, d'informazione, di associazioni, sono fortemente limitate. Internet è generalmente censurato e il Governo ha approvato, di recente, una legge che limita il potere di manovra delle aziende straniere come Facebook e Google.
Inarrestabile islamizzazione - Inarrestabile sembra anche il fenomeno di islamizzazione del Paese. Erdogan stesso, da figura di leader islamico moderato, ha radicalizzato sempre di più le proprie posizioni: le scuole religiose si sono moltiplicate nel giro di pochi anni e sono sostenute dallo Stato, che continua a promuove una visione islamico-conservatrice della società.
Ne è una prova la preoccupante decisione di Erdogan di abbandonare, come detto, la ‘Convenzione di Instabul’, il trattato internazionale il cui obiettivo è la prevenzione del drammatico fenomeno della violenza contro le donne.
Negli ultimi anni, d’altra parte, la Turchia ha preso decisioni di politica estera sempre più in contrasto con le posizioni europee, avvicinandosi all’ex avversario, la Russia. L’atteggiamento provocatorio basato su scelte di politica estera sempre più militarizzate e finalizzate a perseguire i soli interessi nazionali rispetto alle regioni confinanti ha reso il Paese più isolato all’interno della Nato e sempre più distante dall’Unione europea ma lo ha avvicinato alla Russia e l’acquisto del sistema missilistico S-400 ne è una prova.
Anche in Libia, paese martoriato dalla guerra civile, hanno assunto maggior rilievo Mosca e Ankara a discapito dell’Europa, ridotta a un ruolo di mediatrice sempre più marginale. Il 2 gennaio 2020, il parlamento turco, su pressione del presidente Erdogan, ha approvato il dispiegamento di forze turche sul suolo libico «per sostenere il governo internazionalmente riconosciuto di Al-Serraj ed evitare un disastro umanitario».
Secondo quanto riferito dal New York Times, la Turchia ha mandato più di 4'000 "foreign fighter" a Tripoli e diversi di loro sarebbero combattenti estremisti affiliati a gruppi terroristici. Le milizie sostenute dalla Turchia nel Nord della Siria, da cui provengono tali mercenari, sono note, infatti, per includere al loro interno militanti dell’Isis e di al-Qaeda e si sono macchiate di gravi atrocità contro i curdi siriani e la popolazione civile.
Lo schieramento delle milizie turche in Libia è stato motivo di acredine con la Francia, accusata dalla Turchia di aver esacerbato la crisi con il sostegno dato alle forze di Khalifa Haftar contro il governo dell’accordo nazionale. I due presidenti sono arrivati anche a criticarsi apertamente ed Erdogan ha dichiarato che «Macron è un guaio di cui la Francia deve liberarsi il prima possibile».
Nel Caucaso, la Turchia si è schierata con l’Arzebaigian per la conquista delle aree contese del Nagorno-Karabakh contro l’Armenia che può invece contare sul sostegno della Francia. Secondo il governo di Ankara il territorio del Karabakh si trova «sotto occupazione armena» e tale posizione di politica estera si basa sulla retorica nazionalista basata sul mito del viaggio dei popoli turchi dell’Asia centrale verso l’Anatolia.
Per tale motivo gli azeri sono considerati come fratelli dalla maggioranza dei turchi, mentre, per lo stesso sentimento nazionalista, la maggior parte di essi si dichiara nemico dell’Armenia. La spaccatura tra Turchia e Armenia, d’altra parte, ha origini storiche molto profonde e il mancato riconoscimento del genocidio armeno del 1915 è stato motivo per cui la Francia ha posto il veto all’ingresso della Turchia in Europa.
Non solo la Turchia non riconosce il genocidio degli armeni e dei cristiano-assiri, ma, secondo l’articolo 301 del codice penale turco, si deve perseguire chi ne parla apertamente, così come è accaduto al premio Nobel Orhan Pamuk.
La nota organizzazione non governativa internazionale Freedom ogni anno stila una lista attribuendo a tutti i Paesi del mondo un punteggio da zero a cento sulla base del rispetto delle libertà politiche e civili. Per tale organizzazione la Turchia è «un Paese non libero» e si colloca al di sotto dei Paesi «parzialmente liberi» con un punteggio di 32 punti. Le cose stanno rapidamente peggiorando visto che nel 2017 la Turchia aveva totalizzato 37 punti.
La distanza che separa politicamente l’Europa e la Turchia appare incolmabile e se c’è stato un tempo in cui il governo di Ankara perseguiva con forza l’obiettivo di entrare a far parte dell’Unione europea, attualmente tale volontà sembra essere venuta meno mentre va pericolosamente rafforzandosi la volontà di Erdogan di creare una realtà nazionalista d'ispirazione islamica.
Se dal punto di vista geopolitico il paese è più forte che in passato ed è in grado d'imporsi militarmente sulle nazioni confinanti, si trova anche molto isolato. I rapporti con suoi storici alleati molto tesi e in Medio Oriente, così come nel Mediterraneo orientale, non poche nazioni considerano la Turchia un paese rivale. Il 2021 si preannuncia come un anno cruciale e in base alle prossime mosse del presidente Erdogan si saprà se calerà definitivamente il sipario sul sogno di una Turchia europea e democratica.