Fra le varie carenze globali di questo post-pandemia la più pesante è quella dell'energia, e le bollette si gonfiano
Il sistema energetico europeo è in crisi. Lo testimoniano i prezzi del gas che sono aumentati in maniera esponenziale, creando una situazione di panico generalizzato. Si è passati dai 6 euro a megawattora nel maggio 2011 a oltre 170 euro per megawattora a metà di settembre 2021. Il prezzo dell’energia elettrica, così strettamente connessa al gas, ha seguito la stessa sorte con un aumento del costo di produzione passato dai 22 euro per megawattora nel maggio 2020 a picchi, come quello registrato il 15 settembre scorso, di 180 euro per megawattora.
I problemi europei - L’aumento dei prezzi che vede coinvolto il campo energetico riguarda anche molti altri settori: dal legno al rame, dalla logistica delle navi a quella dei camion. In Italia, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha annunciato un aumento delle tariffe pari al 40% (se non al 50%), a fronte del quale il governo di Mario Draghi sta pensando a un poderoso intervento di contenimento dei prezzi. Un problema analogo si era comunque già presentato nel luglio di quest’anno, quando il potenziale aumento del 20% era stato contenuto nei limiti del 9,9% per l’elettricità e del 15% per il gas.
Anche in Spagna, i prezzi dell’elettricità hanno raggiunto un livello record mettendo sotto pressione il governo di Pedro Sánchez che ha annunciato un taglio temporaneo dell’Iva sull’energia. Il governo francese ha proposto di estendere la possibilità di beneficiare dei sussidi diretti per i pagamenti del carburante a un numero maggiore di persone, mentre la Grecia ha annunciato un fondo di transizione energetica di 150 milioni di euro per cercare di compensare gli aumenti dei prezzi dell’elettricità. In Germania la situazione non è molto diversa rispetto agli altri Paesi
europei: i prezzi di riferimento dell’elettricità all’ingrosso hanno raggiunto i 90 euro per megawattora superando il record raggiunto nel 2008 quando i prezzi avevano sfiorato i 150 dollari al barile. Anche in Gran Bretagna il prezzo dell’elettricità ha raggiunto il suo massimo storico tanto che due fornitori di energia, incapaci di pagare l’elettricità ai prezzi attuali, hanno cessato la propria attività.
Anche in Asia - La crisi energetica non è una problema che riguarda la sola Europa ma si sta diffondendo a livello globale, con effetti più o meno disastrosi. In Cina, secondo Bloomberg Intelligence, almeno 17 province, pari al 66% del Prodotto interno lordo, hanno annunciato forme d'interruzione di energia, soprattutto nell’industria pesante. Nonostante il forte incremento della domanda di energia, il costo del carbone rende poco economica la produzione di elettricità, motivo per cui alcune aree quali le province di Heilongjang, Jilin e Liaoning, tutte nel nord-est del Paese, hanno optato per il blackout. Molte fabbriche sono rimaste ferme per evitare di superare i limiti di consumo energetico imposti dal governo centrale. I blackout hanno determinato anche lo spegnimento degli ascensori nei grattacieli più alti, dei semafori e dell’illuminazione stradale, con disagi facilmente immaginabili.
Le cose non vanno meglio in India che, da alcuni anni, è il terzo consumatore di energia al mondo dopo Stati Uniti e Cina. Ciò è dovuto all’aumento della popolazione e allo sviluppo economico. La principale fonte, però, rimane il carbone, con una percentuale di utilizzo di oltre il 60%, motivo per cui il grande Paese asiatico si trova a fare i conti con tre ordini di problemi: garantire l’accesso all’elettricità a 300 milioni di persone che ne sono prive; ridurre l’inquinamento atmosferico dovuto all’ingente uso di carbone; produrre più energia per far fronte alla costante domanda interna.
Le cause - Le cause dell’attuale crisi energetica globale sono diverse e ognuna di esse, in mancanza di una seria presa di coscienza rispetto allo stato attuale delle cose, è destinata a peggiorare. Una delle principali ragioni dell’aumento delle tariffe di gas ed elettricità è legata all’inflazione che in Europa è al 3% mentre negli Stati Uniti viaggia al 5%. Un altro motivo giustificativo dell’attuale stato di cose è il rialzo del prezzo della CO2 che, da solo, ha contribuito per un quinto alla determinazione dei recenti aumenti. Il prezzo dei permessi, denominati ETS, è passato dai consueti 25 euro agli attuali 61 anche in vista dei maggiori impegni assunti dall’Europa in vista del traguardo posto per il 2030, ossia di ridurre le emissioni di gas serra del 55%.
