Sportive e abbigliamento succinto: ora c'è chi dice no
Sempre più donne dello sport hanno iniziato a ribellarsi contro il sessismo e il machismo dilagante in un mondo che dovrebbe essere l’emblema di valori quali libertà e uguaglianza. Invece viviamo ancora in tempi in cui è obbligatorio indossare un tanga per giocare a pallamano invece che dei comodi, ma forse meno ammiccanti, pantaloncini. Inoltre, chi non si adegua a delle obsolete imposizioni rischia multe salatissime se non l’espulsione dalla gara.
Il caso - È ciò che è successo alla squadra norvegese di pallamano da spiaggia, che domenica 18 giugno ha disputato una partita, valida per la conquista della medaglia di bronzo, del torneo ‘Euro 2021’ a Varna in Bulgaria, indossando dei pantaloncini non regolamentari invece del bikini d’ordinanza. Tale presa di posizione non è piaciuta però agli organizzatori del torneo e ai membri della giuria e lunedì 19 luglio la Federazione europea di pallamano ha comminato una multa di 1.500 euro, circa 150 euro ad atleta, alla squadra dissidente per “abbigliamento improprio”. Il regolamento, infatti, prevede che venga indossato uno slip da spiaggia «con una vestibilità aderente». Nello specifico, si tratta di slip «tagliati con un angolo verso l’alto verso la parte superiore della gamba e una profondità laterale non superiore a 10 centimetri».
A dispetto della decisione presa dalla Federazione europea di pallamano, la Federazione norvegese ha espresso massima solidarietà con la decisione assunta dalla squadra e su Twitter ha dichiarato: «Siamo molto orgogliosi di queste ragazze che hanno alzato la voce e hanno detto che quando è troppo è troppo! Insieme continueremo a lottare per cambiare le regole dell’abbigliamento in modo che le giocatrici possano giocare con i vestiti che preferiscono!«. Secondo Eirik Sørdahl, presidente della Federazione norvegese di pallavolo, «nel 2021 non dovrebbe nemmeno essere un problema».
La solidarietà - Nei giorni successivi all’accaduto, le atlete norvegesi di pallamano hanno inoltre avuto attestati di stima e solidarietà da ambienti trasversali, sia sportivi che da esponenti della politica e della società civile. Il ministro norvegese della cultura e dello sport Abid Raja ha dichiarato che la multa era assolutamente ridicola e che «cambiamenti comportamentali sono necessari con una certa urgenza nell’universo dello sport, conservatore e maschilista» mentre la parlamentare conservatrice Lene Westgaard-Halle ha definito l’obbligo d'indossare il bikini come «imbarazzante, vergognoso e sessista». In campo è scesa anche la famosa cantante statunitense Pink, da sempre sensibile al tema dell’uguaglianza di genere, dichiarandosi pubblicamente pronta a pagare la multa inflitta alla squadra.
«Ora lo facciamo e basta» - L’atteggiamento assunto dalla Federazione europea si è rivelata, quindi, un autentico passo falso sortendo l’effetto contrario a quello sperato. Di fatto, infatti, invece che porre l’accento, come sperato, sull’esigenza del rispetto del regolamento sportivo, la Federazione europea ha fatto la figura barbina di un organismo vetusto che identifica lo sport con l’abbigliamento che impone alle sue atlete. La capitana della squadra, Katinka Haltvik, ha parlato di una decisione presa insieme alle compagne convinte che fosse il momento giusto per agire: «Ora lo facciamo e basta e poi vediamo cosa succede». La natura stessa dello sport in questione comporta che le atlete si sottopongano a una serie di torsioni e scatti veloci che portano a scoprire anche le parti del corpo scarsamente coperte dallo slip del bikini. «I calzoncini - hanno dichiarato - sono più comodi e non danno vantaggio sui risultati».
La differenza tra uomini e donne - Le giocatrici ritengono gravemente discriminatorio, inoltre, che i propri colleghi maschi possano giocare con canottiere e pantaloncini lunghi fino a dieci centimetri oltre il ginocchio, come se l’abbigliamento loro imposto sia più una scelta voyeuristica a favore del pubblico maschile. Inutile negare che le battaglie condotte in nome della parità di genere stiano cambiando la sensibilità sociale riguardo a tale tipo di argomento e sono sempre meno tollerati atteggiamenti discriminatori nei confronti della popolazione femminile.
