C'è stato un tempo che le donne a Kabul andavano all'Università, si truccavano e vestivano alla moda occidentale.
Sorridono all’obiettivo, in camicetta e minigonna. Alcune hanno i capelli sciolti, altre cotonati secondo la moda dell’epoca. Si prendono a braccetto, passeggiando in strada, e chiacchierano recandosi all’Università. Sono le donne afghane, ma non quelle dei giorni nostri, bensì di oltre 40 anni fa.
Un passato irriconoscibile - Immagini facilmente rintracciabili su internet e che suscitano maggiore impressione se messe accanto ai ritratti delle donne nascoste dal velo integrale. Di tale contrasto ne ha parlato recentemente Natalia Aspesi in un suo articolo pubblicato sul ‘Venerdi’ di Repubblica, dove fa riferimento a un libretto di parecchi anni fa, divenuto ora praticamente introvabile, intitolato ‘Donne in Afghanistan’, scritto dalla giornalista Fahima Rahimi, in collaborazione con la celebre storica americana Nancy Hatch Dupree, e pubblicato nel 1977. Al suo interno è possibile trovare numerose testimonianze e reperti fotografici che testimoniano un passato in cui la modernizzazione del Paese sembrava possibile.
Hostess, soldatesse e laureate - La giornalista racconta di “belle signorine con il cappellino di paglia nel 1905, spose di emiri nel 1909 coi capelli raccolti adornati di fiori e abiti parigini, la regina Soraya con l’abito al ginocchio e il diadema in testa nel 1922, una ragazza intenta a leggere tra molti libri nel 1918, e nel 1927 un fitto gruppo di fanciulle con il basco sbarazzino mandate all’estero a studiare”. Vi è anche la fotografia del primo gruppo di universitarie laureate, risalente agli anni ’60, con mantella nera e tocco, “le studentesse di medicina, e della scuola per segretarie, le hostess dell’Ariana Afghan Airlines, le soldatesse in parata, la squadra di calcio, la ministra della salute, la parlamentare, la responsabile dell’istruzione nelle campagne, la stampatrice”. Sembra quasi impossibile abbinare le immagini di donne moderne ed emancipate con la realtà afghana che conosciamo. Ancor di più se si considera che nella guida Fodor, best seller del 1969, si legge che “L’Afghanistan è a soli 8 giorni di macchina da Parigi, grazie alle nuove strade trans-continentali turche e persiane” e che “in Afghanistan la macchina della modernizzazione si è messa in moto e niente potrà fermarla”.
Una storia all'incontrario - In Afghanistan, invece, il tempo sembra scorrere al contrario e al Rinascimento segue il Medioevo, e non viceversa. Prima di vivere come fantasmi, coperte integralmente dal burqa, le donne potevano andare a scuola o al lavoro. Prima di diventare oggetti nelle mani del marito-padrone, le donne afghane diventavano medici o ingegneri. Forse si trattava di una minoranza, di donne di città, ben diverse da quelle cresciute nei piccoli villaggi di montagna sotto l’egida del capo tribù, ma era comunque possibile farlo. Studiare, lavorare, vivere. Oggi tutto ciò sembra un miraggio.
Il 15 agosto scorso, subito dopo la presa di Kabul da parte dei talebani, una ragazza, la cui identità rimane segreta, con gli occhi lucidi e la voce rotta dal pianto ha pubblicato un video in cui è riassunto tutto il dolore di un popolo: “Non contiamo nulla perché siamo nati in Afghanistan. Non posso fare a meno di piangere. A nessuno importa di noi. Moriremo lentamente nella Storia”. A sentirsi maggiormente vulnerabili sono le donne. Mogli e madri che pur di non vedere i propri cari finire sotto il regime dei talebani hanno lanciato i figli neonati oltre il filo spinato dell’aeroporto nella speranza che fossero raccolti da qualche soldato e messi in salvo. Le stesse che, dall’arrivo dei talebani, non escono più di casa per paura di rappresaglie o rapimenti, che hanno bruciato i propri diplomi di scuola per non essere etichettate come donne istruite, quasi arrese all’idea che, ancora una volta, il tempo sia andato al contrario cancellando, in pochi giorni, 20 anni di relativa sicurezza.
