Potrà sembrare fantascienza, eppure la geoingegneria climatica viene vista da molti come l'ultima ratio contro il surriscaldamento globale.
L'emergenza climatica avanza inarrestabile senza che, fino a ora, sia stata trovata una soluzione capace di risolvere questa drammatica situazione. Le proposte messe in campo sono molteplici ma, l'evidenza dei fatti è che il surriscaldamento globale sia una realtà con cui facciamo i conti ogni giorno. Le temperature sempre più alte minacciano le aree povere del pianeta, così come i fenomeni atmosferici sempre più violenti e imprevedibili portano, con maggiore frequenza, morte e distruzione. Uno scenario apocalittico davanti al quale non si vuole rimanere inermi anche se, inutile dirlo, la corsa contro il tempo ci vede perdenti nei confronti della Natura.
Geoingegneria climatica
A tal proposito, si è tornato di recente a parlare di geoingegneria climatica, ossia di quella branca della ingegneria che viene applicata al clima. Nello specifico, studia la creazione e l'applicazione di tutte quelle tecnologie volte a contrastare, su scala planetaria, le cause e gli effetti dei cambiamenti climatici. Detto così può sembrare qualcosa di fantascientifico, eppure la geoingegneria climatica viene vista da molti come l'ultima risorsa per poter far fronte, in maniera convincente, al surriscaldamento globale. Fino a ora, i molteplici studi compiuti su tale fronte, si sono concentrati su due aspetti fondamentali del problema: l'eliminazione dell'anidride carbonica e la riduzione della radiazione solare.
Il problema anidride carbonica
Con riguardo al primo aspetto, i progetti elaborati fino a ora hanno messo in evidenza una serie di problemi di difficile risoluzione. L'anidride carbonica, infatti, si trova dispersa nell'atmosfera in maniera estremamente diluita. Per assorbirne un solo litro sarebbe necessario l'utilizzo di 2.500 litri d'aria prodotta da fonti rinnovabili che, a loro volta, non emettano gas serra. Anche la produzione di biocombustibili capaci di catturare l'anidride carbonica, stoccando poi il carbonio sequestrato in vecchi giacimenti petroliferi abbandonati è, per ora, di difficile applicazione visti gli altissimi costi della messa in atto del progetto. Rimane la proposta d'incrementare la riforestazione del pianeta che, per quanto sia cosa virtuosa, presuppone dei tempi troppo lunghi per poterne raccogliere gli effetti nell'immediatezza del problema.
Ridurre le radiazioni solari
L'altro aspetto sul quale si può agire è la riduzione della radiazione solare. Si tratta di modificare temporaneamente la capacità dell'atmosfera di riflettere i raggi solari, respingendone una quantità maggiore rispetto a quanto accada di solito. Riducendo la radiazione solare che riesce a toccare il suolo si potrebbero ripristinare delle temperature accettabili, arrestandone il costante aumento. Come si sa, ogni giorno il nostro pianeta riceve energia dal Sole sotto forma di raggi solari, una parte della quale viene assorbita e una parte irradiata nuovamente di notte come radiazione infrarossa. L'effetto serra, provocato dalle emissioni umane, ha turbato tale equilibrio, aumentando la quantità di calore che rimane intrappolata nell'atmosfera e che determina, appunto, l'aumento delle temperature globali. Per quanto, anche questa, sembri una idea abbastanza eccentrica, gli studi che si compiono in questa direzione hanno radici molto solide. Già nei primi anni '70 il sovietico Mikhail Budyko, considerato il fondatore della climatologia moderna, elaborò una teoria secondo la quale, per far fronte al surriscaldamento globale, si sarebbe potuto immettere solfuri, ossia composti contenenti atomi di zolfo, ad alta quota, in modo d riflettere in parte le radiazioni solari.
Impariamo dai vulcani
L'idea nasce dall'osservazione di ciò che capita durante le grandi eruzioni vulcaniche, durante le quali ampi strati di nubi e aerosol gassoso creano uno schermo ai raggi solari, determinando un repentino abbassamento delle temperature. Il 1816, ad esempio, passò alla storia come “l'anno senza estate” dato che, a causa dell'eruzione del vulcano Tambora, le temperature medie diminuirono di ben 3 gradi. Nel 1992 la geoingegneria solare venne inserita, per la prima volta, in uno dei rapporti delle National Accademies degli Stati Uniti, mentre nel 2006 uno studio, pubblicato dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, riaccese l'interesse per tali tipi di progetti.
