Nel “Risiko” geopolitico mondiale, le gelide distese artiche restano strategicamente fondamentali. Ecco perché.
Si dice Alaska e si pensa a territori sconfinati, boschi, ghiacci e pochi coraggiosi che hanno deciso di viverci. Un territorio bellissimo ma inospitale che, all'apparenza, potrebbe far gola solo a quelle persone, nostalgiche di avventure, che hanno deciso di abitarla, nonostante le condizioni di vita non proprio favorevoli.
Come nel “Risiko”
Eppure, a osservare bene come vanno le cose nel mondo, l'Alaska si trova, da diversi anni a questa parte, al centro di uno scacchiere dove, a sfidarsi per il controllo del mar Artico, vi sono le più grandi potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, oltre alla Cina. L'Alaska, infatti, vista la sua posizione geografica, garantisce lo sbocco all'Oceano Artico, e alle sue risorse naturali, agli Stati Uniti che, proprio in quella zona, si trovano vicinissimi alla Russia, che la vendette nel 1867 per poco più di 7 milioni di dollari di allora.
L'Alaska stessa, fin dagli anni'60 con la scoperta del più grande giacimento petrolifero nordamericano nel mare di Beaufort, ha iniziato a fornire un apporto energetico sempre più rilevante. Si stima che, solo nel 2018, abbia garantito il 70% del greggio consumato nel territorio degli Stati Uniti. Come si sa, però, la ricerca di nuovi giacimenti di materie prime è una delle esigenze primarie della nostra società, ed è divenuto ancora più impellente con l'invasione russa in Ucraina e la conseguente crisi energetica che ne è derivata.
L'oro nero sotto al ghiaccio
È fondamentale ricordare, quindi, che, con il cambiamento climatico in atto, il territorio artico, proprio a causa dello scioglimento dei ghiacci, promette di rivelare enormi giacimenti di risorse naturali, quali minerali, metalli e idrocarburi, sempre più necessari per i bisogni della società moderna. Si stima, infatti, che un quarto delle riserve di idrocarburi non ancora sfruttate si trovi proprio nei suoi fondali.
Si spiega allora perché questa zona del mondo, che si potrebbe giudicare superficialmente priva di attrattive, stia diventando l'epicentro di uno nuova sfida tra super potenze, che da oltre un decennio, sono impegnate a costruire navi rompighiaccio sempre più performanti e sofisticati, alcuni anche a propulsione nucleare, per solcare le acque dell'Oceano Artico. Il potersi garantire tali rotte, il passaggio a nord -est della Northern Sea Route, anche in pieno inverno, permetterebbe di risparmiare decine di migliaia di miglia nautiche per poter portare a casa tali inestimabili risorse, oltre a rendere più agevoli anche i viaggi commerciali già in essere. Invece che in venti giorni, una nave dal Giappone potrebbe arrivare in Europa in appena dieci, e lo stesso dicasi per la rotta che doppia Capo di Buona Speranza per poi risalire le coste africane.
Per la Cina, poi, rappresenterebbero una necessaria alternativa alla 'Via della seta', per ora l'unica rotta via mare disponibile per raggiungere i ricchi mercati europei. La Cina si è dichiarata “stato vicino all'Artico” e ha avviato una collaborazione con la Russia per promuovere un uso esteso delle rotte artiche. Se è quindi vero che l'Artico può venire considerato il nuovo Eldorado, per la sua ricchezza di materie prime e la possibilità di solcare rotte prima impraticabili, si capisce con più chiarezza l'importanza strategica che sta andando assumendo l'Alaska all'interno di questo progetto di geopolitica. L'Artico, fin dai tempi della Guerra Fredda, è sempre stato considerato un confine ideale tra blocco occidentale e quello orientale.
Più della metà della costa artica appartiene alla Russia, oltre cinque milioni di chilometri quadrati che ne farebbero la settima nazione al mondo per estensione e che, secondo l'istituto tedesco di affari internazionali Swp, “hanno garantito il 90% dell'attuale produzione russa di gas e il 60% della sua produzione di petrolio (…) in sostanza l'Artico consente alla Russia di perseguire una serie di obiettivi significativi” sostenendo lo status del Paese come grande potenza mondiale e svolgendo una funzione di “bastione strategico di deterrenza e difesa”.
Gli interessi americani
Gli Stati Uniti, dal canto loro, da molti anni ormai, scandagliano le acque del nord, con sottomarini e navi da ricerca, avendo come base strategica proprio l'Alaska. Proprio per questo, sulla costa occidentale del Paese, il governo federale statunitense sta investendo centinaia di milioni di dollari per espandere il porto della città di Nome, che potrebbe diventare una enorme hub al servizio delle navi della Guardia Costiera e della Marina militare che navigano nel Circolo Polare Artico. L'Alaska è uno dei paesi più militarizzati al mondo: fin dagli anni'40, infatti, per il terrore dell'avanzata sovietica, è stato deciso di procedere con un'ampia militarizzazione dell'area.
