Un anno fa, l'incrociatore della flotta russa del Mar Nero affondava dopo essere stato colpito da due missili. Uno sfregio indelebile
Il relitto dell'incrociatore russo Moskva riposa, da un anno esatto, sul fondo del Mar Nero, a poche decine di chilometri a est dell'isola dei Serpenti. Quello che era a tutti gli effetti un emblema, l'orgoglio della flotta del Cremlino nelle acque marittime a sud della Federazione Russa, ha capitolato dopo essere stato colpito da due missili antinave ucraini. Era il 14 aprile dell'anno scorso. Un giorno umiliante per Mosca, come non ne viveva dalla Seconda Guerra Mondiale.
L'affondamento del Moskva è stato, de facto, la prima grande umiliazione subita dal Cremlino dopo l'inizio dell'invasione in Ucraina. È uno sfregio indelebile; che resterà scavato sul volto dell'orgoglio russo e che Mosca ha avuto ogni interesse a sminuire e, nel limite delle possibilità, a silenziare. E prova ne è il fatto che, quando sono ormai trascorsi dodici mesi, ancora non abbiamo in mano un bilancio chiaro e univoco su quanto sia accaduto in quelle acque tra il 13 (il giorno in cui la nave è stata colpita) e il 14 aprile.
I morti? Sicuramente uno. Forse seicento...
Più di tutto, non sappiamo quante siano le vittime. Il ventaglio delle cifre è piuttosto ampio; si va dalla sola vittima confermata dal Ministero della Difesa russo - a cui si devono aggiungere altri 27 nomi alla voce "dispersi" - a stime ben più tragiche che mettono in conto tutto l'equipaggio che si trovava a bordo - ufficialmente, la nave aveva una capacità di 538 persone (476 membri d'equipaggio e 62 ufficiali) - fino ad arrivare oltre la soglia dei 600 morti.
Tra queste cifre troviamo anche una sentenza, di un tribunale di Sebastopoli, che lo scorso novembre ha confermato il decesso di 17 marinai di cui era stata dichiarata la scomparsa in mare dopo l'affondamento. Yegor Shkrebets, il giovane coscritto il cui padre ha sfidato apertamente, sulla stampa, la versione sostenuta dal Cremlino sul destino del Moskva, era uno di essi. Gran parte dell'equipaggio era formato da giovani coscritti che stavano svolgendo il servizio di leva obbligatorio. E che si sono ritrovati nel bel mezzo del conflitto, al pari di molti altri loro coetanei, letteralmente mandati a morire al fronte in Ucraina. Ma questo è un altro capitolo della storia.
Da «nave russa, vaffa...» all'esplosione
Torniamo al Moskva e a un anno fa. Anzi, al giorno prima. Perché è durante la sera del 13 aprile che arrivano le prime segnalazioni sul fatto che un missile (almeno) ha colpito l'ammiraglia russa al largo dell'isola dei Serpenti. Proprio il Moskva, il giorno in cui Vladimir Putin ha dato il via alla sua operazione militare speciale, si era preso il merito della conquista di quel bottone di terra, disabitato ma strategico, rimasto poi in mani russe per oltre quattro mesi (fino al 30 giugno, quando Mosca ha deciso di ritirarsi confezionando la mossa come un «gesto di buona volontà»). E sempre in quel giorno è nato, dalla risposta alla richiesta radio di resa rivolta alle forze ucraine che erano di stanza sull'isola, quello che è poi diventato uno slogan portante delle campagne andate in scena, in tutto il mondo, contro l'occupazione russa nell'ex repubblica sovietica: «Nave da guerra russa, vaffanculo».
Ma cosa è accaduto di preciso in quelle ore, tra il 13 e il 14 aprile? Andiamo con ordine. Il Moskva è stato raggiunto da due missili antinave di classe Neptune mentre si trovava a poco più di un centinaio di chilometri a sud di Odessa. Le forze ucraine, come si è poi saputo nelle settimane successive, hanno intercettato l'esatta posizione dell'incrociatore anche grazie agli occhi sempre aperti dell'intelligence a stelle e strisce. Solo gli occhi, perché gli Stati Uniti hanno altresì confermato di non essere stati informati in anticipo delle intenzioni da parte di Kiev di mettere nel mirino la nave ammiraglia. «Non siamo coinvolti nella decisione dell'Ucraina di colpire la nave né nell'operazione che hanno condotto. Non ne eravamo a conoscenza». E «gli ucraini hanno le loro capacità di intelligence per poter intercettare e colpire le forze navali russe, come hanno fatto in questo caso». Queste furono le dichiarazioni rilasciate al tempo dal segretario del Pentagono, John Kirby.