Talebani vecchi e nuovi - Si dice che i talebani ‘moderni’ siano ben diversi da quelli che, nel 1996, ossessionati dalla figura femminile da censurare, imposero alle donne di vivere segregate in casa, nascoste dal burqa, alla mercé degli uomini di casa. Ora, gli stessi talebani, affermano di voler creare un Paese libero dal giogo straniero ma sicuro per tutti gli afghani, uomini e donne comprese. Le loro parole, però, suscitano scetticismo, non solo a livello internazionale, ma anche da parte di chi ha ben vivido il ricordo della condizione femminile sotto il loro controllo.
Vittime della campagna - Nascere donna, in Afghanistan, non è mai stato semplice, neanche quando al potere vi erano persone illuminate. Non è mai stato appianato, infatti, il fortissimo divario, economico e sociale, esistente tra le società rurali e quelle urbanizzate. Su di una popolazione di 38 milioni di persone, il 22% vive nelle aree urbanizzate mentre il 78% di loro vive nelle zone rurali. Se nelle prime, ci sono stati alcuni periodi in cui alle donne era riconosciuto il diritto allo studio o al lavoro, nelle zone rurali pochissimi sono i diritti riconosciuti alle donne. Nelle tribù si festeggia la nascita del figlio maschio mentre le femmine sono considerate ‘naqis-e-aql’ ossia ‘stupide dalla nascita’.
La donna-oggetto - Nella società patriarcale su cui il Paese si fonda, la donna è di proprietà del capo-famiglia prima e del marito poi, ed è considerata una risorsa economica, parimenti alla casa ed al bestiame. Le donne vivono in purdah, recluse a casa, dedite alla cura dei figli, degli anziani o alla produzione di lavori di artigianato, prevalentemente tessitura e ricamo. L’alfabetizzazione femminile non è presa in considerazione perché ritenuta responsabile di atteggiamenti di rivolta contro il padre o il marito.
Cinque figli in media - Secondo l’Osservatorio Afghanistan nel 2020 “nel Paese il tasso di analfabetismo femminile si aggira ancora tra l’84 e l’87%. Nella capitale Kabul le cose vanno meglio, ma nei villaggi rurali, specialmente quelli controllati dai fondamentalisti, i genitori non si fidano di mandare a scuola i figli, specialmente le bambine. Pertanto, il 66% delle ragazzine tra i 12 ed i 15 anni non studia”. Sempre secondo tale report, tra il 60 e l’80% delle donne è costretta a sposarsi contro la propria volontà ed oltre il 50% di loro continua a partorire a casa con la sola assistenza di parenti più anziane. La media dei figli per ogni donna afghana è di 5,33 e l’uso di anticoncezionali è bassissimo. Non è un caso, quindi, se già nel 2012, il Gender Inequality Index, ossia l’indice di diseguaglianza di genere, assegnava all’Afghanistan 0,712 con riguardo ai diritti delle donne su una scala da 0 a 1. Non bisogna dimenticare che il 95% dei suicidi è compiuto proprio dalle donne.
Vi è quindi una discrasia tra alcuni diritti fondamentali riconosciuti ad esse dalla Costituzione del 26 gennaio 2004 e le limitazioni, esistenti di fatto, in campo lavorativo e sociale, a cui le stesse devono sottostare. L’errore sarebbe credere che tale situazione sia irreversibile mentre, nel corso dei decenni, l’Afghanistan si è reso teatro, come visto, di un processo di modernizzazione che, inevitabilmente, partiva da un progetto di alfabetizzazione che coinvolgeva tanto i bambini quanto le bambine, anche quelle abitanti nelle zone più remote e rurali. Durante il regno di re Amanullah, intorno agli anni ’20 del secolo scorso, furono avviate alcune riforme liberali volte a modernizzare i costumi e garantire una maggiore scolarizzazione femminile.
