Dovevano solo educare i ragazzi allo sport. Si sono trasformati in aguzzini e stupratori.
Mens sana in corpore sano, recita la celebre locuzione latina tratta dalle "Satire" di Giovenale. Il benessere fisico è un obiettivo condiviso dalla grande maggioranza delle persone ed il numero di coloro che svolgono regolarmente una attività sportiva è impressionante: solo in Svizzera sono oltre 2 milioni gli aderenti ad una associazione sportiva.
Il mondo dello sport, nell’immaginario collettivo, viene inteso come un ambiente sano, pulito, ideale per l’apprendimento di valori universalmente condivisi come l’impegno, l’aiuto reciproco, i sacrifici fatti per migliorare se stessi. Lo sport ha salvato tante persone da scelte di vita sbagliate e nelle realtà più disagiate rappresenta un porto sicuro per tanti giovani che, senza questa alternativa, sarebbero facile preda della criminalità. Eppure, il mondo dello sport ha anche un suo lato oscuro, brutale, violento che per troppo tempo si è voluto ignorare.
Il libro delle verità - Solo di recente, grazie anche al giornalismo d’inchiesta o a libri come quello di Daniela Simonetti dal titolo ‘Impunità di gregge’, si è scoperchiato il vaso di Pandora del dramma delle violenze ed abusi, fisici e psicologici, perpetrati nel mondo sportivo. Manipolazioni, molestie, violenze a danno di ragazze e ragazzi anche minori, da parte di chi li doveva tutelare ed educare ai principi sani dello sport. Pedofili, balordi, violenti capaci, per anni, di nascondere le proprie nefandezze grazie al ruolo esercitato all’interno di una squadra. Allenatori, medici, preparatori atletici che, complice un ambiente ancora molto maschilista, omertoso e vessatorio, hanno approfittato di giovani atleti, maschi e femmine, di tutte le età. Secondo il giornalista Marco Travaglio, che cura la prefazione del libro inchiesta ‘Impunità di gregge’, “lo sport sarebbe il mondo più mafioso e omertoso che esista in Italia, molto più di quello della politica, della finanza e della Chiesa”.
La punta dell'iceberg - Con riguardo al fenomeno italiano i casi di denuncia censiti nell’ultima relazione della Procura generale dello sport sarebbero una novantina, spalmati sulle varie discipline sportive nell’arco di tempo che va dal 2014 al 2019. Tuttavia i numeri sarebbero molti di più, si stima oltre 300 casi non denunciati a causa del timore, non infondato purtroppo, delle vittime di non essere credute o tutelate. Gli allenatori, a maggior ragione se titolati, vengono percepiti dai giovani allievi come entità mitiche ed intoccabili e spesso sono gli stessi genitori, accecati da una ottusa ambizione, a non voler vedere ciò che accade ai figli. Molto spesso, nel mondo sportivo, il confine tra ciò che viene percepito come lecito e ciò che invece può essere definito come violenza è labile ed è in questa zona d’ombra che agisce il mostro.
Maschilismo e omertà - Se è vero che il calcio, per servirsi dei soliti cliché, è “un gioco maschio” ed il football, per fare un esempio, non è uno sport “da mammolette”, l’allenatore che picchia i suoi allievi o li sottopone a ‘riti di iniziazione’ particolari potrà quasi sentirsi legittimato dal farlo. Di sicuro, tale piaga non riguarda uno sport in particolare né è limitata a pochi Paesi al mondo ma si estende ovunque, in maniera sotterranea e strisciante. I casi assurti agli onori della cronaca hanno permesso al grande pubblico di aprire gli occhi, forse per la prima volta, sul dramma di centinaia di atleti delle più svariate nazionalità anche se rimane la certezza che questo sia solo la punta dell’iceberg di un problema ancora sommerso. Per la Simonetti “Applicando il parametro del numero oscuro, per ogni 100 episodi solo 35 vengono denunciati, i casi potrebbero essere tra i 300 ed i 400 ma denunciarli è una pratica per niente scontata. Il mare sta iniziando ad incresparsi in superficie ma in profondità nulla cambia”.
