Russia e Ucraina sono legate a doppio filo, tanto che Putin non la considera una nazione separata
Secondo fonti dell’intelligence statunitense, la Russia è pronta a invadere l’Ucraina e a scatenare una guerra che potrebbe causare fino a 50 mila morti civili. La capitale Kiev potrebbe cadere nel giro di soli due giorni nelle mani dell’esercito russo, e oltre 5 milioni di persone sarebbero costrette fuggire dall’Ucraina e chiedere rifugio ad altri Paesi europei.
Secondo quanto scritto dal New York Times, a Washington sono ormai convinti che Putin stia solo aspettando che il terreno si ghiacci completamente in modo da poter far avanzare più agevolmente i propri mezzi militari. Il tutto potrebbe accadere tra la metà di febbraio - la data che rimbalza tra i rapporti dell'intelligence sarebbe quella del 16 di questo mese - e la fine di marzo, ed è per questo che il presidente russo avrebbe dispiegato, nei Paesi confinanti con l’Ucraina, il 70% delle forze necessarie per un'invasione. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dal canto suo smentito qualsiasi proposito d'invasione, ma il Cremlino non ha tuttavia chiarito come conciliare le presunte intenzioni pacifiche con l'enorme dispiegamento di forze a ridosso del confine.
Fino a ora, gli Stati Uniti hanno stimato la presenza militare russa ai confini con l’Ucraina in 100mila uomini, mentre l’intelligence occidentale in 130 mila, oltre a 1.200 carri armati, aerei da combattimento e batterie di razzi a lungo raggio. Di contro, Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno inviato degli armamenti a Kiev, ed è stata rafforzata la presenza militare nel Mar Baltico e nei Paesi Nato vicini, come la Lituania, Bulgaria e Romania.
Nonostante le smentite ufficiali, i venti di guerra sembrano soffiare con forza in queste ore attorno all'Ucraina. La tensione resta al massimo dopo lo stallo registrato sabato, al termine di una conversazione telefonica di oltre un'ora tra i presidenti Vladimir Putin e Joe Biden che si è conclusa in un nulla di fatto. L'unica certezza è che la risposta a un'eventuale invasione sarebbe inevitabile e fragorosa. Lo ha detto il commander-in-chief americano e lo ha ribadito il segretario di Stato Anthony Blinken, secondo cui Mosca potrebbe «istigare una provocazione o un incidente» per giustificare l'attacco.
Un grande alleato orientale
Mosca è stata inoltre minacciata di pesanti sanzioni economiche da parte dell’Unione europea, come, ad esempio, vietare alle banche russe di fare operazioni interbancarie in dollari, rendendo quasi impossibile compiere operazioni all’estero. Tra qualche settimana, inoltre, saranno finiti i Giochi Olimpici Invernali, che si svolgono a Pechino, e il Presidente Putin, nel caso volesse dar corso all’azione militare, non rischia di inimicarsi Xi Jinping, proprio alleato storico, con il quale ha diffuso un comunicato stampa per affermare che «non ci sono limiti nelle relazioni tra Cina e Russia».
I Paesi occidentali sono concordi nel condannare la prova di forza dell’asse Cina-Russia, e attualmente la diplomazia è al lavoro per trovare una soluzione alla questione. Il Cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato che si recherà a Kiev il prossimo 14 febbraio, per poi visitare Mosca il giorno successivo. Lo stesso Cancelliere, in una intervista al Washington Post, ha affermato che «la risposta alla Russia da parte di Usa, Ue e Nato sarà unita e risoluta (...) e Mosca pagherà un prezzo molto alto».
Lo scorso 7 febbraio, invece, è stato il Presidente francese Emmanuel Macron a far visita a Putin «per avviare il percorso che dobbiamo intraprendere, che è quello di una de-escalation» e aggiungendo «di voler evitare la guerra e costruire elementi di fiducia e stabilità per tutti».
Che i rapporti tra Russia e Ucraina siano, da anni, ormai compromessi è cosa nota, ma per giustificare un tale spiegamento di forze militari, bisogna fare un passo indietro ed esaminare i diversi motivi per i quali Putin sta concentrando la propria attenzione su questo Paese. Alcuni di essi sono di natura geografica e politica, altri di natura militare, altri invece affondano le proprie radici nella storia o, addirittura, nel mito.
