I recenti fatti di sangue in Canada hanno riportato a galla la questione dei nativi, da sempre ai margini e alla deriva
Quando il 5 settembre scorso si è diffusa la notizia di una serie di uccisioni avvenute nella remota comunità di nativi canadesi del Saskatchewan, ad opera di Damien e Myles Sanderson, per motivi ad oggi ancora ignoti, nel mondo si è tornato a parlare degli indigeni canadesi. Troppo spesso ci si rende conto di determinate realtà, seppur gloriose e con una lunga storia alle spalle, solo in occasioni di fatti di cronaca nera.
Un tempo primi, oggi ultimi
Un destino che accomuna i nativi canadesi e quelli americani che vengono tirati in ballo solo per disquisire delle precarie condizioni di vita nelle riserve, o citati per fatti di microcriminalità o, di contro, come mera attrazione turistica. Delle popolazioni native del continente americano sappiamo ben poco, se si esclude l’iconografia classica del capo tribù dal capo piumato e poco più. Ma così come son vere le storie di disagio ed emarginazione, sono altrettanto reali i motivi per cui coloro che abitavano le terre americane, prima dell’avvento dei coloni bianchi, si siano ridotti a dover combattere per mantenere le proprie tradizioni ed una propria dignità.
In Canada, le popolazioni indigene, sono indicate, a partire dagli anni ’80, con la denominazione di ‘First Nations’, ossia Prime Nazioni, proprio per sottolineare il fatto che tali comunità fossero presenti sul territorio ben prima dei coloni europei. Oltre a queste Prime Nazioni, esistono anche gli Inuit, uno dei principali gruppi di eschimesi, e i Mètis, ossia coloro che discendono dall’unione tra gli aborigeni ed i coloni franco-canadesi, inglesi e scozzesi. Questi tre gruppi vengono chiamati, nel loro insieme, ‘aborigeni canadesi’.
Un genocidio silenzioso
Con la legge del 1876, denominata ‘Indian Act’, le popolazioni indigene vennero confinate in aree delimitate chiamate riserve, e venne attribuito agli uomini appartenenti ad una comunità indiana, oltre che ai loro bambini ed alle donne indigene o sposate con uomini indigeni uno status incompatibile con la cittadinanza canadese. Tale legge, già di per sé discriminatoria, trovò la sua naturale applicazione nella istituzione, da parte dell’Indian and Northern Affairs Canada, dei cosiddetti collegi scolastici residenziali.
Lo scopo di tali istituti era quella di allontanare i bambini indigeni dalla sfera di influenza dei propri genitori per poterli poi educare alla nuova cultura canadese di stampo occidentale. In forza della Gradual Civilization Act, del 1857, le famiglie indigene erano costrette a firmare un documento che trasferiva alle scuole residenziali la tutela dei propri figli. In caso di rifiuto vi era l’arresto immediato o il pagamento di ingenti sanzioni economiche.
Di fatto, questi istituti si rivelarono dei luoghi dell’orrore dove, a causa di malattie, fame e violenze fisiche e psicologiche, trovarono la morte migliaia di bambini. Si stima che vennero internati più di 150 mila bambini ed il 40% di loro perse la vita all’interno di tali istituti religiosi. Un vero e proprio genocidio per il quale, solo di recente, il Papa e le istituzioni politiche canadesi hanno fatto ammenda. Le storie giunte fino a noi dai sopravvissuti a tale orrore parlano di bambini picchiati, violentati e uccisi dai religiosi che gestivano tali scuole. Nei collegi residenziali, inoltre, ci furono picchi di malattie quali la tubercolosi che portò il tasso di mortalità fino al 69%. Era infatti pratica diffusa quella di mischiare, deliberatamente, bambini malati con bambini sani che, una volta infettati, non ricevevano alcun tipo di cure e venivano lasciati morire.
Nella British Columbia, inoltre, venne approvata, nel 1933, la Sterilization Law, in forza della quale si poté sterilizzare qualsiasi ospite nativo delle scuole residenziali una volta che questi raggiungevano la pubertà. Le comunità indigene furono vittime di un vero e proprio genocidio etnico-culturale che le ridusse ai margini della società canadese. Solo nel 1961 venne loro riconosciuto il diritto di voto mentre, nel 1982, venne garantito loro protezione costituzionale con l’inserimento, nella Sezione 35 dell’Atto Costituzionale, del diritto alla terra, alla pesca, alla caccia ed al disboscamento.