A fronte di alcuni casi che hanno riguardato sportivi molto noti, le violenze subite da vittime rimaste anonime sono la maggioranza che non viene conosciuta perché coperta da decenni di omertà o collusione.
13enne abusato - Per una Simone Biles, 4 volte medaglia d’oro ai giochi olimpici, che denuncia il suo aguzzino c’è la storia di Andrea, tredicenne abusato dal proprio allenatore di scherma Domenico Pastore nella scuola di Massa di Somma nel napoletano. La vicenda trova ampio spazio nel libro di Daniela Simonetti. Un ragazzo solare e spensierato che, d’improvviso, diventa aggressivo nei confronti dei genitori e contro se stesso. La trasformazione, avvenuta dopo le prime trasferte con la squadra, allarma i genitori che trovano conferma dei propri sospetti leggendo un durissimo ma inequivocabile referto medico che parla di “segni fisici compatibili con gli abusi”. La famiglia viene abbandonata da tutti e la stessa Federscherma non solo non prende alcuna posizione sulla vicenda ma il fratello dell’imputato, Giampiero Pastore viene eletto vicepresidente della federazione stessa. Alcune federazioni sono corse ai ripari per colmare una lacuna normativa che non obbliga gli allenatori a fornire certificati penali e dei carichi pendenti o seguire corsi obbligatori di formazione sul tema delle molestie, psicologiche e fisiche. Se l’obbligatorietà a produrre tali certificati fosse stata disciplinata da una precisa normativa, non ci sarebbe stato il caso di Gianfranco Dugo, arrestato lo scorso marzo con l’accusa di aver molestato i giovanissimi calciatori di sei squadre piemontesi e lombarde e già stato condannato tre volte per detenzione di materiale pedopornografico e atti osceni su minori.
Arrestato il guru del football - Sempre in Italia, ha fatto scalpore la vicenda giudiziaria di Maurizio Vismara, vera leggenda del football americano, guru indiscusso nel suo campo. Vismara è stato condannato a 3 anni di reclusione ed al pagamento di 50 mila euro di provvisionale per aver violentato, il 13 novembre 2011, un minore all’aeroporto Malpensa di Milano. Del suo moto “No pain no gain”, cioè niente dolori niente vittoria, ne ha fatto una religione e stuole di atleti lo hanno seguito adoranti senza contestare i suoi metodi ‘educativi’ a dir poco discutibili. Uno di questi, chiamato ‘rito di iniziazione’, così come emerso dal processo che lo ha visto protagonista, ha portato Vismara a compiere una esplorazione anale su di un ragazzino immobilizzato nell’area gioco dell’aeroporto milanese e tenuto fermo per le gambe da dei compagni di scuola che hanno anche ripreso la violenza con il cellulare. Secondo quanto affermato da numerosi testimoni, Vismara si sarebbe anche vantato dell’accaduto al bar dello scalo meneghino. I battesimi di Vismara, già condannato per abusi su di una minore, erano noti all’ambiente e nel 2009 era stato multato perché picchiando ed insultando i suoi giocatori aveva loro impedito di stringere la mano alla squadra avversaria. Per gli inquirenti è cosa certa che l’allenatore abbia abusato di altri ragazzi che non hanno denunciato per paura.