Le quote di emissione - La Commissione europea, che a luglio ha proposto un ampio pacchetto di politiche verdi tra cui l’aumento del prezzo sul carbonio, del carburante per auto e riscaldamento degli edifici, si trova ora sotto pressione e viene accusata di non tutelare gli interessi delle persone svantaggiate che non possono permettersi di passare a fonti alternative di energia. La verità è che nessuno può più far finta d'ignorare che la crisi climatica comporta dei rilevanti costi economici ed è impossibile pensare di poter raggiungere la cosiddetta ‘neutralità climatica’ senza dare un prezzo alle emissioni di carbonio.
È anche vero che, se da una parte, vige il principio che «bisogna pagare per poter inquinare», d’altra parte esiste un complesso meccanismo per cui è possibile, da parte delle aziende europee, acquistare, ricevere e scambiare le proprie quote di emissione. Se un’azienda inquina di più di quanto previsto si troverà costretta a pagare per avere altri permessi, aggiungendo così un nuovo costo. Le politiche ambientali europee, da molti ritenute troppo restrittive, hanno portato a un aumento della domanda di permessi e, di conseguenza, si è avuto un aumento dei prezzi dei diritti.
Penuria di gas - Altro problema sono poi le scarse scorte di gas dovute al protrarsi della stagione fredda fino allo scorso maggio e che non sono state rimpinguate dalle forniture provenienti dalla Russia e dalla Norvegia a causa delle difficoltà logistiche e dell’obsolescenza delle strutture. Attualmente non sembra percorribile la strada di importare il gas naturale liquefatto, Gnl, dagli Stati Uniti perché, pur avendo raggiunto un prezzo folle nel Vecchio Continente, ai venditori americani conviene comunque piazzarlo sul mercato asiatico. In Cina e in India, dopo la pandemia, la domanda di gas è aumentata a livelli stratosferici per far fronte al rimbalzo economico verificatosi con la riapertura dei settori produttivi.
La Cina, in special modo, sta accelerando gli sforzi per garantirsi le forniture di gas naturale in vista dell’inverno. Il risultato è che i Paesi europei non possono più contare sui Paesi ricchi di
gas naturale (come Stati Uniti, Australia e Qatar) ed efficienti nel trasportarlo per dei rifornimenti occasionali, detti ‘spot’, dato che la maggior parte delle forniture è convogliata nei Paesi asiatici. Anche Gazprom, che con il 41% è il principale fornitore di gas dell’Unione europea, si sta mostrando interessato al mercato asiatico. All’accusa di non rispettare i termini contrattuali relativi all’obbligo di fornitura, l’amministratore delegato del gruppo Alexei Miller ha affermato che tali termini sono perfettamente rispettati anche se, ha chiaramente aggiunto, c’è maggiore convenienza nel vendere il gas ai Paesi asiatici.
Richiesta d'indagine - Sono circa quaranta i politici europei che hanno chiesto alla Commissione europea d'indagare sull’impatto delle pratiche di Gazprom sul mercato di gas, nella convinzione che il fornitore russo non stesse ottemperando il contratto di fornitura sul mercato spot. Secondo Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, non è la Russia la causa dell’aumento dei prezzi del gas naturale in Europa ma proprio gli scambi sul mercato spot, ossia quello che prevede una vendita immediata di gas. Per la Russia e la società statale Gazprom sarebbe quindi più proficuo che l’Europa firmasse dei contratti di fornitura a lungo termine invece che richiedere delle forniture immediate di gas solo nei momenti di bisogno.
In molti pensano che l’atteggiamento della Russia faccia parte di una strategia di geopolitica e tenderebbe a convincere l’Europa dell’importanza del gasdotto Nord Stream 2 costruito sotto il mar Baltico per collegare la Russia con la Germania senza passare per l’Ucraina. Tale progetto, osteggiato in particolar modo dagli Stati Uniti per paura che la Russia possa estendere la propria egemonia in Europa, sarebbe pronto a partire mancando solo dell’autorizzazione delle autorità tedesche.
Il problema energetico continua a farsi sempre più drammatico e mentre i grandi della Terra continuano a difendere le proprie posizioni di potere, la situazione rischia di scappare definitivamente di mano.