«Fermare l'espansione della Nato»
Dal punto di vista politico, sia Putin sia il leader cinese Xi Jinping, si sono dichiarati fermamente contrari a una espansione della Nato nei Paesi confinanti con la Russia. Anche se l’Ucraina non viene mai menzionata, il riferimento è chiaro, così come l’auspicio a che la Nato «rispetti la sovranità, la sicurezza e gli interessi degli altri Paesi, e la diversità delle loro culture e tradizioni, e accetti lo sviluppo pacifico di altri governi». In un documento congiunto, i due presidenti si sono scagliati contro la presenza di forze internazionali che «promuovono con ostinazione l’unilateralismo, interferiscono negli affari interni delle altre economie e creano attriti e scontri che ostacolano il progresso dell’umanità. Cina e Russia si oppongono con forza a tali tendenze e ritengono che la democrazia sia un valore universale, piuttosto che un privilegio di un numero limitato di Paesi».
Il riferimento al Governo degli Stati Uniti, e alla Nato, è fin troppo evidente e per Putin una eventuale espansione di quest’ultima in Ucraina rappresenterebbe un motivo sufficiente per passare alle vie di fatto. Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha definito insufficienti le risposte della Nato ai suoi quesiti, e il viceministro degli Esteri Sergej Ryabkov ha rimarcato che «per noi è assolutamente obbligatorio garantire che l’Ucraina non diventi mai e poi mai membro della Nato».
Dopo la fine della Guerra Fredda, l’Alleanza atlantica è andata sempre più a espandersi verso il fronte orientale, accogliendo 14 nuovi Paesi, inclusi quelli dell’ex Patto di Varsavia e le tre nazioni baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania, che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica. Tale stato di cose, secondo Putin, mina la sicurezza nazionale della Russia poiché «l’Alleanza è giunta alle porte della Federazione». L’Ucraina non è membro della Nato ma, durante il vertice svoltosi a Bucarest il 2 aprile del 2008, si decise che la Nato avrebbe riconosciuto «il principio della porta aperta» sia per l’Ucraina che per la Georgia. Quindi, anche se l’ingresso della Ucraina non è attualmente in discussione, non può comunque essere escluso in un prossimo futuro proprio in forza di tale principio fondante dell’Alleanza atlantica.
Alla luce di quanto detto, appare facilmente comprensibile come per Mosca sia di vitale importanza non avere delle forze militari Nato direttamente ai propri confini. Non è una novità che Putin abbia più volte, nel corso dell’ultimo anno, tracciato le ‘linee rosse’ della sicurezza russa. Il 17 dicembre scorso, il premier russo ha dato un chiaro ultimato alla Nato, avanzando delle richieste molto precise, quali il non ingresso dell’Ucraina nel Patto Atlantico, e il non posizionamento di missili a corto e lungo raggio nei confini russi, senza però concedere in cambio il ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino. Putin sta quindi tracciando dei propri confini immaginari, preparando il casus belli nel caso gli stessi venissero oltrepassati dai Paesi dell’Alleanza.
La Crimea, uno snodo chiave
Gli altri motivi di divisione, come detto, trovano origine nella storia e in evidenti ragioni economiche. L’Ucraina è un territorio strategico, per la Russia, sia per i suoi commerci di gas con l’Europa sia per i traffici navali che partono dal porto di Sebastopoli, in Crimea. A ben guardare, quindi, la tensione tra i due Paesi, pur degenerata nell’ultimo periodo, non ha origine recente ma risale a quasi 30 anni fa quando, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, iniziarono ad affiorare i primi punti di divisione.
Il primo era l’arsenale nucleare ucraino che la nazione si era impegnata ad abbandonare, sulla base del Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza, a patto che la Russia assicurasse di non voler mettere a repentaglio la sicurezza territoriale e l’indipendenza politica dell’Ucraina. Tale patto venne violato però dalla Russia nel febbraio del 2014, quando ebbe inizio il conflitto incentrato sullo status della Crimea e del Donbass. Ad accendere la miccia di una serie di violente manifestazioni di piazza pro Europa, denominate ‘Euromaidan’, avvenute tra il 21 e il 22 novembre 2013, vi fu la sospensione, da parte del governo filo-russo di Kiev, dell’accordo di associazione che costituiva una zona di libero scambio globale tra l’Ucraina e l’Unione europea.
