Il loro habitat è in crisi e gli animali per sopravvivere si spostano fra gli uomini, con esiti spesso drammatici
Sui social impazza il tag #naturerevives, la natura rivive, e si moltiplicano i video che mostrano diversi rappresentanti della fauna selvatica a spasso per centri urbani. Ci sono i caprioli che si specchiano nelle vetrine di un paesino piemontese, il tasso che corre per le vie di Firenze o il canguro che saltella lungo i marciapiedi di Adelaide, in Australia.
Nel 2017 un branco di 13 elefanti selvatici erano stati ripresi mentre, affamati, si sono avvicinati in un piccolo paese cinese nella provincia dello Yunnan per rubare banane dagli alberi mentre ad Assateague Island, nel Maryland, un gruppo di cavalli selvatici si è integrata con gli abitanti della zona e non è raro vederli passeggiare sulla spiaggia alla ricerca del cibo contenuta negli zaini dei bagnanti.
Quando a migrare è il predatore
Gli esempi di questo tipo sono innumerevoli, e finché si tratta di simpatici procioni che si intrufolano in garage per rubare il cibo al gatto o delle volpi ladre di scarpe utilizzate quali giocattoli per i cuccioli, tutto va bene. Ma quando si inizia a parlare di lupi, orsi, linci e cinghiali la musica cambia e si grida allo scandalo per le comunità di uomini messe in pericolo dalla sempre più invasiva fauna selvatica.
I grandi carnivori, tra i quali vanno elencati, oltre ai lupi e agli orsi, anche la lince euroasiatica, la lince pardina e il ghiottone, sono tornati a ripopolare i territori che avevano abitato un tempo grazie alle leggi per la tutela della specie e, in parte, anche a causa dell’abbandono, da parte dell’uomo, delle comunità montane e agricole a favore dei centri urbani.
Una convivenza complessa
Come spiegato alla rivista Oggi Scienza da Luca Santini, ecologo dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr, autore insieme a Marta Cimatti dell’Università La Sapienza di Roma, di uno studio sul tema, a determinare il ritorno dei grandi carnivori in Europa sono stati diversi fattori. Se è vero, come detto, che in alcuni casi l’elemento determinante è stato l’abbandono dell’ambiente naturale a favore delle aree urbane, in altri casi si è osservato che «questi animali hanno ripopolato anche aree in cui l’habitat non è ottimale, come alcune zone delle Alpi, Pirenei e Balcani Settentrionali dove la copertura forestale è diminuita».
Il fenomeno, quindi, deve essere valutato alla luce di diversi fattori tra cui «la tolleranza da parte degli esseri umani, che ha avuto un ruolo centrale nel permettere il ritorno di questi animali (...) oltre a una certa adattabilità delle specie». La convivenza tra uomo e lupo risale alla notte dei tempi e si trascina dietro una serie di paure ataviche, spesso ingiustificate, che sono riemerse da quando si è osservato che questo animale non vive più solo in boschi e foreste ma anche in zone pianeggianti al limitare delle aree urbane. Anche in questo caso, il conflitto tra uomo e fauna selvatica si risolve spesso con l’uccisione dell’animale per autodifesa ma anche per rappresaglia.
La fauna ha sempre la peggio
Secondo un recente rapporto congiunto del Wwf e del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, Unep, frutto del contributo di 155 esperti di 40 organizzazioni con sede in 27 Paesi del mondo, le uccisioni correlate al conflitto uomo e fauna selvatica colpiscono oltre il 75% delle specie di felini del mondo, così come altre specie di carnivori terrestri e marini e i grandi erbivori come gli elefanti. Come affermato da Margaret Kinnaird, responsabile del Global Wildlife Practice presso Wwf International «nel giro di una vita umana abbiamo già assistito a cambiamenti straordinari e senza precedenti sul nostro Pianeta. Le popolazioni di fauna selvatica globali sono diminuite in media del 68% dal 1970 e il conflitto uomo-fauna selvatica, in combinazione con altre minacce, ha portato a un significativo declino delle specie che un tempo erano abbondanti (...) questa tendenza non potrà che peggiorare, provocando impatti dannosi, e, in alcuni casi, irreversibili sugli ecosistemi e sulla biodiversità».
