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La fuga dalla Cina dei colossi dell'informatica: colpa della nuova legge sulla privacy

Un fenomeno che riguarda i big del settore, americani ma non solo (vedi Epic Games)
Un fenomeno che riguarda i big del settore, americani ma non solo (vedi Epic Games)

Da quando, il 1° novembre, è entrata in vigore in Cina la nuova legge sulla privacy, molte società di high tech (americane, ma non esclusivamente) sono scappate dal Paese. Dopo LinkedIn, colosso mondiale nello sviluppo di contatti professionali, è stato il turno, pochi giorni fa, di Yahoo! e poi anche della versione cinese di Fortnite. C’è chi parla di tutela della privacy necessaria e chi di censura: resta il fatto che il giro di vite, dato dalla Cina alla raccolta di dati personali dei fruitori di sevizi online, ha reso difficoltosa la permanenza delle Big Tech.

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Dove nasce (e come) la legge - Il 20 agosto scorso, il Comitato Permanente della 13°Assemblea Nazionale del Popolo, ramo legislativo del parlamento cinese, ha approvato la Legge sulla protezione delle informazioni personali, con decorrenza, come detto, dal 1° novembre. Tale testo legislativo, che si ispira al Regolamento dell’Unione Europea 2016/679, mira a regolamentare in maniera più rigorosa la raccolta dei dati personali dei cittadini. Secondo la nuova legge, che si compone di 70 articoli, di primaria importanza è la trasparenza, la correttezza, la conservazione limitata nel tempo e la responsabilizzazione dei dati personali, ossia di tutti quegli elementi tramite i quali un soggetto è identificabile. Secondo tale legge, le aziende cinesi sono tenute a ottenere, in materia di consenso informato, una chiara manifestazione di volontà positiva dell’utente per poter erogare i servizi offerti.

Il trattamento dei dati deve, inoltre, essere limitato alle mere finalità per il quale è richiesto: non è prevista in nessun modo la divulgazione a terze parti. La raccolta viene sottoposta a ulteriori controlli per poi procedere, obbligatoriamente, alla cancellazione dei dati una volta venute meno le basi legali per il loro utilizzo e conservazione. Le aziende cinesi, quindi, dovranno rinunciare a una serie di pratiche comuni alle aziende online, quale quella di fissare un prezzo diverso sulla base della cronologia di acquisto dei clienti o trasferire i dati personali di costoro a Paesi con standard di sicurezza meno rigorosi rispetto a quelli applicati in Cina. All’interessato viene garantito il cosiddetto ‘diritto di accesso’, ossia la possibilità di poter ottenere dal titolare dei servizi tutte le informazioni che lo riguardano, potendo richiedere l’interruzione e la limitazione del loro utilizzo.

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Norme restrittive - Sono previste pene severe in caso di violazioni delle norme poste a tutela della privacy, per le quali è previsto che l’azienda nomini un responsabile del trattamento dei dati. I trasgressori, infatti, possono andare incontro a multe salate, fino a 50 milioni di yuan (circa 7,16 milioni di franchi svizzeri) o al 5% del fatturato annuo dell’azienda, oltre che la sospensione della licenza commerciale. Nei casi più gravi si può arrivare perfino alla chiusura.

Rispetto alla già citata normativa europea, la legge sulla privacy adottata in Cina è ancora più restrittiva: basti pensare che il termine "dati particolari" non si riferisce solo alle informazioni personali quali la razza, le credenze religiose o i dati biometrici, così come in Europa, ma comprende anche tutte le informazioni inerenti i conti bancari, le operazioni finanziarie e il numero di cellulare. Secondo quanto riferito da un portavoce dell’Assemblea nazionale del popolo all’agenzia di stampa Xinhua, la legge mira a proteggere «coloro che sono più esposti ai rischi sui dati personali utilizzati per la proliferazione degli utenti e gli algoritmi di raccomandazione o all’uso di big-data nella determinazione di prezzi sleali».