La regina femminista - Nel 1921 venne promulgata la prima Costituzione afghana, nella quale veniva garantita l’eguaglianza a tutti i cittadini del Paese senza distinzione di sesso. Fu istituita la scolarizzazione obbligatoria fino alla quinta elementare per bambini e bambine, venne abolito il matrimonio forzato e quello infantile ponendo altresì un freno alla pratica della poligamia, molto diffusa nelle zone rurali del Paese. Venne istituito un tribunale in cui le donne che subivano torti o abusi potevano rivolgersi per ottenere giustizia. La regina Soraya, prima donna femminista del Paese e unica presenza femminile nella lista del Governo, patrocinò l’Associazione per la tutela delle donne ed inaugurò, nel 1921, la prima scuola femminile del Paese che, nel giro di due anni, vide crescere il numero delle proprie studentesse dalle iniziali 50 a ben 700. Nel 1928, su iniziativa della regina, il re Amanullah abolì l’obbligatorietà del velo convinto che fosse un serio impedimento all’emancipazione femminile. Questo programma di riforme costituì una delle campagne politiche più progressiste dell’Asia ma vennero fortemente contestate dagli oppositori interni al processo di modernizzazione che costrinsero il re e la sua consorte all’esilio.
Kabul, anni '60 - Le riforme continuarono durante i regni di Mohammed Nadir Shah e Mohammed Zahier Shah il quale fondò la prima moderna università e rafforzò le relazioni commerciali e culturali con l’Europa. Nel 1964 le donne ottennero il diritto di voto e di ricoprire cariche elettive ma, ancora una volta, il processo di riforme posto in atto dal re venne fermato dagli oppositori e a causa di un colpo di stato lo stesso re venne costretto all’esilio. Nel 1965, su iniziativa di un piccolo gruppo di intellettuali, venne fondato il Pdpa, il Partito del popolo afghano, che voleva portare avanti le riforme avviate dal re Amanullah. Tra gli obiettivi del loro programma vi era l’istruzione scolastica per tutti nella lingua madre, proibizione del lavoro minorile e pari opportunità lavorative per uomini e donne. Nello stesso anno, venne fondata la Doaw, l’Organizzazione democratica delle donne afghane, che lottava per l’eliminazione dell’analfabetismo femminile, i matrimoni forzati e l’arcaico costume di pagare un prezzo per ‘comprare’ la ragazza da dare in sposa. La lotta per la modernizzazione del Paese portò a notevoli risultati e 4 rappresentanti della Doaw vennero elette in Parlamento. Un risultato straordinario se confrontato con la condizione femminile di alcuni decenni prima.
Un ventennio di riforme - Nel 1978 il Pdpa, a seguito di quella che venne definita la ‘Rivoluzione di aprile’, salì al potere ed avviò immediatamente un programma di riforme volte a cambiare la struttura politica e sociale della società afghana, tra cui una riforma agricola e una intensa campagna di scolarizzazione condotta di concerto con la Doaw. Nel 1979 erano già stata completata la costruzione di ben 600 scuole sparse in tutto il Paese. Ancora una volta però, i tentativi di modernizzare la società suscitarono una serie di proteste e alcune maestre vennero uccise a Kandahar quale rappresaglia nei confronti della scolarizzazione femminile che veniva percepita come una pratica pericolosa per i costumi dell’epoca. Inoltre, aver proibito di pagare alle famiglie della donna data in sposa il prezzo pattuito per la stessa, aveva ridotto sul lastrico molte famiglie. Furono in tanti, in questo periodo, a fuggire nei campi profughi allestiti in Pakistan dove ci si atteneva strettamente alle regole della tradizione afghana. In tali campi il 75% dei rifugiati era costituito da donne che si trovarono a dover vivere nuovamente in purdah, ossia chiuse in casa a badare alla famiglia e anche le bambine smisero di frequentare la scuola.
