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La grande fuga dalla Russia

In auto, in bici, a piedi. L'esodo di russi (e russe) dopo la mobilitazione di massa. E scatta il dilemma accoglienza
In auto, in bici, a piedi. L'esodo di russi (e russe) dopo la mobilitazione di massa. E scatta il dilemma accoglienza

AFP

«Non sono pronto a uccidere. Non posso prendere sulla mia anima il peccato di omicidio e non voglio. Non sono disposto a uccidere per nessun ideale». È con questo messaggio lasciato sul suo canale Telegram che Ivan Vitalievich Petunin, un rapper russo noto come Walkie, si è tolto la vita. Si è ucciso per non uccidere a sua volta, per non imbracciare un arma, per non andare a combattere una guerra in cui non credeva.

Il corpo del ventisettenne è stato ritrovato, il 1 ottobre scorso, vicino a un edificio a più piani sulla via Kongressnaya, a Krasnodar, un centinaio di chilometri dalla Crimea. Il ragazzo si stava sottoponendo a cure neuropsicologiche e per questo aveva ricevuto l'esonero provvisorio del servizio militare, eppure era rimasto convinto che, in un prossimo futuro, la mobilitazione avrebbe riguardato tutti gli uomini, trasformandosi da parziale a totale. 

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«Scelgo di rimanere per sempre nella storia, come qualcuno che non ha sostenuto ciò che sta accadendo e di fare quest'ultima protesta” ha aggiunto Petunin nel suo video-testamento che è stato inondato di messaggi di sostegno e affetto da parte di moltissimi sostenitori. “Tutto è successo inaspettatamente-ha scritto su Telegram una ragazza-sarà per me sempre una persona intelligente e gentile che ama scherzare».Il rapper Walkie è l'ennesima vittima di una guerra insensata che sta destabilizzando in maniera irreparabile gli equilibri geopolitici mondiali.

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Scatta la leva obbligatoria

Una guerra, non più lontana, ma concretamente presente nella vita della popolazione russa da quando, il 21 settembre scorso, il Cremlino ha deciso di richiamare alle armi 300 mila riservisti da mandare a combattere in Ucraina. In teoria si dovrebbe trattare di uomini che hanno già servito l'esercito, coloro che hanno esperienza di combattimento o specializzazioni militari che rappresentano, secondo quanto dichiarato dal ministro della Difesa russo Sergej Ŝojgu, «l'1,1% della risorsa totale di mobilitazione».

Si tratterebbe, quindi, di una mobilitazione parziale, ben diversa da una mobilitazione generale che riguarderebbe tutti gli uomini di età compresa fra i 18 ed i 65 anni che sarebbero considerati in automatico abili per unirsi alle forze armate. La realtà, invece, è che il criterio di arruolamento non risulta ben chiaro e lo stesso decreto di Putin è volutamente molto nebuloso in merito.

Nel testo del decreto c'è un paragrafo secretato, il settimo, il cui contenuto è sconosciuto anche se, come detto dall'edizione europea della Novaya Gazeta, «una fonte di alto livello del Cremlino» ha dichiarato che autorizza la chiamata alle armi «per un milione di persone»: un numero impressionante che ha tutto il sapore di mobilitazione generale. Alla notizia della mobilitazione la popolazione russa è entrata in uno stato di shock e migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro il provvedimento presidenziale, ricavandone l'arresto immediato e, in molti casi, anche una cartolina punitiva per il fronte.

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Una fuga di massa

Migliaia di persone hanno invece scelto la via della fuga e sono quasi 100 mila i russi che hanno attraversato il confine con il Kazakistan che, insieme alla Georgia, è la destinazione in cui i fuggitivi si sono riversati in macchina, bici e persino a piedi. I biglietti aerei per la Turchia, l'Armenia e l'Arzebaijan, paesi che non richiedono alcun visto d'ingresso, sono andati venduti in pochissime ore pur avendo raggiunto delle cifre esorbitanti e c'è stato chi è arrivato a pagare anche 28 mila euro per un volo privato. 

Secondo le autorità finlandesi oltre 17 mila russi hanno attraversato il confine con la Finlandia, l'80% in più rispetto alla settimana prima. La fila delle macchine di coloro che hanno deciso di scappare ha raggiunto anche i 20 chilometri e le persone sono rimaste anche 40 e 50 ore senza acqua e cibo. Il vice primo ministro della Repubblica dell'Ossezia del Nord ha detto giorni fa che 3'500 auto si sono ammassate davanti al confine e le persone sono state autorizzate ad attraversarlo anche a piedi. Dopo un primo momento d'incertezza, però, la situazione alle frontiere è cambiata e le autorità russe sono corse ai ripari cercando di emarginare l'emorragia di persone in fuga.

Secondo il racconto di diversi fuggiaschi, sarebbero state allestiti alcuni centri mobili di arruolamento in modo da intercettare gli uomini che stanno cercando di eludere la mobilitazione voluta da Putin. Lo stesso dicasi per guardie di frontiera negli aeroporti russi che, in breve tempo, hanno ricevuto lunghe liste di persone da mobilitare e, in forza di queste, agli uomini viene negata la possibilità di uscire dal Paese.

