Le persone transgender subiscono già abbastanza violenze nella vita di tutti i giorni. Nelle carceri le loro condizioni sono disastrose.
Nelle ultime settimane, in Gran Bretagna, è stato deciso che le detenute transgender, condannate per crimini sessuali o violenti, non sconteranno la propria pena nelle prigioni femminili ma in quelle maschili, salvo rare eccezioni. «La sicurezza deve venire prima di tutto nelle nostre carceri e questa nuova politica stabilisce un approccio chiaro e di buon senso per la permanenza dei detenuti transgender» ha dichiarato il vice Primo Ministro Dominic Raab, illustrando le nuove misure sulla detenzione delle persone transessuali.
Il caso di Isla Bryson e di Tiffany Scott
Attualmente, in Gran Bretagna, non vi è alcun obbligo di alloggiare le detenute trans nelle carceri femminili, ma si tratta di una scelta arbitraria, da valutare a seconda dei casi e legata al livello di sicurezza da garantire in carcere. Questo cambio di direzione è, in larga parte, dipeso dalla controversa vicenda di Isla Bryson, una detenuta transgender di 31 anni, giudicata colpevole di due stupri compiuti prima di iniziare il percorso di transizione.
Al termine del processo per stupro, lo scorso 24 gennaio, Bryson è stata portata nella prigione femminile di Cornton Vale di Stirling, nel sud della Scozia, sulla base di linee guida adottate tempo fa in base alle quali una persona possa essere detenuta nel tipo di carcere idoneo al genere in cui si identifica. Tale scelta ha, fin da subito, riacceso un dibattito mai sopito sulla collocazione delle donne transessuali negli spazi femminili.
Tempo prima, infatti, si era molto discusso sul caso di Tiffany Scott, un’altra detenuta transgender, condannata per reati violenti e per stalking a danno di una bambina di 13 anni, che, su sua richiesta, era stata trasferita in un carcere femminile anche se ora, alla luce delle nuove linee guida, tale decisione verrà revocata.
A favore delle nuove misure si è espresso anche la Scottish Trans Alliance, un’organizzazione che sostiene i diritti delle persone transgender in Scozia, sostenendo che «chiunque abbia commesso crimini violenti sessuali e rappresenti un rischio per le altre donne non dovrebbe stare in un carcere insieme ad altre donne».
La questione carceraria delle persone transgender
La questione di quali spazi garantire alle persone transgender riguarda tanti aspetti del vivere civile, dall’uso dei servizi igienici, alle categorie sportive nelle quali includerle. La questione carceraria, però, è particolarmente sentita perché il vivere privati della propria libertà, in spazi angusti e di difficile gestione, complica ulteriormente il giusto processo di inclusione che la società dovrebbe compiere nei confronti di queste persone.
Le realtà carcerarie, di per sé molto difficili nella maggioranza dei casi, possono avere un effetto ancora più devastante nei confronti di chi sta compiendo un percorso di messa in discussione della propria identità sessuale. Sono tante le storie provenienti da diversi Paesi del mondo che testimoniano queste drammatiche difficoltà.
Alcune di questi racconti parlano di persone ghettizzate, se non umiliate e torturate e di altre che assurgono agli onori della cronaca per comportamenti che sembrano confermare la tesi di coloro che non ammettono la carcerazione sulla base dell’identità di genere in cui ci si riconosce.
È il caso, per esempio, della ventisettenne transgender Demi Minor che, incarcerata in una struttura penitenziaria femminile nel New Jersey, negli Stati Uniti, ha avuto rapporti sessuali consensuali con due compagne di cella mettendole incinte. Nella struttura sono ospitate circa 800 detenute, di cui 27 transgender, in forza di una legge approvata nel 2001 che consente ai detenuti di essere ospitati in carcere sulla base dell’identità di genere in cui si riconoscono.
Ad oggi, anche negli Stati Uniti, si assiste a una sorta d'involuzione e le persone transgender sono solitamente destinate agli istituti penitenziari corrispondenti al «genere sessuale determinato alla nascita». È chiaro che casi simili non possano non far divampare nuove polemiche tra coloro che ritengano simili normative profondamente ingiuste. A fronte però di tali casi di cronaca, vi sono altre storie che parlano di degrado ed emarginazione, e di una profonda sofferenza da parte di chi non trova in carcere alcuna comprensione per il proprio modo d’essere.
