Diffuso scetticismo, presunti errori gestionali del Cremlino e i dubbi sullo Sputnik V: e la morsa del contagio rimane
In Russia la curva delle persone contagiate da Covid-19 cresce in maniera esponenziale. Secondo i dati diffusi martedì 28 settembre dalle autorità sanitarie, i nuovi contagi nelle ultime 24 ore sono stati 21'559. I positivi dall'inizio della pandemia sono 7,46 milioni, con oltre 623mila casi attivi di coronavirus sul territorio nazionale.
Il dato più eclatante è quello dei decessi: in 24 ore sono morte 852 persone, in quello che è il nuovo record dall'inizio dell'emergenza sanitaria. Il precedente record di 828 vittime era stato registrato lo scorso 24 settembre, a riprova di come la pandemia sta flagellando la Russia nonostante la campagna vaccinale in corso.
Secondo Anna Popova, direttrice dell’agenzia statale per i controlli sanitari, «quasi 40 milioni di adulti sono stati completamente vaccinati contro il Covid-19». Bisogna però considerare che la Russia ha una popolazione di circa 146,2 milioni di persone e la cifra, quindi, appare piuttosto irrisoria. Anche il presidente Vladimir Putin ha dovuto fare i conti con la crescita dei contagi e, lo scorso 14 settembre, ha dichiarato durante una riunione della Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva che «nella mia cerchia più ristretta sono stati identificati dei casi di contagio da coronavirus, e non sono né uno né due ma alcune decine di persone e adesso sono costretto, per alcuni giorni, a rispettare il regime di autoisolamento».
Primi ad avere un vaccino, ma indietro - La Russia si trova, in effetti, a vivere un vero e proprio paradosso: è stato il primo Paese, l’11 agosto 2020, a dichiarare di aver scoperto un vaccino efficace contro il Covid-19, lo Sputnik V. Nonostante ciò, la campagna vaccinale non è mai veramente decollata e la percentuale delle persone immunizzate è molto bassa. All’inizio dell’estate, il 18,3% della popolazione aveva ricevuto un’unica dose di vaccino e appena il 12,6% era stato pienamente immunizzato. La Russia, a oggi, ha approvato l’utilizzo di quattro vaccini e fino allo scorso giugno il presidente Putin appariva discretamente ottimista sullo stato di salute della propria nazione. Aveva infatti dichiarato: «La nostra situazione è migliore che in molti altri Paesi» e aveva aggiunto che i dati epidemiologici «permettono di organizzare eventi pubblici senza particolari rischi di diffusione del contagio».
Problemi di gestione e scetticismo - Le sue parole erano state smentite, appena qualche settimana dopo, da un aumento spropositato dei casi di contagio fino ad arrivare, lo scorso 8 luglio, a registrare l’incredibile cifra di 24'361 positivi. Il dato preoccupante, inoltre, è che nel corso dell'estate le curve dei contagi e dei decessi sono cresciute quasi di pari passo, evidenziando un problema a livello non solo vaccinale, ma anche di capacità di mappare i nuovi focolai e contenere la diffusione del virus. Da una parte la Russia ha scorte di vaccini in abbondanza, dall’altra il vero e proprio ostacolo rimane lo scetticismo della popolazione nei confronti della campagna vaccinale.
Lo scorso aprile, un sondaggio condotto dall’Istituto demoscopico Levada Center mostrava che il 62% della popolazione aveva dichiarato la propria indisponibilità a farsi vaccinare, con una percentuale del 70% nella fascia di età che va dai 25 ai 50 anni. Inoltre, più della metà dei russi aveva dichiarato di non temere di ammalarsi di Covid-19. Il Cremlino aveva risposto a ciò che il portavoce del presidente Dmitry Peskov definiva «il nichilismo del popolo russo», introducendo nuove limitazioni. È necessario aver fatto il vaccino per accedere ai bar, ristoranti e luoghi di ritrovo oltre che per evitare la sospensione dal lavoro nel caso d'impiegati del settore pubblico e operatori sanitari. «La vaccinazione rimane non obbligatoria» come specificato da Peskov, il quale, però, ha aggiunto che «se un moscovita lavora nel terziario e deve farsi vaccinare ma ha deciso di non vaccinarsi, deve semplicemente smettere di lavorare nel terziario».