Lo stesso dicasi oggi, vista la sua vicinanza al territorio russo e il ritorno di un clima di alta tensione tra le due super potenze. In Alaska sono presenti più di 20 mila persone in servizio attivo, destinate alle varie basi militari presenti sul territorio.
Il Paese, inoltre, è anche sede di parti critiche del sistema missilistico della nazione. Per capire quanto il clima sia teso tra Stati Uniti e Russia, è sufficiente pensare che, in occasione del varo delle prime sanzioni economiche contro la Russia, un membro della Duma aveva chiesto che l'Alaska venisse restituita al controllo russo. Un gesto di sicuro privo di conseguenze e carico di retorica, ma che testimonia bene il ritorno al clima di Guerra Fredda che si è tornati a vivere dopo il 24 febbraio dello scorso anno.
D'altra parte, lo aveva detto già nel 2021 il Segretario della Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, in visita in Alaska, dicendo che “siamo una nazione indo-pacifica e siamo una nazione artica. Qui, in Alaska, quelle due regioni critiche si intersecano. È qui che possiamo proiettare il potere in entrambe le regioni e dove dobbiamo essere in grado di difenderci dalle minacce provenienti da entrambe i luoghi”.
Resosi conto che la Russia sta sviluppando enormemente il suo interesse per il proprio territorio nell'Artico, gli Stati Uniti, assorbiti in questi anni su altri fronti politici e militari quali Afghanistan e Iraq, hanno deciso di recuperare il tempo perduto per aumentare, a propria volta, la presenza militare in quei territori. Già lo scorso anno, l'Air Force aveva trasferito decine di jet da combattimento F-35 in Alaska, dichiarando che lo Stato “ospiterà più combattenti avanzati di qualsiasi altra località del mondo”.
La Marina militare americana, dal canto suo, ha condotto una serie di esercitazioni nei ghiacci del Circolo Polare Artico, sviluppando un piano per proteggere gli interessi americani nella regione, nella convinzione che “la pace e la prosperità saranno sempre più messe in discussione da Russia e Cina i cui interessi e valori differiscono drammaticamente dai nostri”. Nel 2021, poi, l'esercito statunitense ha diffuso il suo “primo piano strategico per riconquistare il dominio dell'Artico”, così come ricordato dalla rivista Start Magazine.
Una Guerra Gelida
La vicinanza della Russia, il cui territorio orientale, attraverso lo stretto di Bering, dista appena 55 miglia dalla costa dell'Alaska, continua a fare paura. Negli ultimi tre anni non sono mancati atti intimidatori a opera di navi e aerei militari russi proprio sul mare di Bering, come quando venne intimato ad alcuni pescherecci statunitensi, che operavano legittimamente nella propria zona economica esclusiva, di allontanarsi dalla zona minacciando ritorsioni.
Di fatto le imbarcazioni perdettero milioni di dollari di possibili guadagni senza alcun motivo, se non una mera prova di forza. Le coste al largo dell'Alaska, infatti, sono fondamentali per l'industria ittica americana, dato che forniscono grandi quantitativi di granchio reale e merluzzo. Negli anni, sono andate ad aumentare le operazioni militari russe nella zona, e in più occasioni aerei militari americani sono stati inviati per intercettare aerei da guerra russi diretti verso lo spazio aereo degli Stati Uniti, tanto che il generale canadese Scott Clancy, responsabile delle operazioni del Norad, Comando di Difesa Aerospaziale del Nord America, disse al New York Times che «era come se la Russia stesse testando le capacità di Norad e le proprie».
Come dichiarato da Troy Bouffard, direttore del Centro sicurezza e resilienza artica presso l'Università di Alaska Fairbanks «O acconsentiamo alla Russia, al suo controllo estremo delle acque di superficie o intensifichiamo la questione». La situazione, come detto, è resa molto tesa dal fatto che, in seguito dell'invasione russa in Ucraina, si è interrotto qualsiasi canale diplomatico volto ad avviare una collaborazione sul tema.
Se è vero che non vi è un vero e proprio clima di guerra nell'Artico, si può prevedere, in un prossimo futuro, un incremento dei problemi legato alla gestione delle acque al largo delle coste o controversie sull'esplorazione sottomarina che potrebbero causare nuovi attriti tra Stati Uniti e Russia. L'ennesimo fronte caldo in un mondo già caratterizzato da sempre più guerre e crisi, climatiche, energetiche e umanitarie.