Tali proteste, concentrate nella capitale ucraina, degenerarono ben presto a seguito degli episodi di violenza delle forze governative contro i manifestanti. Le proteste sfociarono nella rivoluzione ucraina del 2014 che portò alla fuga e alla messa in stato d’accusa del presidente ucraino Viktor Janukovyč. A seguito di tale partenza, alcuni uomini armati, di nazionalità russa ma non combattenti sotto tale bandiera, chiamati dalla popolazione locale ‘omini verdi’ per il colore delle loro divise, iniziarono a occupare delle posizioni strategiche nella penisola della
Crimea, occupando l’area di Simferopoli e amministrando indipendentemente la città e il porto di Sebastopoli, sede della base della Marina militare russa.
Dopo l’occupazione del parlamento di Crimea, venne indetto un referendum, tenutosi il 16 marzo 2014, largamente contestato circa la sua validità, sull’eventuale annessione della Crimea alla Russia. L’Ucraina e gran parte della comunità internazionale si rifiutarono di riconoscere la validità di tale iniziativa popolare ma, il 15 aprile dello stesso anno, il parlamento ucraino dichiarò la Crimea come territorio temporaneamente occupato dalla Russia. La penisola di Crimea, quindi, pur appartenendo de iure all’Ucraina, venne annessa alla Federazione russa come Repubblica di Crimea. Questo stato di fatto, non solo viola l’integrità nazionale di uno Stato sovrano, ma ha comportato il generarsi di ulteriori tensioni di natura economica.
Nel territorio della Crimea, infatti, appartenuta alla Russia sovietica nel 1920 e divenuta parte dell’Ucraina indipendente nel 1991, vi è, come detto, il porto di Sebastopoli, di fondamentale importanza per la marina russa, che ce l’ha ‘in affitto’ fino al 2042, quale snodo strategico per le navi in partenza per il Bosforo, per il Mar del Nord ma anche per quelle che passano per il Bosforo e che poi raggiungono Tartus, in Siria, unica base navale russa fuori dal suo territorio.
Inoltre in questo territorio passano molti gasdotti che trasportano la maggior parte dell’energia che la Russia esporta in Europa. Nel 2014, altre violente proteste a favore del governo russo, scoppiarono nell’area del Donbass, e i separatisti russi autoproclamarono due repubbliche indipendenti popolari, quella di Doneck e quella di Lugansk. Nell’agosto di quello stesso anno, alcuni veicoli militari russi oltrepassarono il confine dell’oblast di Donec’k causando la sconfitta delle forze ucraine nel territorio.
«Un solo popolo», o forse no
Come si è visto, Russia e Ucraina sono legati a doppio filo da importanti questioni economiche, storiche e di geopolitica. Ma vi è anche un altro motivo che potrebbe giustificare quella che è stata ribattezzata, dalle principali testate giornalistiche, ‘l’ossessione’ di Putin per l’Ucraina: il fatto che il presidente russo abbia sempre sostenuto pubblicamente che russi e ucraini «siano un solo popolo».
Lo ha affermato in occasione dell’annessione della Crimea, lo ha ripetuto in una serie di interviste rilasciate negli ultimi anni, e lo ha confermato in un suo saggio, pubblicato nel 2021 e intitolato ‘Sull’unità storica dei russi e degli ucraini’, in cui dice di «credere fermamente che i due popoli siano una sola unità». Nel suo saggio, Putin sostiene che entrambi i popoli discenderebbero dalla cosiddetta Rus’ di Kiev, un insieme di tribù slave, baltiche e finniche che, nel IX secolo d.c., diedero vita a una realtà monarchica che si estendeva dal mare Bianco nel nord al mar Nero nel sud. Un territorio che comprendeva l’attuale Russia Bielorussia, Lituania, Polonia, Lettonia, Estonia e Ucraina. Con i principi Vladimir I, detto il Santo, e Jaroslav il Saggio, intorno al 1054, la Rus’ raggiunse l’acme della propria potenza per poi subire un rapido declino anche a causa dell’invasione tartaro-mongola.