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Uno stop all'emorragia

Il 28 settembre scorso anche il governo finlandese ha confermato la chiusura della frontiera orientale a partire dalla mezzanotte. Il ministro degli interni finlandese Krista Mikkonen ha dichiarato che «tutte le richieste d'ingresso verranno considerate individualmente e chi vuole può fare richiesta d'asilo oppure cercare di attraversare il confine illegalmente. Ma siamo preparati».

Secondo quanto riportato dalla tv pubblica, dal 29 settembre, non sono da considerarsi validi i visti turistici in possesso dei cittadini russi che permettono la permanenza non solo in Finlandia ma in tutta l'area Schengen. Anche i Paesi Baltici e la Polonia, da diversi giorni, hanno deciso di chiudere le loro frontiere, così come la Norvegia che ha deciso di rafforzare i controlli al confine con la Russia.

La prima ministra della Giustizia e dell'Emergenza norvegese Emilie Enger Mehl ha dichiarato che «se necessario, chiuderemo rapidamente il confine e i cambiamenti possono arrivare con breve preavviso». Il ministro degli Esteri lettone Edgars Rinkevics è arrivato a scrivere su Twitter che «molte persone che ora fuggono dalla Russia a causa della mobilitazione non si sono fatti problemi quando morivano gli ucraini. Allora non hanno protestato (…) ci sono notevoli rischi per la sicurezza nell'accettarli e ci sono molti Paesi al di fuori dell'Unione dove poter andare».

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Il dilemma: accogliere oppure no?

In Europa, Francia e Germania si sono invece dimostrate più propense a una politica di accoglienza tanto che la ministra dell'interno tedesca Nancy Faeser ha dichiarato che «chiunque si opponga coraggiosamente al regime di Putin e quindi si trovi in grave pericolo può chiedere asilo per motivi di persecuzione politica». Lo stesso dicasi per la Francia, dove alcuni membri del Senato hanno sostenuto che l'Unione europea abbia il dovere di dare ricovero a chi fugge dal regime dittatoriale di Putin. Se, in un primo momento, i Paesi interessati dal fenomeno dei cittadini russi in fuga si sono mossi in ordine sparso, il 30 settembre scorso è intervenuta per la prima volta la Commissione europea suggerendo di adottare un approccio restrittivo. Secondo la Commissione, infatti, «il coordinamento è necessario per preservare uno spazio Schengen forte e soprattutto la nostra unità».

La commissaria per gli affari interni, Ylva Johansson, ha dichiarato che «gli Stati membri dovrebbero fare esami minuziosi quando valutano le richieste di visti da parte dei cittadini russi, e controlli rigorosi ai confini esterni dell'Unione». Secondo la Johansson, quindi, essere in possesso di un visto valido non è condizione sufficiente per entrare in Europa ma è necessario una valutazione, caso per caso, dei motivi individuali per cui si vuole accedere all'area Schengen, dando priorità ai visti in possesso di giornalisti e dissidenti russi e limitando, di contro, chi viaggia con un semplice visto turistico.

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Accogliere oppure no?

Quanto detto dalla ministra Johansson non ha carattere vincolante per i Paesi dell'Unione europea e non è ancora chiaro se gli stessi decideranno di adottare, di fronte a questo gravoso problema, una linea comune o meno. In una sorta di nemesi politica e culturale, i cittadini russi si trovano nella stessa condizione di coloro che, solo alcuni mesi fa, sono stati costretti a fuggire dall'Ucraina per salvare le proprie vite e quelle dei propri famigliari. Sembra quasi un esempio emblematico di come le sorti possano facilmente rovesciarsi e le situazioni di pericolo che vediamo in tv come riguardanti persone terze possano, con estrema velocità, riguardarci in prima persona. Coloro che fuggono dalla Russia sono spinti dalla disperazione di vedersi coinvolti in una guerra che potrebbe decretare la fine della propria esistenza e dal pericolo, comunque attuale, di rimanere in un Paese dove una opinione diversa da quella del proprio leader equivale, molto spesso, alla morte. Davanti a queste nuova emergenza occorre quindi una presa di posizione che veda i Paesi europei agire in maniera concorde a sostegno di coloro che ne hanno bisogno.

Un fiume da un milione di anime

A due settimane dall'editto putiniano sarebbero da 700mila a 1 milione i cittadini russi che hanno abbandonato la patria per sfuggire alla leva obbligatoria. Lo scrive l'edizione russa di Forbes, ripresa da diversi media ucraini tra i quali anche Ukrinform. A fornire questi numeri - discrepanti ma non troppo – due fonti interne al Cremlino. Calcolare con esattezza il numero totale risulta al momento impossibile, visto che solo una parte di queste persone ha richiesto un visto per l'estero (quando era ancora possibile) ed è dunque effettivamente tracciabile. Gran parte della ricostruzione si basa quindi su delle stime fatte raggruppando i dati forniti dai Paesi confinanti e degli enti di vigilanza come Frontex. Stando alle stime di gli ingressi nei territori dell'Ue sarebbero ben superiori alle 100mila unità. ZAF

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