Il violentatore seriale - Negli Stati Uniti, il mostro degli spogliatoi ha un nome ed un cognome: Larry Nassar, violentatore seriale di centinaia di atlete nell’arco di vent’anni e condannato nel 2018 a 175 anni di carcere. “Una condanna a morte” come detto dal giudice Rosemarie Aquilina della Corte della Contea di Ingham nel Michigan. Nasser aveva mostrato la sua ‘passione’ per lo sport e la medicina sportiva fin dal liceo, quando divenne assistente dell’allenatore della squadra di ginnastica del proprio liceo. Iscrittosi all’Università del Michigan, si laureò in medicina nel 1985 specializzandosi in osteopatia nel 1993. Nel 1986 divenne trainer della squadra americana di ginnastica artistica e dal 1996 al 2014 svolse il ruolo di coordinatore medico nazionale per Usa Gymnastics oltre che continuare a svolgere il proprio incarico di medico presso l’Università del Michigan. Nel suo studio ha avuto in cura nuotatrici, tuffatrici, campionesse di atletica leggera oltre che ginnaste. Ragazze che Nassar molestava e violentava ripetutamente, per anni, senza che nessuno muovesse un dito per difenderle. Per anni, complice il suo incarico di medico osteopata, Nassar ha infangato l’innocenza di centinaia di donne che hanno trovato il coraggio di denunciare le sue pratiche solo dopo molti anni di silenzio e paura. La prima a denunciare il medico è stata Aly Raisman, capitana della squadra di ginnastica e vincitrice di tre olimpiadi, seguita poi da Gabby Douglas e da tante altre. “Ho testimoniato per far sapere al mondo che sei ripugnante” ha detto Kyle Stephens la quale ha denunciato il fatto di essere stata violentata da Nassar dai 6 fino ai 12 anni durante le visite nella sua casa di Holt. I genitori non le avevano creduto ma, anni dopo, il padre dell’atleta si tolse la vita per il disprezzo verso se stesso per non aver difeso la figlia.
Bambine abusate - Donna Markham ha invece raccontato il dramma di sua figlia Chelsey, suicidatasi a seguito delle violenze del medico, mentre Melissa Imrie ha raccontato di essere stata abusata nel 1997 quando aveva 12 anni dopo che il suo team si era rivolto a Nassar a seguito di un suo infortunio. Un’altra testimone, Jessica Thomashaw ha raccontato di come è stata aggredita sessualmente dall’uomo a 9 e 12 anni. “Ha toccato i luoghi più innocenti del mio corpo-ha raccontato tra le lacrime-non potevo più essere una ragazzina normale. Per colpa sua ho perso la mia infanzia”. Se Larry Nassar è stato consegnato nelle mani della Giustizia, lo stesso non può dirsi per il coach olimpico John Geddert, suicidatosi lo scorso 25 febbraio alla vigilia del processo che si stava aprendo contro di lui nel tribunale della contea di Eaton con l’incriminazione di abusi sessuali e traffico di esseri umani dal 2008 al 2018. Geddert era proprietario di una palestra dove il suo amico Larry Nassar violentava le ginnaste.
La scioccante verità di Simone Biles - Sull’onda del movimento di solidarietà femminile #metoo anche la celebre ginnasta Simone Biles ha trovato la forza di confessare il dramma con cui conviveva da anni. “Ci sono molte ragioni se sono stata fino ad ora riluttante nel condividere la mia storia ma ora so che non è colpa mia” ha detto la giovane ginnasta aggiungendo che “Non mi sentirei sicura se mia figlia entrasse a far parte della squadra femminile di ginnastica artistica. Nessuno ci ha tutelato, non la Federazione e nessun altro”. Sempre più atlete, seguendo l’esempio di chi ha avuto il coraggio di esporsi in prima persona, denunciano i loro aguzzini. Khalida Popal, ex capitana della nazionale di calcio afghana, nonostante sia stata più volte minacciata di morte, ha denunciato con forza il fenomeno degli abusi sessuali sulle sportive del suo Paese. “La mia missione-ha detto-è stata quella di essere un’attivista in Afghanistan usando il calcio per far conoscere i diritti delle donne. Nel 2018 sono diventata la direttrice del programma di rifondazione della nazionale femminile afghana e abbiamo organizzato molti ritiri all’estero. Durante un ritiro abbiamo sentito voci di casi di abusi sessuali ed ho iniziato ad investigare per capire quanto esteso fosse questo fenomeno”.