Promesse mantenute a metà
Rimane aperto, invece, il dibattito, se, in tale Sezione, sia incluso o meno anche il diritto ad una forma autonoma di governo indigeno e, dal 2006 ad oggi, non vi è stata ancora una sentenza in merito della Corte Suprema del Canada. Tale diritto è stato comunque riconosciuto, nel 1995, dal governo del Canada alle 634 comunità di Prime Nazioni registrate, in prevalenza, in Ontario e nella British Columbia. Esse rappresentano il 4% della popolazione canadese ed il 40% di loro vive ancora nelle riserve fondate dall’Indian Act. Dal punto di vista politico, le comunità indigene sono organizzate in bande, ossia in piccoli gruppi nelle quali si elegge un capo e un consiglio.
Nel 1982 è stata altresì istituita l’Assemblea delle Prime Nazioni dove i rappresentanti delle varie bande si riuniscono per discutere dei problemi delle comunità indigene. Ad oggi, il più gravoso di essi è sicuramente rappresentato dalla diffusa disoccupazione, aggravata dal fatto che la maggior parte degli appartenenti alle comunità indigene vivano ancora nelle riserve. La mancanza di lavoro innesca, poi, un circolo vizioso nel quale i giovani inoccupati tendono a delinquere.
Secondo una classifica risalente al 2007, il 17% dei carcerati canadesi era di origine aborigena. Altre problematiche che affliggono le comunità indigene sono la difficoltà di approvvigionamento dell’acqua e l’accesso alla sanità pubblica. Tutti questi fattori fanno sì che la loro aspettativa di vita sia di circa 8 anni in meno per gli uomini e 5 per le donne rispetto al resto della popolazione canadese.
Il primo ministro canadese Justin Trudeau, fin dalla sua ascesa al potere nel 2015, si era impegnato a migliorare le condizioni di vita delle comunità indigene con un programma di investimenti di quasi 2 miliardi di dollari. Al lato pratico, però, il governo canadese si è dovuto scontrare con un aumento dei costi che hanno superato il limite di budget a disposizione, motivo per cui molti degli interventi programmati non sono stati ancora completati. I piani di approvazione, infatti, richiedono un iter burocratico molto lungo e, con un ritardo di 2 o 3 anni sui termini previsti, non si può non fare i conti con i costi dell’inflazione, l’aumento delle spese di ingegneria ed il deterioramento delle infrastrutture già costruite. Il Canada è stato riconosciuto, dall’Human Freedom Index del 2020, come uno dei Paesi che garantisce un’ampia tutela dei diritti umani.
Vite a senso unico
Eppure, nonostante questo prestigioso riconoscimento, sono ancora tante le forme di discriminazione a cui gli indigeni canadesi sono sottoposti. Secondo un sondaggio condotto nel 2019, il 70% dei cittadini canadesi si dichiara consapevole dell’esistenza di forme di discriminazione nei confronti degli indigeni mentre il 44% di loro concorda nell’affermare che esista una correlazione tra la discriminazione razziale e le difficoltà socio-economiche da loro riscontrate. Inoltre, il 34% degli intervistati afferma che gli indigeni non ottengano un trattamento equo in ambito sanitario. Gli episodi a sfondo razziale sono in forte aumento e secondo uno studio condotto dal Council of Canadian Academies nel 2019, gli indigeni canadesi hanno una probabilità undici volte superiore rispetto ai non indigeni di essere accusati di omicidio, e una probabilità cinquantasei volte maggiore rispetto agli altri cittadini canadesi di essere vittime di crimini.
Una categoria ancora più debole e maggiormente esposta a tutte le problematiche fino a ora analizzate è quella delle donne indigene che, ancor più degli uomini, sono discriminate a livello lavorativo e sanitario. Anche l’infanzia è molto poco tutelata e si stima che i finanziamenti in tale campo per le riserve indiane siano inferiori del 38,5% rispetto alla somma che i servizi di assistenza all’infanzia a livello provinciale ricevono attraverso il governo federale.
Il razzismo che gli indigeni subiscono non è solo istituzionale ma anche ambientale dato che molte fabbriche e industrie vengono posizionate in aree popolate da diverse minoranze, esponendole a un grave pericolo d'inquinamento ambientale. In Ontario, per esempio, vi è una comunità che soffre ancora di problemi derivanti da una contaminazione di mercurio risalente agli anni ’60. Tante sono le cose da fare anche se, una nota positiva, è certamente rappresentata dall’elezione di Sheryl Lightfoot, prima donna indigena canadese a rappresentare il Canada alle Nazioni Unite. Come detto dalla stessa Lightfoot “la soluzione è scoprire quali sono i problemi e cosa pensano le persone indigene. Dobbiamo conoscere i nostri diritti e farli rispettare ogni giorno”.