Le ricostruzioni ci dicono che, dopo l'impatto con quei due missili da crociera, sulla nave si è sviluppato un incendio. Le fiamme hanno intaccato alcune delle munizioni presenti, innescando l'esplosione che ha irrimediabilmente danneggiato la nave. Le ore successive hanno visto le versioni di Mosca e di Kiev intrecciarsi. Il Cremlino ha confermato che un incendio verificatosi a bordo ha provocato l'esplosione di alcune munizioni. Nessuna parola invece sulle cause del rogo. Nessuna scia di missili tra le comunicazioni ufficiali della Difesa russa, solo il resoconto sul fatto che l'incendio è stato «contenuto» grazie all'intervento dei marinai e che la nave si è poi inabissata, mentre veniva rimorchiata verso un porto sicuro, a causa delle cattive condizioni meteorologiche. Le stesse che avrebbero pure complicato - o forse reso impossibili - le operazioni di soccorso. Su questo però Mosca ha preferito sorvolare.
Sul suo curriculum Georgia, Crimea e Siria
Il Moskva ha (aveva) un curriculum di tutto rispetto. L'incrociatore - un colosso lungo 186 metri per quasi 11'500 tonnellate (a pieno carico) - è stato la nave ammiraglia della Flotta del Mar Nero per oltre un ventennio, dal 2000 al 2022. Ma gli inizi della sua carriera risalgono ai tempi dell'Unione Sovietica, quando entrò in servizio - con il nome Slava - nel 1983, in piena Guerra Fredda. Solo nel 1995 venne poi ribattezzata in onore della capitale russa. Negli ultimi 15 anni, quindi a partire dal 2008, è stata schierata i diverse fasi di conflitto. In quell'anno, durante la cosiddetta "guerra d'agosto" nell'Ossezia del Sud (Georgia). Nel 2014 la sua presenza fu cardinale per attuare il blocco della baia di Donuzlav, nel corso dell'annessione della Crimea. Nel biennio successivo operò nel Mar Mediterraneo, al largo della Siria, a sostegno delle forze militari inviate dal Cremlino in supporto al presidente Bashar al-Assad.
Al suo rientro seguì, a partire dal 2018 e fino al 2020 - secondo quanto riporta l'agenzia d'informazioni d'intelligence Janes - un periodo di lavori di manutenzione che avrebbe dovuto garantirne l'operatività fino al 2040. Un "preventivo" che non teneva conto di un eventuale - e poi concretizzatosi - incontro ravvicinato con i due missili Neptune ucraini.
Se l'emblema cambia squadra
Mentre le (poche) immagini della nave ammiraglia russa danneggiata facevano il giro del mondo, campeggiando sulle prime pagine di quasi tutte le principali testate internazionali, in Russia la notizia veniva fatta passare sottotraccia. Venduta, in un certo senso, al pari di un "semplice" incidente. Perché in fondo, l'orgoglio della flotta russa del Mar Nero non poteva permettersi di affondare solo per essere stato colpito "a morte" da un paio di missili ucraini.
Fatto sta che quella che, fino al 13 aprile 2022, era il fiore all'occhiello delle forze navali dell'Orso, un simbolo della sua supremazia, a partire dal 14 aprile è divenuto invece l'emblema della garra messa in campo dalla resistenza di Kiev, capace di assestare un colpo così duro - e, fino a quel momento, impensabile - al suo aggressore. Molto più grande e più forte. È diventata un simbolo conquistato. Che Kiev ha fatto proprio, arrivando a stamparlo - in sfregio ai "cugini" invasori - perfino sui propri francobolli. Una serie con un soldato ucraino che mostrava il dito medio al Moskva; emessa a quaranta giorni di distanza dall'affondamento per celebrare l'evento - con tanto di file agli uffici postali. Un'altra ancora con lo stesso soldato, con lo stesso dito medio all'insù, ma con il Moskva desaparecido sotto il pelo dell'acqua. Simbolo ma nella sua assenza.