Un reportage da Beirut per fare luce sulle sofferenze e gli abusi delle domestiche in Libano.
Camere senza finestre, sfruttamento e situazioni al limite della schiavitù. Lo scorso luglio al centro delle polemiche era finito il lussuoso grattacielo di 130 appartamenti a Beirut, progettato dagli architetti svizzeri Jacques Herzog e Pierre Meuron. Amnesty International aveva puntato il dito contro i due architetti elvetici per aver progettato «stanze della schiavitù» per i domestici senza aperture di luce, prestandosi così «a sostenere un sistema di sfruttamento».
Solo la punta dell'iceberg - Una chiara violazione dei diritti umani, ma che purtroppo è solo la punta dell’iceberg. Migliaia di donne lavorano in Libano come domestiche in condizioni disumane. Non esiste una giurisdizione chiara che tuteli i diritti delle lavoratrici che di conseguenza si ritrovano alla totale mercé dei datori di lavoro.
Le agenzie locali traggono enormi vantaggi da questo sistema. «Il datore di lavoro organizza le formalità di ingresso e di solito viene confiscato il passaporto del lavoratore straniero appena giunto in Libano. Da questo momento in poi, il lavoratore si ritrova in un rapporto di dipendenza senza nessuna tutela della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro», spiega l’Ong a difesa dei diritti umani.
Abusi e violenze - Numerose agenzie, attraverso i loro siti internet, offrono donne africane o filippine come lavoratrici domestiche, con la promessa di sostituirle rapidamente se «non soddisfano le pretese dei clienti». Le stesse domestiche non dispongono di armi con cui difendersi. «Anche se devono dormire sul balcone o se subiscono abusi sessuali non posso sporgere denuncia. Hanno le mani legate», afferma Roula Seghaier dell'Ong International Domestic Workers Federation.
Abusi, violenze e stupri fanno parte della loro vita quotidiana. Centinaia di lavoratori domestici muoiono in Libano ogni anno, secondo Human Rights Watch. Il dato più impressionante sono le cadute dai lussuosi balconi dei grattacieli. Ogni settimana due domestiche muoiono cadendo oppure gettandosi nel vuoto per la disperazione. Parla anche il ministero del Lavoro libanese nel frattempo della schiavitù moderna.
Josy dall'Etiopia: «Dormo sul pavimento della lavanderia» - «Ci trattano come uno schiavo, non valiamo nulla. Se sono stati in bagno, mi chiamano per pulire le loro feci. Se mi lamenti, dicono: Ecco per cosa ti abbiamo ingaggiato, fai il tuo lavoro. Si tratta di famiglie ricchissime che pensano solo a loro interessi. Non possiamo nemmeno riposare un’ora, dobbiamo essere sempre pronte a qualsiasi richiesta, notte e giorno. Le condizioni sono terribili, dormo per terra nella lavanderia. È un incubo».
Mary dalla Sierra Leone: «Pensavo di lavorare in un negozio» - Sono giunta in Libano grazie al tramite di un amico. Mi ha messo in contatto con un agente che recluta domestiche per lavorare nei palazzi di lusso. Io non lo sapevo, mi hanno detto che avrei lavorato come commessa. Ma la realtà è stata totalmente diversa. Spesso ho fame. Non perché non ci sia cibo, ma perché mi proibiscono di mangiare. Dormo su un piccolo tappeto in cucina e non mi forniscono nemmeno un materasso».
Christelle dal Togo: «Sono stata fortunata a riuscire a scappare» - «Sono arrivata in Libano alle quattro del mattino. Siamo state portate in una stanza dove ci aspettavamo i nostri futuri padroni. Non ci hanno trattato come esseri umani, è stato terribile. Mi hanno chiamato con un campanello, come un cane. Sono riuscita a scappare dalla casa. Non mi pagavano e mi sono rifiutato di lavorare. Ecco perché mi hanno rimandato indietro. Però sono stata fortunata: può capitare che ti picchiano a morte se non lavori».
«Non violiamo i diritti umani ma offriamo il nostro aiuto» - Un sistema di sfruttamento descritto in modo diversa da Joseph, responsabile da 15 anni di un’agenzia di collocamento per domestiche. Il cittadino libanese si difende dalle accuse e dalle critiche dirette al suo modello di business. «Non ci approfittiamo delle ragazze. Al contrario, le aiutiamo. Di solito provengono da ambienti poveri dove le prospettive per il futuro sono orrende. Noi offriamo loro la possibilità di lavorare per poter mantenere i loro bambini e fornire loro un'istruzione».
Eppure molte domestiche raccontano di condizioni di lavoro estremamente dure e di continue violazione dei diritti umani. «Migliaia di lavoratori domestici stranieri lavorano e vivono attualmente a Beirut. Le condizioni ammetto non sono facili. È un lavoro molto faticoso. La maggior parte non è adeguatamente informata e preparata. Pensano che sia sufficiente pulire una qualche stanza, ma non è così. Di conseguenza rimangono scioccate quando arrivano in Libano».
Una differenza tra aspettative e realtà sottolineata spesso dalle testimonianze delle donne interpellate dal reportage. «Gli standard, il modo di vivere e le tradizioni sono diversi. La cultura è diversa quando si entra in casa di un’altra persona bisogna rispettare le sue volontà. Tutti sono re a casa loro. Indipendentemente dal fatto che tu prenda le decisioni giuste o sbagliate: hai il diritto di farlo a casa propria».