L'opposizione della Lapponia a coprire il sole
Lo scorso anno, ad esempio, l'Università di Harvard aveva in progetto di sperimentare l'immissione di solfuri e altre sostanze, nel nord della Svezia ma l'opposizione di un gruppo di sami, la popolazione indigena della Lapponia, ne interruppe la realizzazione. I sami, infatti, lamentavano di non essere stati messi al corrente dei rischi del progetto e del suo effettivo impatto sull'ambiente. Fino a ora, infatti, gli studi sulla riduzione delle radiazioni solari sono stati unicamente di natura teorica, basati su modelli matematici e simulazioni fatte al computer. La difficoltà di reperire dei fondi per supportarli, poi, ha reso ulteriormente difficoltosa l'idea di poter procedere a un qualche tipo di sperimentazione. I problemi logistici, infatti, sono tanti. Il gruppo dell'Università di Harvard, con il loro progetto ScoPEx, ricerca ancora una soluzione su come poter disperdere i solfuri nell'atmosfera. Gli stessi, infatti, dovrebbero essere liberati a una altitudine non toccata dai normali aerei di linea, motivo per il quale si è pensato all'utilizzo di palloni sonda, in grado di raggiungere i 20 mila metri di altezza, oppure l'impiego di aerei militari idonei a tale scopo. Il costo di tale operazione, stimato tra i 5 e i 10 miliardi di dollari all'anno, rappresenta sicuramente un primo ostacolo da superare. Come detto, infatti, questo campo di ricerca ha dei costi enormi e la difficoltà di reperire finanziamenti rappresenta un enorme ostacolo alla messa in opera dei progetti. Oltre a quello finanziario, esistono poi altri problemi, di ordine ambientale e politico, che, a oggi, rimangono di difficile soluzione.
L'incognita dell'ingegneria e tutti i suoi limiti
A preoccupare maggiormente sono gli effetti concreti di una strategia che, fino a ora, non ha mai varcato la soglia dei laboratori per essere sperimentata nel mondo reale. In molti si chiedono quali potrebbero essere gli effetti delle sostanze chimiche disperse nell'atmosfera e come potrebbero interagire con elementi già presenti in essa, come l'ozono. Altri studiosi, invece, fanno notare che l'opera di schermatura del sole potrebbe creare una sorta di circolo vizioso in cui ciò che doveva essere una soluzione temporanea potrebbe diventare una condizione definitiva. Secondo uno studio del 2018, infatti, si è calcolato che, una volta interrotto un programma d'ingegneria solare su ampia scala senza aver diminuito l'emissione di anidride carbonica nell'aria, si avrebbe una ripresa del surriscaldamento globale di dieci volte superiore a quello attuale, con effetti devastanti per la biodiversità. L'abbassamento delle temperature, infatti, a prescindere dal successo della geoingegneria, non può prescindere da una riduzione delle emissioni di CO2. La paura, quindi, è quella che i Paesi che ne producono di più possano sentirsi confortati dai risultati ottenuti con i progetti di schermatura del sole, continuando a disperdere anidride carbonica nell'atmosfera.
Lo scontro tra ecologia e interessi economici
Questa è una delle più grandi obiezione alla geoingegneria solare: la permanenza di anidride carbonica nell'atmosfera avrebbe effetti devastanti sugli ecosistemi, a iniziare da quelli marini. Non è un caso, infatti, che le società del settore energetico siano le più interessate a tale tipo di progetto. Le industrie petrolifere vedono nella soluzione proposta dalla geoingegneria solare un modo facile per continuare a fare affari con i combustibili fossili rimandando, a data da destinarsi, l'effettiva riduzione di utilizzo di tali fonti energetiche. Si stima che, per avere il 50% delle possibilità di non superare gli 1,5° di aumento delle temperature globali rispetto al periodo preindustriale, non dovrebbe essere utilizzato il 90% di carbone e il 60% del petrolio. Il pericolo di perdere enormi possibilità di guadagno è quindi un potente motore per rimettere la soluzione del problema alla geoingegneria climatica, con tutti i limiti prima evidenziati. Un'altra obiezione riguarda invece la natura globale dei progetti in essere. Per potersi avere degli effetti soddisfacenti, infatti, la geoingegneria dovrebbe agire a livello globale. Se ogni Paese adottasse autonomamente delle proprie strategie in merito, queste potrebbero avere delle ripercussioni per altri Paesi, in considerazione del fatto che nell'atmosfera non valgono i confini politici stabiliti dall'uomo e le sostanze in essa disperse finirebbero inevitabilmente per condizionare l'andamento climatico di uno Stato estraneo al progetto. Come ricordato dal New Yorker, in un suo articolo dedicato a tale problematica, se è vero che esistono diversi trattati internazionali che vietano il ricorso a sistemi di modifica delle condizioni meteorologiche come strumento di guerra, non esistono garanzie sufficienti per ridurre il rischio di conflitti dovuti all'applicazione della geoingegneria solare su ampia scala. A fronte di tali problematiche, sono in tanti a chiedersi se non valga la pena investire in maniera seria nelle fonti di energia rinnovabili piuttosto che puntare la salvezza del pianeta su studi ingegneristici ancora troppo teorici.