E poi, i Mujaheddin - Questo ennesimo ritorno al passato costituì terreno fertile per l’ascesa al potere dei Mujaheddin, che significa letteralmente ‘combattente’ e, in senso lato, anche ‘patriota’. Questi guerriglieri di ispirazione islamica, con l’appoggio del Pakistan, dell’Arabia Saudita e degli stessi Stati Uniti, cercarono di prendere il potere in Afghanistan rovesciando il Governo in carica. Ciò portò l’esercito sovietico, su richiesta dello stesso Governo, ad invadere il Paese innescando così dieci anni di guerra civile che, di fatto, portò alla devastazione del Paese con oltre un milione di civili uccisi e mezzo milione di mutilati. Interi villaggi vennero distrutti con il napalm perché la popolazione locale era ritenuta complice dei Mujaheddin. Nelle zone poste sotto il controllo del Governo legittimo, le riforme poterono continuare e le donne continuarono ad avere accesso alle facoltà universitarie o vennero mandate a studiare dell’Unione sovietica o in Turchia. Grazie all’operato della Doaw, rifondata con il nome di Consiglio delle Donne Afghane, vennero costruite numerose cliniche dotate di reparti di ostetricia e pediatria che offrivano anche anticoncezionali alle donne che ne facevano richiesta.
Tra Usa e Urss - Nel 1989, quando i sovietici si ritirarono dal Paese, la maggioranza della classe impiegatizia era costituita da donne che svolgevano anche le mansioni di medici, funzionari statali, insegnanti oltre che essere presenti in tutte le altre professioni, dall’impiegata di banca alla poliziotta. Vi erano donne paracadutiste, arruolate nei servizi segreti, sindacaliste e persino veterinarie, in genere considerata una professione off limits nei paesi islamici. Vi erano giornaliste e conduttrici radiofoniche e televisive. Pur tra tante difficoltà, molte donne erano riuscite ad emanciparsi e grazie alla possibilità di studiare e lavorare al pari degli uomini, erano riuscite a diventare membri attivi della società.
Con la caduta del Governo di Najibullah, quarto e ultimo presidente della Repubblica Democratica dell’Afghanistan, e la presa del potere da parte dei Mujaheddin, nel 1992, le cose cambiarono ancora una volta in peggio. Alcuni dei diritti fino ad allora riconosciuti alle donne vennero presto rimossi: l’adulterio divenne punibile con la lapidazione mentre il velo divenne nuovamente obbligatorio. Alle donne inoltre non venne permesso di lavorare in maniera professionale. Secondo un report stilato da Amnesty International nel 1995 “Negli ultimi 3 anni è stata distrutta la vita di migliaia di donne e bambini. Migliaia sono state uccise o ferite dagli attacchi di artiglieria (...) giovani donne sono state rapite o violentate o date in sposa alle varie fazioni di Mujaheddin o fatte prostituire per loro. Molte donne sono scomparse ed altre lapidate a morte. Donne collegate alle organizzazioni delle donne indipendenti sono state aggredite dai gruppi di Mujaheddin“. Nonostante le varie limitazioni, molte disposizioni contenute nella Costituzione rimasero in vigore e ad alcune venne permesso di continuare a lavorare.
Vietato ridere e alzare lo sguardo - Ma le lancette del tempo, anche in questo caso, presero a scorrere al contrario e, nel 1996, con l’avvento dei Talebani, ci si trovò in un nuovo Medioevo. Il termine indica gli studenti delle scuole coraniche in area iranica e di fatto, molti di loro, sono studenti dell’Islam provenienti dalle madrasse, ossia le scuole coraniche pakistane che avevano raccolto seguaci con la promessa di ristabilire l’ordine e la sicurezza in Afghanistan. Conquistarono Kabul nel 1996 e rimasero al potere per i successivi 5 anni fino a che il loro governo venne rovesciato dall’intervento americano a seguito degli attacchi terroristici dell’11 settembre. Sotto il loro regime la figura femminile venne cancellata. Alle donne venne proibito di ridere, di lavorare, di frequentare la scuola. Era loro proibito rivolgere la parola ad un uomo e tanto meno guardarlo negli occhi e stringergli la mano. Vennero chiusi i bagni pubblici femminili e alle donne venne proibito di andare in bicicletta e praticare alcun tipo di sport. Il divieto di fare rumore con i tacchi delle scarpe venne promulgato nel luglio del 1997. Molte di loro si suicidarono mentre altre semplicemente morirono di malattia o parto: era vietato infatti farsi visitare da medici uomini ma, di contro, non vi era nessuna donna che poteva praticare la professione medica. Molte donne vennero giustiziate per adulterio. Le donne potevano uscire di casa indossando il burqa solo se accompagnate da un maharram, un maschio guardiano.