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L'addio di LinkedIn... - Per i colossi tecnologici, molti dei quali con sede negli Stati Uniti - dove non è in vigore nessuna legge federale paragonabile a quella cinese -, è stata una sorta di choc. Alcune aziende hanno preferito ritirarsi piuttosto che affrontare i vincoli posti dalla nuova normativa e i costi necessari per conformare a essa i servizi offerti online. Il 14 ottobre LinkedIn, social media posseduto da Microsoft, ha annunciato la decisione di abbandonare la Cina per via dei vincoli sulla privacy. Lo scorso mese di marzo l’autorità cinese che vigila su Internet aveva concesso 30 giorni di tempo ai vertici dell’azienda per regolare i propri contenuti con gli standard di sicurezza adottati da Pechino. LinkedIn era, di fatto, l’unico social media americano presente in Cina. Al suo posto è stata creata una nuova piattaforma, denominata ‘InJobs’, che non prevede la possibilità di condividere i post e i feedback lasciati dagli utenti.

...e quello di Yahoo! - Risale invece al 2 novembre scorso la decisione di Yahoo! di lasciare la Cina a causa «di un ambiente commerciale e legale sempre più impegnativo». I servizi dell’azienda di Sunnyvale, in California, sono stati bloccati fin dal 1° novembre, anche se da tempo era stata avviata un’opera di ridimensionamento delle attività in Cina - tanto che l'ufficio di Pechino era stato chiuso nel 2015. Yahoo! era entrata nel mercato cinese nel 1999, offrendo servizi online quali e-mail e motori di ricerca. Dal 2005, a seguito di un accordo di partnership, la maggior parte delle operazioni nel gigante asiatico della società era stata affidata ad Alibaba, multinazionale privata cinese composta da una serie di operatori del commercio elettronico, che ha gradualmente eliminato le piattaforme di Yahoo!. Il cui ritiro - anche se ha un notevole peso simbolico - è di fatto puramente formale, dato che diversi servizi sono da tempo bloccati e sono visibili sono attraverso l’adozione di VPN, ossia una rete privata virtuale che consente di aggirare ogni tipo di blocco all’accesso. La società americana ha dichiarato che rimarrà «impegnata nei diritti dei nostri utenti e in un Internet libero e aperto».

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Il caso Fortnite e la stretta sui videogiochi - Anche la versione cinese del famoso videogioco Fortnite di Epic Games ha smesso di funzionare il 1° novembre, mentre dal 15 novembre la società disabiliterà definitivamente i server che ospitano il gioco in Cina. Fortnite non aveva mai ottenuto l’approvazione formale del governo cinese, ma era stato introdotto in Cina nel 2018 grazie a un accordo temporaneo tra Epic Games e il colosso cinese Tencent, che ne detiene il 40% delle azioni. La sua versione cinese, denominata Fortress Night, era stata modificata e censurata a causa delle restrizioni imposte dalla Cina ai videogiochi. Alla base della decisione di Epic Games di abbandonare il mercato cinese hanno influito ragioni di natura commerciale: il governo cinese, infatti, non ha approvato le ‘microtransazioni’ che rappresentano la prima fonte di guadagno per il mondo videoludico.

D’altra parte la Cina ha sempre avuto un atteggiamento molto duro nei confronti dei videogiochi, limitando al massimo la possibilità di fruizione da parte di bambini e adolescenti. Di recente è stato imposto il limite per gli under 18 a un’ora al giorno, dalle 20 alle 21, esclusivamente il venerdì e nei giorni festivi. Molto stringente è anche il controllo esercitato dal governo nazionale al fine di ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione dei videogiochi: è necessario valutare se il gioco violi le leggi cinesi o diffonda segreti di stato, oltre che incoraggiare il gioco d’azzardo. Sono inoltre vietati i videogiochi che, a parere delle autorità cinesi, istighino minori alla violenza o all’autolesionismo. Molta attenzione viene posta anche alla rappresentazione delle vicende storiche che non devono in alcun modo alterare la storia cinese o porre questioni religiose. 


Appendice 1

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