Ieri il Parlamento libanese non è riuscito a scegliere un nuovo presidente per l'undicesima volta.
L’era Michel Aoun è giunta al capolinea. Il presidente libanese ha lasciato a inizio ottobre il palazzo presidenziale di Baabda, creando un vuoto che ancora nessuno ha colmato. Il Parlamento è paralizzato, le vari forze politiche non sono riuscite a formare alleanze sufficientemente forti per imporre il proprio candidato al primo turno. Ieri si è svolta l'ennesima infruttuosa sessione parlamentare, l'undicesima dalla fine del mandato di Aoun.
Michel Aoun, generale maronita durante la guerra civile, viene acclamato come un eroe dai suoi sostenitori e additato come responsabile di tutti i mali del Libano dai suoi avversari. Dati alla mano, Aoun lascia un paese allo stremo. La crisi economica e l’inflazione hanno portato alla svalutazione totale della lira libanese.
La corruzione tra la classe politica rimane impunita mentre la popolazione ha visto svanire tutti i propri risparmi depositati in banca. «Michel Aoun è riuscito a tagliare fuori il Libano dai suoi storici e amichevoli legami con le potenze locali arabe e con gli alleati occidentali. Il danno è stato fatto purtroppo e il Paese è sprofondato in una crisi economica senza precedenti», ci spiega Christian Taoutel, direttore del Dipartimento di Storia e relazioni internazionali all’Università Saint-Joseph di Beirut.
Un nuovo presidente potrebbe cambiare le carte in tavola?
«Soltanto nel caso in cui il prossimo presidente verrà eletto dai libanesi e non imposto da chi tiene in ostaggio il Paese. Il tempo è cruciale. Dobbiamo decidere immediatamente un presidente che possa riallacciare le relazioni sia con il mondo arabo che con l'Occidente. Il Libano non può sopravvivere senza le sue storiche e naturali alleanze».
Perché il Parlamento non riesce a decidersi?
«I problemi sono molteplici. Il Parlamento libanese è paralizzato soprattutto per una ragione demografica. Cioè nessun partito riesce a imporsi sugli altri, l’unica alternativa sono le alleanze politiche. Ma anche questa soluzione appare ora impraticabile. I partiti non riescono a intendersi e difendono posizioni troppo lontane. Dall’altra parte, gli alleati dell’Iran (il partito filoiraniano Hezbollah nr.), cercano di destabilizzare le elezioni per impedire un secondo turno elettorale».
Le proteste in Iran hanno avuto qualche effetto sull'influenza del partito Hezbollah nel Parlamento?
«Per il momento nessuno. Questi sono regimi autoritari che fanno affidamento sul tempo e non prestano attenzione alle proteste popolari».
La crisi economica e l'inflazione hanno scoraggiato la popolazione?
«I libanesi sono impoveriti ed esausti. Il dollaro è passato da 1'500 a 48'000 lire libanesi. È un disastro senza precedenti».
Quali sono gli scenari più realistici?
«Un calo ancora più profondo in attesa di un accordo regionale. Il Libano non ha più niente da offrire. La soluzione dovrà essere imposta dall'estero. Inoltre, il Paese da solo porta il peso di due milioni di profughi siriani e dei profughi palestinesi, una situazione che non potrà essere sostenuta in eterno».
Perché il Fondo monetario internazionale non ha ancora concesso il piano di salvataggio?
«La corruzione affligge il Paese e il FMI non si occupa di persone corrotte. Da qui i ritardi. L'attuale potere del presidente uscente, non è stato in grado di fornire cifre realistiche al FMI. Tutte bugie e numeri sbagliati».
L'accordo con Israele sui confini marittimi potrebbe rilanciare il Paese?
«Non per il momento. Si tratta di frontiere marittime virtuali e niente di più per il momento. Tracciare una linea su una mappa è una cosa ed estrarre il gas sarà un'altra storia».