La rinnovata vitalità internazionale del presidente turco che si riscopre equilibrista, guadagnando consensi (e potere)
Che Recep Tayyip Erdogan si stia ritagliando un ruolo di primo piano in Europa è indubbio. Quale sia la natura di questo ruolo, invece, è ancora tutto da discutere.
Un mediatore che non ti aspetti
Se per molti, infatti, il presidente turco è il mediatore a cui dobbiamo lo sblocco dei porti ucraini, ed il conseguente invio di milioni di tonnellate di grano nel mondo, per altri rimane l’ambiguo personaggio che si erge a difensore dei diritti ucraini, non rinnegando, però, i rapporti stretti intrattenuti con la Russia e dimenticando di aver, esso stesso, negato il diritto di esistere alla popolazione curda.
Fin dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, il presidente turco si è destreggiato in un abile gioco di equilibri impegnandosi a svolgere dei compiti che, di fatto, sarebbero spettati all’Onu, bloccato dal potere di veto della stessa Russia.
Il posto vacante di mediatore nel conflitto in corso, quindi, è stato assunto da Erdogan il quale, se da una parte ha condannato l’invasione russa ed ha fornito all’Ucraina i letali droni Bayraktar, che hanno evitato la presa di Kiev durante i primi giorni di guerra, dall’altra si è rifiutato di adottare le sanzioni che i suoi partner occidentali hanno predisposto contro Mosca. In più occasioni, poi, il presidente turco è riuscito a far accogliere, senza tanti clamori, delle richieste che, in altri tempi, avrebbero generato discussioni ben più articolate in seno alla Nato.
La questione scandinava
Si pensi, ad esempio, a quella sorta di ricatto che ha posto agli altri Paesi membri in occasione della richiesta di Svezia e Finlandia di entrare a far parte del Patto Atlantico. Erdogan si è dichiarato contrario all’ingresso dei due Paesi scandinavi a meno che non venisse accettata la sua richiesta di estradizione di alcuni sospettati terroristi del Pkk detenuti in Svezia e Finlandia. Per risolvere la delicata questione, è intervenuto, lo scorso giugno a Madrid, un accordo sulle “minacce alla sicurezza reciproca”, estradizioni comprese.
Secondo tale accordo, la Finlandia e la Svezia “estenderanno il loro pieno sostegno” alla Turchia in materia di sicurezza nazionale promettendo «di non fornire sostegno ai gruppi curdi siriani Pyd e Ypg attivi nella lotta contro lo Stato islamico in Siria e di aprire a possibili estradizioni di membri del Pkk».
Anche se la vera difficoltà ora, come detto dalla premier svedese, è dar corso a tale accordo, la Turchia ha comunque dimostrato di poter piegare le decisioni della Nato, in questo delicato momento storico, secondo la propria convenienza. Non a caso il presidente Erdogan ha anche obbligato il presidente Biden ad annullare la propria decisione di non vendere alla Turchia quaranta caccia F16, la cui cessione era stata bloccata dopo che la Turchia aveva manifestato la propria intenzione di rifornirsi di sistemi antimissile S400 dalla Russia di Vladimir.
Con Mosca un'amicizia complicata
Anche se, a livello internazionale, non sono pochi gli scenari in cui la Turchia si trova dalla parte opposta rispetto a Mosca, basti pensare che è alleata dell’Arzebaigian, nella guerra in Nagorno-Karabakh, mentre l’Armenia è storicamente più vicina alla Russia, o in Siria dove la Russia sostiene il regime di Bashar al-Assad e la Turchia combatte le popolazione curde poste al confine tra i due Paesi, la stessa non ha mai negato l’esistenza di rapporti stretti tra i due Paesi.
Di recente nel mirino del presidente turco è finita anche la Grecia, e sono state minacciate non meglio precisate ritorsioni militari nel caso non vengano smilitarizzate le isole greche poste al confine con la Turchia. La volontà di Erdogan è di fare in modo che il proprio Paese possa porsi, nei confronti dell’Occidente e della Russia, in una posizione di parità, consapevole della posizione geografica privilegiata che la rende ponte ideale tra Oriente e Occidente.
Il presidente turco è altresì conscio del ruolo di primaria importanza che può svolgere la Turchia all’interno dei progetti cinesi relativi alla Nuova via della Seta, e, per tale motivo, Ankara si è avvicinata, negli ultimi tempi, anche a Pechino. Nonostante molti analisti di geopolitica si siano interrogati se la Turchia possa propendere di più, a lungo andare, per le potenze occidentali o per i colossi eurasiatici, senza trovare una risposta univoca, la realtà è che Erdogan persegue un unico scopo, in barba a ogni alleanza precostituita, ossia fare il meglio per la Turchia stessa, perseguendo i propri interessi, quale che siano.