Il cambio di rotta - Anche se il cambiamento di mentalità è ancora da venire, prese di posizione come quelle della squadra norvegese di pallamano da spiaggia servono di sicuro per accelerare un cambio di direzione. Una analoga decisione di rottura è stata adottata, alle Olimpiadi di Tokyo, dalla squadra di ginnastica tedesca. Per tutta la durata dei Giochi, infatti, le atlete tedesche hanno deciso d'indossare una tuta intera e coprente invece del classico, e ridottissimo, body. Si tratta di una tuta aderente e molto performante, che lascia libere le ginnaste di compiere tutte le evoluzioni che la disciplina richiede, ma che copre il corpo fino alle caviglie. Il messaggio lanciato dalle ginnaste è una sicura condanna alla «sessualizzazione delle ginnaste» e una presa di posizione netta nei confronti di quanto accaduto alla squadra norvegese di pallamano da spiaggia. E così, le atlete tedesche si sono presentate alla gara di qualificazione di domenica 25 luglio con delle lunghe tute in stretch. La stessa tenuta ginnica adottata agli Europei di Ginnastica.
Le ginnaste - Il problema della sessualizzazione del corpo delle ginnaste rappresenta, in special modo per la ginnastica artistica, una ferita ancora aperta. La drammatica vicenda delle centinaia di ragazzine abusate, per decenni, da Larry Nassar, ex medico della nazionale americana di ginnastica condannato, di recente, a 176 anni di carcere, è un ricordo ancora molto fresco che ha segnato la vita di atlete che partecipano anche a questi Giochi olimpici. Capita così, che molte atlete combattano per scardinare l’immagine lolitesca delle ginnaste chiedendo di poter indossare pantaloni lunghi per gli esercizi alla sbarra o pantaloncini per quelli a terra, esattamente come i colleghi uomini.
La ginnasta ventunenne Sarah Voss ha dichiarato: «Sono orgogliosa di aver indossato una tuta più lunga. Mi sento perfettamente a mio agio e super comoda. Non può che farci piacere se altri prendono in considerazione questa novità e nasce una nuova tendenza». La decisione è stata presa uniformemente da tutte le atlete che, come ha raccontato la stessa Voss, si sono sedute e «Abbiamo detto: ok, c’è una grossa competizione. Dobbiamo essere sorprendenti, vogliamo mostrare a tutti che siamo sorprendenti». L’allenatrice Ulla Koch ha aggiunto che «ognuno dovrebbe decidere con quale abbigliamento gareggiare in base a ciò che lo fa stare bene». La squadra tedesca ha spiegato su Twitter che «Le nostre ragazze vogliono essere modelli per le giovani ginnaste e far vedere loro che possono mostrarsi in modo differente senza sentirsi a disagio».
Sport e sessismo - Il sessismo dilagante nel mondo dello sport è un problema ancora drammaticamente attuale e non ci si può dimenticare che è proprio a causa di frasi sessiste se il presidente del Comitato olimpico Nipponico Yoshiro Mori è stato costretto a dimettersi. Durante una riunione del Consiglio organizzativo di Tokyo 2020, il dirigente, alla proposta di aumentare le ‘quote rosa’ nel consiglio direttivo dei Giochi olimpici aveva risposto dicendo: «Le riunioni a cui partecipano troppe donne in genere vanno avanti più del necessario. Se una di loro alza la mano per intervenire, le altre si sentono in dovere di rispondere e si finisce che tutte quante si ritrovano a partecipare».
Le parole infelici di Yoshiro Mori hanno scatenato una serie di proteste che hanno portato la governatrice di Tokyo a disertare l’incontro con i vertici del CIO fino alle proteste di molti giapponesi scesi in piazza per protestare. Mori è stato quindi costretto a presentare le sue dimissioni, scusandosi per i propri commenti «poco opportuni» che hanno creato non pochi problemi al comitato esecutivo alle prese con una Olimpiade fin troppo problematica a causa dell’emergenza Covid. La strada intrapresa da tante atlete per la liberazione della propria immagine da stereotipi di genere sarà sicuramente lunga e tortuosa ma necessaria e non più rinviabile per la costruzione di un nuovo ambiente sportivo, più inclusivo ed egualitario.