Il segreto di Anne Kursinski - Anne Kursinski, due medaglie d’argento olimpiche per l’equitazione, ha raccontato di essere stata vittima di violenze quando era bambina. L’aguzzino, il suo allenatore, è stato radiato. Peccato che siano passati 24 anni dalla sua morte. In Corea Shim Suk-hee, due volte medaglia d’oro alle Olimpiadi, è fra le atlete più famose in Corea del Sud. Nel 2019 ha trovato il coraggio di denunciare il suo allenatore Cho Jae-beom che è stato condannato a 10 anni di carcere per molestie sessuali. Le violenze, secondo la ricostruzione dei giudici, sono iniziate quando l’atleta aveva 17 anni e sono andate avanti per 3 anni. Lo stesso Cho era già stato condannato in passato per aver percosso violentemente Shim Suk-hee quando aveva appena 7 anni. Lo stesso era stato condannato a 8 anni di carcere per aver abusato della triatleta Choi Suk-hyeon: la ragazza aveva denunciato il suo allenatore e si era poi tolta la vita ad appena 22 anni per il dolore di vedere la propria denuncia ignorata dalle autorità sportive.
Un caso che imbarazza la Francia - In Francia 21 allenatori di pattinaggio artistico sono stati messi sotto inchiesta dalla federazione e dodici di questi sono accusati di molestie sessuali. L’inchiesta ha preso il via dalla denuncia presentata dalla campionessa di pattinaggio artistico Sarah Abitbol che ha accusato il proprio allenatore, Gilles Beyer, campione di Francia nel 1978, di averla violentata quando aveva 15 anni. L’esempio della Abitbol ha dato coraggio a tante altre colleghe, quali Helene Godard, Anne Bruneteaux e Beatrice Dùmur, di fare i nomi dei propri violentatori. Il rapporto dell’Ispettorato generale ha riportato “una mole di casi che rivelano pratiche e comportamenti che si sono ripetuti per generazioni di allenatori nelle principali discipline della Federazione di pattinaggio”. Il presidente federale Didier Gailhaquet si è dimesso lasciando il posto a Nathalie Pecahalat la cui missione è smantellare l’egemonia di un gruppo di potere che, per anni, ha esercitato comportamenti poco regolari, condizionando anche l’operato dei dirigenti, e coprendo il comportamento poco ortodosso di tecnici e allenatori.
Secondo un recente studio 1 atleta su 7 ha ammesso di aver subito molestie sessuali prima della maggiore età. Molti non denunciano perché psicologicamente soggiogati dal proprio allenatore, o perché si teme di non essere creduti o ancora per paura di perdere la propria carriera sportiva.
Relazioni pericolose - Nell’ambito sportivo, spesso le violenze avvengono attraverso ciò che la dottoressa Francesca Gambarino, criminologa e vice presidente Cipm, chiama “costruzione della collaborazione della vittima”: coach e allenatori approfittano, come in una vera e propria truffa, della relazione strettissima che si instaura con gli atleti creando così la percezione di un consenso apparente. E’ proprio questo meccanismo che rende difficile alla vittima percepire il trauma e l’abuso subiti. Ciò che manca è un ente totalmente indipendente dalla Fifa, dalle federazioni e da qualsiasi altra istituzione che dia la possibilità agli atleti di denunciare gli abusi subiti e sentirsi protetti. Negli Stati Uniti, dopo lo scandalo Nassar, il 3 marzo del 2017 è stato istituito il U.S. Center for Safesport, l’unico organismo al mondo istituito per prevenire, indagare, giudicare e sanzionare gli abusi sessuali nello sport. In 5 anni di attività questa non-profit indipendente ha ricevuto oltre 5 mila denunce: 281 nel 2017, 1848 nel 2018 e 2770 nel 2019, con una media di 200 denunce di abusi al mese.
La lista della vergogna - Ad oggi si contano oltre 600 condanne inflitte ed una ‘black list’ con 1218 nomi. Inoltre, fino al dicembre 2019, oltre un milione di persone impegnate nello sport ha seguito un percorso di formazione sul tema degli abusi sessuali. La speranza è che organi indipendenti simili al U.S. Center for Safesport possano essere istituiti ovunque per garantire una sempre maggiore sensibilizzazione e preparazione sul tema delle violenze nel mondo sportivo e garantire una giustizia equa alle vittime di reati così atroci. Non deve più accadere che una persona rea di delitti sessuali possa impunemente svolgere la propria attività sportiva così come non deve più accadere che atleti, maschi e femmine che siano, debbano aver paura di denunciare il proprio aguzzino certi di non essere ascoltati e capiti.