«Colpa del Cremlino» - Secondo l’Economist il fallimento della campagna vaccinale sarebbe da imputarsi alla errata gestione della pandemia da parte del Cremlino: quando, all’inizio dell’anno, l’Europa faceva i conti con la seconda drammatica ondata di contagi, Putin, in netta controtendenza, decise di allentare le restrizioni adottate per arginare la pandemia, con negozi, bar e teatri aperti. Secondo la rivista inglese, quindi, Putin sarebbe colpevole di aver diffuso un confuso messaggio di ritorno alla normalità, creando un falso senso di sicurezza nella popolazione. Inoltre, nel mirino dei detrattori, vi è proprio il vaccino Sputnik V che, proposto dal Governo come arma di salvezza per sconfiggere la pandemia, viene visto con sospetto dagli stessi russi.
Il problema Sputnik V - Come sappiamo, il vaccino russo non ha avuto l’approvazione all’utilizzo da parte dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA), nè dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che continua a denunciarne gravissimi problemi di produzione. In particolare sono stati evidenziate cross-contaminazioni dei lotti prodotti e difficoltà di tracciare gli stessi. Di contro, i ricercatori che hanno sviluppato lo Sputnik V accusano l’Unione europea di voler deliberatamente favorire i vaccini statunitensi ed europei a scapito di quelli russi. L’opacità dei dati diffusi dal Cremlino, la frettolosità con cui è stato dato l’annuncio di una scoperta che, si teme, abbia saltato non pochi stadi di sperimentazione e il fatto che lo Sputnik sia sembrato più un’arma di offesa nell’ambito della politica estera che non uno strumento per migliorare le cose in casa propria, ha indebolito la fiducia della popolazione russa. Una cosa, infatti, è accertare l’efficacia del vaccino sulla carta, un conto è far sì che venga prodotto e commercializzato in maniera efficace e trasparente.
Nascita dello Sputnik V - Nell’agosto del 2020, infatti, il governo russo aveva deciso d'iniziare a distribuire le dosi di vaccino prima ancora che fossero pubblicati i dati relativi ai risultati dei test clinici di fase 1 e 2, di solito necessari per verificare la sicurezza di nuovi farmaci e vaccini, e prima ancora di dare inizio alla fase 3 necessaria per controllarne l’efficacia. Il vaccino Sputnik V, sviluppato dall’Istituto nazionale di epidemiologia e microbiologia Nikolai Gamaleya di Mosca, si basa su due tipi di adenovirus, ossia dei virus capaci di trasportare all’interno della cellula la sequenza del codice genetico che codifica la proteina Spike, di modo che il sistema immunitario si attivi a produrre anticorpi. Gli adenovirus usati sono l’rAd26, quando si riceve la prima dose e l’rAd5 quando viene somministrata la seconda. I ricercatori russi, nel settembre 2020, avevano pubblicato due studi preliminari dichiarando di aver condotto dei test su un campione di 76 persone vaccinate con entrambe le dosi a distanza di tre settimane. I risultati, seppur buoni, avevano destato un certo scetticismo perché condotti su di un numero estremamente esiguo di persone.
I dubbi (anche russi) - Lo scorso febbraio, invece, i ricercatori avevano pubblicato i primi risultati della fase 3 mentre la stessa era ancora in corso. Anche in questo caso i russi furono criticati da numerosi colleghi per non aver fornito i dati grezzi sul test clinico e per non aver motivato a sufficienza le conclusioni a cui si era giunti dopo la fase preliminare. Questo modo di agire non solo ha suscitato forti critiche e scetticismo a livello internazionale, ma anche all'interno dello stesso Paese. Alcune settimane fa è stato pubblicato uno studio indipendente sull’efficacia contro la variante delta del vaccino Sputnik, condotto dall’Università europea di San Pietroburgo, dall’Università Pavlov e da diversi ambulatori medici, che ha cercato di far chiarezza sui tanti dubbi mai chiariti dai ricercatori. Lo studio ha rivelato che, su un campione di 14mila persone, lo Sputnik riduce il pericolo di ospedalizzazione dell’81% e aiuta a prevenire gravi lesioni polmonari. La percentuale, così come chiarito da coloro che hanno condotto lo studio indipendente, si riferisce alla ospedalizzazione o meno dei malati di Covid-19 ma non può essere direttamente confrontata con l’efficacia del 91,6% proclamata dagli sviluppatori del vaccino.
Il mistero non giova - A dispetto della sua validità, quindi, il Gam-Covid-Vac, questo il nome ufficiale dello Sputnik V, paga il fatto di continuare a essere avvolto da un alone di mistero. La dice lunga il fatto che a favore del vaccino sono stati pubblicati solo quattro studi scientifici i cui autori, in due casi, sono gli stessi creatori dello Sputnik. Come è noto il vaccino rimane l’unica arma per sconfiggere la pandemia ma è necessario che ci sia chiarezza su ogni aspetto che ne ha comportato la produzione e la commercializzazione per far sì che le persone rispondano in massa al giusto invito di vaccinarsi.