«Per il vostro onore» - In un editto sui diritti delle donne del 1998, il Mullah Omar disse che il regime talebano voleva restituire alle donne la dignità che avevano perso e che le regole loro imposte “servivano a proteggere l’onore e la dignità delle donne dalle luride occhiate dei guardoni”. Molte di loro raccontarono di aver tentato il suicidio e di essere andate spose a uomini anziani o invalidi ma, tra tanto orrore, vi erano anche forti sacche di resistenza quali alcune scuole clandestine in cui si continuava a far studiare le bambine. Molte ex insegnanti, a costo della propria vita, organizzarono infatti scuole autogestite, allestite nei sotterranei dei palazzi, oppure nelle case. Le lezioni venivano tenute ad orari diversi, per non insospettire i Talebani ed i libri venivano impacchettati di modo da sembrare pacchi della spesa. In caso di irruzione dei Talebani, le persone presenti iniziavano a pregare in coro fingendo di recitare il Corano. Alcune volte andava bene ma tante persone persero la vita per cercare di non abbandonare del tutto il sogno di una vita normale.
Il sogno americano - Con la caduta del regime talebano nel 2001, vennero ripristinati tutti i diritti negati alle donne quali quello al voto, allo studio ed al lavoro. Le bambine poterono tornare a scuola indossando, come divisa ufficiale, l’abito nero e l’hijab bianco mentre il burqa venne definitivamente abbandonato. Il 26 gennaio del 2003, a Kabul, 28 donne presero la patente. La situazione migliorò sensibilmente rispetto agli anni precedenti anche se continuò a sopravvivere la netta differenza economica e culturale tra aree urbanizzate e zone rurali dove non era raro vedere donne indossare ancora il burqa e vivere unicamente per servire il marito ed i propri figli. In queste zone la scolarizzazione rimase scarsa e le condizioni di vita delle donne, pur non minacciate più dalla Sharia imposta dai Talebani, era comunque condizionata dall’impronta patriarcale della società tradizionale. Molte furono le donne uccise perché avevano tentato di ribellarsi ai dettami della tradizione, come Mena Magal, attivista per i diritti umani o Sushmita Banerjee mentre nel 2008 ignoti aggredirono con l’acido almeno 14 studentesse, oltre che diverse insegnanti a Kandahar, ree di aver voluto andare a scuola. Solo nel 2012 furono commessi oltre 340 delitti di onore.
Libertà a rischio - Dal 15 agosto le lancette del tempo sono tornate indietro e, come successo nel 1996, il Paese è tornato ad essere governato dai Talebani. La paura è presente nei volti delle persone e riga il volto delle donne che terrorizzate non escono più di casa. Troppo recenti sono i ricordi degli orrori subiti con il precedente governo talebano per credere alle rassicurazioni del portavoce Suhail Shaheen che parlando alla BBC ha dichiarato che “Le donne potranno uscire di casa e studiare”. Le parole non bastano e non vengono credute da chi ha paura di vedere offuscata la propria libertà. Nahal e Mahvash, due sorelle single che non hanno mai indossato il burqa, hanno raccontato al Corriere della Sera di aver sentito “tantissime storie orribili, di ragazze portate via con la forza e costrette a sposarsi a uomini mai visti. E allora pensiamo che l’unica cosa che possiamo fare è fuggire da qui, dalla nostra casa”. Il giornale The Guardian ha raccolto la testimonianza di persone del luogo che raccontano che nei villaggi chiedono l’elenco delle donne non sposate di età compresa tra i 12 ed i 45 anni per darle in sposa ai soldati mentre al Washington Post la giornalista Tzemach Lemmon racconta di aver ricevuto un video in un cui un padre si dispera per la scomparsa della propria figlia quattordicenne rapita da alcuni uomini armati. Ancora una volta il popolo afghano si trova a dover camminare sulla via della Storia facendo passi indietro, verso un futuro che sa di passato.