Un difficile equilibrismo
Una sorta di ‘battitore libero’, così come è stato definito da alcuni, capace di allearsi con chi lo vorrà se ciò apporterà dei vantaggi concreti al proprio paese. Interessi economici e politici a parte, ciò che spinge Erdogan a ergersi tra i protagonisti della scena internazionale è, sostanzialmente, il bisogno di sviare i propri connazionali dai tantissimi problemi interni che affliggono la Turchia. L’economia interna è in forte crisi e l’inflazione ha superato il 70%, con la lira turca che ha dimezzato il proprio valore rispetto al dollaro americano.
Il presidente turco, però, ha deciso di non aumentare i tassi d'interesse per frenare l’inflazione e, per tale motivo, si è visto costretto a chiedere aiuto a Paesi con i quali, fino a poco tempo fa, aveva rapporti burrascosi, come l’Arabia Saudita con la quale i rapporti diplomatici si erano interrotti dopo l’uccisione, avvenuta nel 2018, del giornalista Jamal Khashoggi. Vi è poi lo spauracchio delle elezioni politiche del prossimo anno che Erdogan ha già deciso di vincere facendo leva, come già accaduto, sul nazionalismo, anche in considerazione del fatto che, proprio nel 2023, si celebrerà il centesimo anniversario della nascita della Turchia moderna.
Ecco perché Erdogan va a rispolverare la questione greca, o quella curda, mai di fatto sopita senza che, visto il particolare contesto storico, vi siano i Paesi occidentali a muovere delle critiche a questa sua politica accentratrice e, visibilmente, antidemocratica.
Lo stesso premier italiano Mario Draghi, che a suo tempo lo definì “un dittatore”, si è poi visto costretto a recarsi ad Ankara per parlare della questione del grano e dell’energia. Il fatto che la Turchia sia un paese che non rispetta gli standard politici e ideologici occidentali, con forti derive illiberali, non viene più considerato un ostacolo per stringere accordi commerciali e politici con Ankara.
Il vantaggio della mediazione
La gravissima crisi energetica in corso, accentuata all’invasione russa in Ucraina, ha consentito, ancora una volta, alla Turchia di porsi in una posizione di equilibrio, stringendo accordi commerciali con Paesi Nato quali l’Italia ma, al contempo, ottenendo un vantaggiosissimo accordo con la Russia secondo il quale la Turchia avrà uno sconto sul gas russo a fronte del pagamento in lire turche o rubli.
Non bisogna dimenticare che il 40% del gas importato in Turchia proviene dalla Russia e, per tale motivo, si è rivelata di primaria importanza continuare a coltivare tali rapporti commerciali con la Russia. Con riguardo all’attuale crisi energetica, Erdogan non ha mai nascosto il fatto di trovare fallimentare l’idea dei Paesi occidentali di emanciparsi dal gas russo. Di recente, infatti, ha dichiarato che “i Paesi europei raccolgono ciò che hanno seminato” aggiungendo che il presidente russo “è stato portato al punto di dire, volentieri o meno ‘se fai così, io reagirò’.
“L’Europa affronterà grandi sfide per il gas naturale durante l’inverno ma noi non abbiamo alcun problema-ha aggiunto Erdogan-Le sanzioni contro la Russia hanno spinto Putin ad agire in questo modo, sta utilizzando ovviamente tutti i suoi mezzi e le sue armi e una delle sue carte più importanti è il gas naturale”. Parole che suonano provocatorie nei confronti nei confronti dei Paesi europei, rei di essersi schierati in maniera troppo univoca con l’Ucraina a scapito dei propri interessi economici.
Il costo dell’energia incide sul caro vita delle persone e, a farne le spese, sono soprattutto le economie dei Paesi che hanno ridottissimi spazi di manovra sul debito. A livello europeo, anche in circostante così straordinarie come quelle attuali, non si è ancora arrivati a far fronte comune, mettendo da parte gli egoismi nazionali, ed ecco che, le democrazie occidentali si trovano quasi a dipendere dalla capacità del leader turco di poter, in qualche modo contenere, le pretese del presidente russo. Un pericoloso paradosso storico con cui, prima o poi, si dovrà fare i conti.