Uomini che uccidono le compagne, le mogli e le figlie. Quella del femminicidio è un'emergenza globale.
«Donna, mamma, tu non sei sola». Lo aveva detto Marisa Leo in un video girato per incoraggiare le vittime di violenza domestica, prima di essere uccisa, lei stessa, per mano dell'ex compagno e padre della figlia di tre anni. «Vieni a prendere la bambina in azienda da me intorno alle cinque e mezza» le ha detto Angelo Reina, imprenditore trapanese, che, armato di una carabina calibro 22, ha fatto fuoco sulla donna, che lo aveva denunciato per stalking, per poi rivolgere l'arma contro se stesso e suicidarsi.
Marisa Leo è solo l'ultima, in ordine di tempo, delle tante donne, ottanta, che dall'inizio dell'anno sono state uccise in Italia. Come riportato dal quotidiano La Repubblica, nel 2022 ne erano state uccise novanta mentre l'anno prima settanta. Dal 2013, i dati relativi ai femminicidi in Italia sono costanti e non si è assistito ad alcuna significativa diminuzione degli omicidi nonostante i provvedimenti adottati dal governo per arginare questa emergenza.
Misure che, dati alla mano, si sono rivelate inefficaci e non è un caso che l'Italia sia stata richiamata, per ben quattro volte, dalla Corte europea dei diritti umani per inadempienza nella protezione delle vittime. Se è vero che in Italia il fenomeno ha assunto dimensioni più che preoccupanti, non bisogna pensare che sia limitato a quest'unica area geografica.
Una vittima ogni 12 minuti
Secondo l'ultimo rapporto delle Nazioni Unite, infatti, nel 2022 sono state uccise nel mondo 45mila donne per mano del marito, compagno o altro familiare. Ciò significa che, nel mondo, il 56% delle oltre 81 mila vittime di omicidio, sono state donne o ragazze vittime di femminicidio. Una ogni dodici minuti, cinque ogni ora. Le cifre reali, poi, sono ancora più alte, se si pensa che quattro morti su dieci non sono state conteggiate tra i femminicidi per mancanza di dati sufficienti.
Sempre secondo il rapporto Onu, nel 2021 il più alto numero di femminicidi è stato in Asia, con 17'800 morti, anche se è il continente africano, 17'200 donne ammazzate, il luogo dove queste ultime rischiano maggiormente di essere uccise per mano dei propri familiari. Dallo scoppio della pandemia da Covid-19, poi, i casi di femminicidi sono aumentati anche in Europa e nel Nord America che fanno registrare, rispettivamente, 2'500 e 7'500 donne uccise. In Occidente, i Paesi maggiormente coinvolti dal fenomeno sono quelli del sud Europa, dove le uccisioni sono andate ad aumentare, mentre in Europa occidentale il numero dei casi è andato a diminuire.
Uccise per un matrimonio (o un paio di jeans)
Nei Paesi asiatici, come detto, si commette il maggior numero dei femminicidi. Negli anni vi sono stati terribili casi di cronaca con protagoniste delle giovani donne uccise dai propri familiari perché ritenute troppo libere ed emancipate rispetto alla ristretta cultura del clan o per aver rifiutato l'imposizione di un matrimonio combinato.
È quanto successo a una ragazza indiana di appena diciannove anni perseguitata, molestata e data alle fiamme da un suo coetaneo. Il ragazzo, con l'aiuto di un complice, nell'agosto dello scorso anno, si è introdotto di notte nell'abitazione della giovane, approfittando di una finestra aperta, e dopo averla cosparsa di kerosene le ha dato fuoco condannandola a morte dopo cinque giorni di agonia.
Neha Paswan, invece, è stata uccisa a bastonate a diciassette anni, nel suo villaggio nella regione dell'Uttar Pradesh, dai nonni e dagli zii per aver insistito a voler indossare un paio di jeans in occasione di una festa religiosa. In Pakistan, India e Bangladesh vi è anche una tipologia di femminicidio molto specifica: la morte per dote.
Consiste nell'uccisione, o nella induzione al suicidio, di una donna da parte del marito o dei propri suoceri nel caso vi sia una disputa per la sua dote. Si stima che la morte per dote rappresenti oltre il 40% dei femminicidi commessi in India, con dati che si sono mantenuti costanti dal 1999 al 2016, mentre il Pakistan ha il tasso più alto al mondo per tale tipo di femminicidio. Come già detto, i dati sui casi di femminicidio vanno intesi come calcolati per difetto dato che in moltissimi Paesi mancano dei dati ufficiali di riferimento.
Quando il carnefice è il marito
È il caso dell'Africa dove la piaga della violenza contro le donne è drammaticamente diffusa ma non è facile ricondurre a casi di femminicidio tutti gli omicidi che hanno per protagoniste le donne. Si stima che il 50% delle donne africane abbia subito violenza sessuale e di genere in una fase della propria vita: nelle zone rurali dell'Etiopia il 49% delle donne è stata vittima di violenza da parte del marito, in Tanzania il 47% e in Kenya il 43%. In Sudafrica il femminicidio è una vera e propria piaga sociale: si stima che nel 2022 oltre 1'700 donne siano state uccise per mano del marito o del partner, con un aumento del 50% dei casi rispetto all'anno precedente.