La questione dei detenuti transgender in Italia
Come raccontato dall’Espresso, nel marzo dello scorso anno, nel carcere romano di Rebibbia, le persone transessuali vivono in uno spazio confinato e sono a loro precluse le attività permesse agli altri detenuti. All’interno del reparto maschile G8, vivono 250 detenuti, a cui è permesso svolgere lavori esterni e di pubblica utilità, e 17 transgender che vivono recluse, dietro un enorme cancello di colore blu, in cinque stanze che fungono da dormitorio, scuola e ritrovo per le attività sociali. «Oltre questo spazio non possiamo andare - spiega Melany, trentacinquenne brasiliana - non possiamo nemmeno ricevere visite nell'area verde, a differenza dei detenuti maschi. Per fortuna, da qualche tempo, posso andare a lavorare al G14, in ambulatorio altrimenti mi ammazzerei».
Lory, trentottenne romano, in carcere dal 2010 al 2015, ricorda che «non potevamo usare il trucco e neppure gli accessori. Ricordo una poveretta che è stata chiusa in cella per non farsi vedere pelata fino a quando non ha avuto la sua parrucca».
In Italia, la realtà delle persone transgender nelle carceri, non è stato affrontato a livello statale, ma rimettendo a ciascun istituto penitenziario l’organizzazione idonea di spazi già di per sé molto angusti. In diverse carceri italiane le detenute transessuali vengono inserite nei reparti cosiddetti ‘precauzionali’ dove sono recluse le persone condannate per violenza sessuale e pedofilia, o insieme ai collaboratori di giustizia e agli ex appartenenti alle forze dell’ordine.
Antigone, l’associazione che da tempo si batte per la tutela dei diritti dei detenuti, ha da tempo denunciato la presenza di «sezioni ghetto» e «l’esclusione delle transgender dalle attività culturali, sportive e ricreative, oltre la difficoltà a relazionarsi con il mondo esterno. Nella maggior parte del tempo, le transessuali trascorrono parte del loro tempo separate e limitate nell’uso degli spazi pubblici per rispettare il principio di non promiscuità voluto dal ministero». «Ogni volta che sento la voce che chiama i detenuti uomini per il corso di teatro, di spagnolo, per il pallone, mi ricordo che sono solo una trans», dice Perla, ventotto anni con alle spalle una dolorosa storia di violenze e tentativi di suicidi, sia fuori che dentro il carcere.
La questione dei carcerati transgender nel mondo
Già nel 2001, il Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite aveva denunciato, in un suo rapporto, che «le persone transessuali, soprattutto donne, sarebbero a rischio elevato di abusi fisici e sessuali da parte delle guardie carcerarie e degli altri detenuti», e nel 2016, l’Onu ribadiva che le persone transgender detenute nelle carceri «sono a rischio di tortura e maltrattamenti». E se ciò è vero in Paesi dotati di una certa sensibilità verso il movimento dei diritti LGBTQ+, bisogna immaginarsi cosa accada in Paesi, come in Africa, Asia e Medio Oriente, in cui i diritti di tali persone sono comunemente calpestati.
Nel 2018, per esempio, in Indonesia, la polizia ha fatto irruzione e arrestato dodici donne trans impiegate in diversi saloni di bellezza, le quali hanno denunciato di essere state sottoposte a trattamenti umilianti, come il doversi vestire da soldati e radersi i capelli «per sembrare più virili».
Nel giugno del 2021, l’opinione pubblica sensibile alle tematiche di genere era rimasta colpita dalla storia di Shakiro e Patricia, due transgender camerunesi arrestati perché indossavano abiti femminili. Rinchiuse in carcere, hanno denunciato, tramite i propri legali, di aver paura per la propria vita e di aver subito minacce di morte e violenze fisiche e psicologiche anche da parte delle guardie carcerarie.
In Camerun, così come in tanti altri Paesi africani e asiatici, oltre che del Medio Oriente, l’omosessualità e la transessualità sono considerate contrarie alla legge, e in alcuni Stati è punita con la pena di morte. Chi viene arrestato viene sottoposto a torture, perquisizioni corporali molto violente, e uccisioni.
Nonostante la situazione delle persone trans detenute in carcere sia, troppo spesso, drammatica e svilente, vi sono anche degli esempi positivi. Nel carcere di Pattaya Remand in Thailandia esistono celle esclusive che separano i detenuti LGBTQ+ da tutti gli altri, proprio per difenderli da eventuali soprusi e maltrattamenti, e questo nonostante la società thailandese debba fare ancora i conti con un diffuso sentimento di non accettazione nei confronti di queste persone.
Chalom, una donna transgender di trent’anni arrestata per spaccio, aveva, per sua stessa ammissione, terrore di finire in un carcere maschile ed essere vittima di abusi e violenza. Una volta destinata a Pattaya Remand, ha invece scoperto una realtà rispettosa delle diversità sessuali. Il rispetto che dovrebbe essere dato a tutte le persone, libere o detenute, di conservare in qualsiasi circostanza la propria dignità di essere umano.