Sempre secondo tale rapporto è urgente indagare sulle cause poste alla base di questo conflitto e sviluppare delle soluzioni che proteggano la fauna selvatica, da una parte, e le comunità colpite che, nella maggior parte dei casi, si trovano nei Paesi in via di sviluppo. Come detto nel rapporto dell’Unep e del Wwf «mentre molti uomini e donne, in tutto il mondo possono godere dei benefici del mantenimento di popolazioni selvatiche in salute, impatti catastrofici come lesioni, morte o perdita di beni, proprietà e mezzi di sussistenza, mettono a dura prova coloro che vivono a stretto contatto con la fauna selvatica». Nonostante tale conflitto sia fortemente legato agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, viene invece sistematicamente ignorato dalla classe politica mondiale.
Quelle soluzioni trascurate
Le soluzioni al problema della coesistenza tra uomo e fauna selvatica viene lasciata, troppo spesso, alla libera iniziativa delle comunità locali che, esasperate dall’uccisione di armenti o spaventati dalla possibilità di venire a contatto con un animale selvatico, decide per il suo abbattimento. Eppure, una politica seria in tal senso, potrebbe suggerire soluzioni più adeguate e alla portata di tutti quali, per esempio, i recinti elettrificati a protezione di apiari, orti e armenti. Per risolvere invece il problema sollevato spesso dagli automobilisti sulla pericolosità degli animali selvatici che attraversano la strada causando incidenti, è bene ricordare che esistono una serie di soluzioni per mitigare il problema denominati ‘corridoi versi’ e che consistono in sovrappassi o sottopassi, oltre che dissuasori ottici e sonori.
L’importanza di queste costruzioni è stata riconosciuta anche da gran parte delle Convenzioni delle Nazioni Unite e in diversi Paesi sono state posti in essere dei corridoi verdi a salvaguardia della biodiversità del luogo. Ne sono un esempio quello costruito tra India e Nepal per tutelare l’elefante asiatico e la tigre del Bengala o in Australia dove è stato costruito un corridoio esclusivamente a uso dei granchi rossi che migrano ogni anno verso l’Oceano per riprodursi. Nel continente europeo è nata la cintura verde, lunga 8'500 chilometri, che partendo dalla Finlandia arriva fino al Mar Nero.
Nelle città, per sopravvivere
Non bisogna mai dimenticare, infatti, che è stata la crescente opera di urbanizzazione ad aver portato alla progressiva perdita degli habitat naturali prima esistenti, con la conseguenza che la fauna selvatica si è trovata a vivere sempre a più stretto contatto con l’uomo. Secondo quanto stimato dalla Fao, dal 1990 al 2020, sono stati distrutti circa 186 milioni di ettari di foreste e boschi, circa il 31% della superficie terrestre, proprio a causa della costruzione di case ed edifici. Secondo le ultime stime dell’Onu, oggigiorno circa il 56% della popolazione mondiale vive nelle città, il 23% delle quali ha almeno un milione di abitanti.
Le stesse stime indicano che nel 2050 circa sette miliardi di persone nel mondo vivranno nei centri urbani. La maggior parte delle zone urbane in rapida espansione si trovano in Asia e Africa in corrispondenza con hotspot di biodiversità. Come è facilmente comprensibile l’espansione urbana coincide con la rimozione di habitat alternativi per gli animali che si trovano costretti ad approfittare di questi nuovi ambienti. Coloro che si lamentano che la città sta diventando una giungla infestata di belve selvatiche e pericolose devono ricordarsi che ciò il risultato dell’inquinamento, della deforestazione, dell’abusivismo edilizio di cui solo l’uomo è l’artefice.
I centri urbani si trovano, sempre più spesso, a ridosso di ambienti naturali e la presenza di aree agricole, parchi urbani o periurbani favoriscono vie di accesso ad animali selvatici attratti dalla disponibilità di cibo e di rifugi. L’aumento della produzione di rifiuti, infatti, abbandonati in luoghi non adatti al loro conferimento costituiscono una forte attrattiva per gli animali selvatici in cerca di cibo mentre gli edifici e le infrastrutture possono fornire loro dei nuovi rifugi. Tutto questo per dire che il benessere del Pianeta non può prescindere da un equilibrata convivenza tra uomo e fauna selvatica, dal rispetto per la biodiversità e la salvaguardia di habitat naturali che, purtroppo, stanno inesorabilmente scomparendo.