Come ricordato da Vanita Daniels, direttrice dell'organizzazione no profit Rise Up Against Gender-Based Violence, «il Sudafrica supera di cinque volte la media internazionale dei casi di femminicidio», denunciando la mancanza di investimenti per contrastare il fenomeno. Nel 2020, l'uccisione della ventottenne Tshegofatso Pule ha scioccato e indignato il Paese, ma nonostante l'ondata di proteste e le manifestazioni di piazza ben poco sembra essere cambiato.
La giovane donna, incinta di otto mesi, è stata accoltellata e impiccata a un albero nei pressi di Johannesburg. La famiglia aveva denunciato la sua scomparsa la settimana prima del ritrovamento del cadavere dopo che la giovane aveva avuto una violenta lite con il proprio compagno, sposato con un'altra donna. Dopo un'accurata indagine, Ntuthuko Ntokozo Shoba è stato tratto in arresto e condannato, nel 2022, per aver pianificato l'omicidio di Tshegofatso Pule e aver pagato un killer per uccidere la propria compagna. Secondo la testimonianza di quest'ultimo, Shoba aveva già tentato di ucciderla per evitare che la moglie potesse scoprire la gravidanza e perdere così i soldi di un fondo fiduciario che la donna aveva ricevuto di recente.
Il “civilizzato” Occidente, non fa eccezione
Se è facile indignarsi per omicidi commessi nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, bisogna ricordare che le cose non vanno certamente meglio nel ricco Occidente dove i casi di femminicidio, come detto, sono in costante aumento. In uno studio pubblicato nel 2019, gli Stati Uniti, ad esempio, si collocavano tra i dieci Paesi al mondo più pericolosi per le donne.
Secondo i dati del governo federale, il numero di omicidi aventi come vittime le donne sono aumentati del 31% in tre anni, subendo un ulteriore crescita nel 2020 in piena pandemia. I casi di cronaca che raccontano di donne uccise sono così frequenti che non se ne può stilare una lista completa anche se, lo scorso mese di luglio, ha suscitato una forte ondata di indignazione l'uccisione di una donna in California per mano di un trentanovenne, Mark Mechikoff, con diversi precedenti penali a suo carico.
L'uomo ha ucciso la quarantunenne Claribel Marie Estrella e ne ha ripreso gli ultimi momenti di agonia con un telefono cellulare postando poi il video su Facebook. In Messico, un Paese in cui tra il 2021 e il 2022 sono state uccise più di mille donne, il dramma dei femminicidi ha addirittura una città simbolo: Ciudad Juarez, situata al confine con gli Stati Uniti, dove un numero impressionante di giovani donne viene ucciso annualmente per mano di criminali locali o a seguito di aggressioni fisiche di stampo sessuale. Si tratta, in genere, di ragazze provenienti dai ceti più modesti, lavoratrici o studentesse, stuprate, torturate e poi uccise spesso dopo essere state mutilate. In Messico, nel 2020, sono state assassinate 3'723 donne.
Il possesso maschile, e la narrativa raccontata male
Trovare una spiegazione comune per i casi di femminicidio è molto difficile e ogni Paese coinvolto nel fenomeno si caratterizza per usi sociali e religiosi molto diversi tra loro che possono rivelarsi in certi limiti condizionanti. Spesso, tuttavia, nella narrazione dei casi di femminicidio si tende a mistificare la realtà e i termini come «amore malato» non fanno che fornire una sorta di alibi psicologico a colui che, in realtà, è un mero assassino. L'omicidio non è che l'atto finale di una serie di atti violenti a cui la donna è stata sottoposta nel tempo dal suo persecutore, svelandone la radice discriminatoria e di matrice patriarcale.
Di base, ciò che muove il femminicidio è l'idea che la donna sia di proprietà dell'uomo che può disporne in senso esclusivo come una sorta di arbitro che decide la vita e la morte della propria compagna. Ecco che ogni atto considerato sovversivo da parte di quest'ultima scatena nell'uomo interessato una rabbia e un senso di frustrazione legato alla perdita del primato che porta, sempre più frequentemente, all'uccisione della vittima.
L'idea che la donna debba essere sottomessa all'uomo continua a essere molto radicata sia nelle società legate a un modello patriarcale sia in quelle che, pur considerandosi più evolute ed emancipate, favoriscono tale convinzione adottando un'opera di sessualizzazione della donna che ne fortifica l'immagine di donna-oggetto. Interrogarsi sui motivi, sociali e psicologici, che inducono a commettere un tale tipo di omicidio è, di sicuro, importante ma occorrono, di concerto, delle serie misure preventive e repressive che portino la donna a non sentirsi sola e a denunciare l'aggressore fin dal primo schiaffo prima di finire nella lista delle donne uccise per mano del compagno.