La principale fonte storica relativa alla nascita del regno di Rus’ è la ‘Cronaca degli anni passati’, scritta da Nestor Pečerska nel primo quarto del XII secolo. Secondo molti studiosi tale Cronaca affonderebbe le proprie radici nel mito e sarebbe paragonabile alla leggenda della fondazione di Roma da parte di Romolo e Remo. La stessa convinzione che russi e ucraini siano un unico popolo è, agli occhi di accreditati storici, priva di fondamento, perché in Ucraina si sono susseguite, nel corso dei secoli, molte dominazioni tra loro diverse, da parte dei lituani, polacchi, svedesi e da parte dell’Impero austro-ungarico.
Anche la sua lingua si è sviluppata separatamente da quella russa e tradizionalmente la sua aristocrazia è sempre rimasta legata all’Europa continentale. Nei secoli, poi, i vari tentativi di unificazione culturale e linguistica da parte dell’impero zarista, che aveva conquistato buona parte del Paese, non ebbero mai successo così come pesò, e continua a farlo, la strage di civili innocenti, a causa della povertà e della fame causate dalle disastrose politiche economiche applicate da Stalin nel Paese.
«L'Ucraina non è neanche uno Stato»
Nonostante queste evidenze storiche, Putin ritiene che la fine dell’Unione Sovietica abbia avuto come disastrosa conseguenza la «disintegrazione della Russia storica», ossia dei suoi confini storici che comprendevano anche la Bielorussia e l’Ucraina. Estremizzando ancora di più il ragionamento, il presidente russo ha più volte sostenuto che «l’Ucraina non è neanche uno Stato» e il suo consigliere Vladislav Sukov, qualche tempo fa, disse che «l’Ucraina non è una nazione ma uno stupefacente entusiasmo per l’etnografia portato agli estremi».
Nel suo già citato saggio, Putin afferma che «quando l’Urss crollò, molte persone in Russia e Ucraina credevano sinceramente e presumevano che i nostri stretti legami culturali, spirituali ed economici sarebbero certamente durati, così come la comunanza del nostro popolo (...) i circoli dirigenti ucraini hanno deciso di giustificare l’indipendenza del proprio Paese attraverso la negazione del suo passato. Hanno iniziato a mitizzare e a riscrivere la storia e a riferirsi al periodo in cui l’Ucraina faceva parte dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica come occupazione».
Per Vladimir Putin l’indipendenza ucraina è una forzatura storica che vede colpevoli l’Unione europea e gli Stati Uniti che «hanno spinto costantemente l’Ucraina a ridurre e limitare la cooperazione economica con la Russia (...) I Paesi occidentali hanno respinto i ripetuti appelli della Russia al dialogo trascinando l’Ucraina in un pericoloso gioco geopolitico volto a trasformare l’Ucraina in una barriera tra l’Europa e la Russia».
Avvicinandosi alla sfera di influenza dell’Unione europea, l’Ucraina avrebbe quindi rinnegato la propria identità, che ha ragion d’essere solo se unita a quella russa, per gli stretti legami storici, linguistici e culturali che, secondo Vladimir Putin, esisterebbero tra le due nazioni, insieme alla Bielorussia. Secondo quanto detto dal giornalista storico Sergio Romano, nel suo articolo ‘Putin populista? No, il suo è neozarismo’, pubblicato sul Corriere della Sera, il desiderio del presidente russo sarebbe quello di riunificare le terre russe, nell’ottica di nuovo imperialismo russo.
L’ideale storico di Putin, infatti, non sarebbe il ritorno all’Unione delle Repubbliche sovietiche, ma la riunificazione della Russia sulla scia del glorioso impero zarista di Pietro il Grande. Durante una intervista nel 2019 con Lionel Barber, allora direttore del Financial Times, lo stesso Putin, riferendosi allo Zar aveva affermato che è «il suo leader preferito» e che «lui vivrà finché la sua causa sarà viva».
E se è vero che ognuno può raccontarsi la Storia come vuole, la realtà è che, in Europa orientale, soffiano pericolosi venti di guerra ed i toni da Guerra fredda e le rivendicazioni storiche, più o meno fondate che siano, rendono l’attuale situazione in Ucraina veramente incerta e pericolosa.