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«Non c'è un rifugio sicuro a Gaza, i bambini sono in trappola»

Ospedali senza elettricità e riserve d'acqua minime: il dramma dei più piccoli, vittime della guerra, raccontato da Unicef.
Ospedali senza elettricità e riserve d'acqua minime: il dramma dei più piccoli, vittime della guerra, raccontato da Unicef.

Dopo più di tre settimane di guerra il numero di bambini palestinesi morti nella Striscia di Gaza «è sconcertante». Unicef ha lanciato l’ennesimo appello che (con ogni probabilità) non verrà ascoltato. Il numero di morti continua a salire ogni giorno. Secondo i dati dell’agenzia delle Nazioni Unite pubblicati mercoledì 25 ottobre, oltre 2’300 bambini sono stati uccisi e più di 5’300 sono rimasti feriti. Un bilancio ancora provvisorio, in quanto è estremamente difficile verificare queste cifre, che nel frattempo è aumentato esponenzialmente.

Sul fronte opposto, durante l’attacco terroristico di Hamas, hanno invece perso la vita più di 30 ragazzi israeliani e decine sono stati rapiti. «L'uccisione e la mutilazione di bambini, il rapimento di bambini, gli attacchi a ospedali e scuole e la negazione dell'accesso umanitario costituiscono gravi violazioni dei diritti dei bambini», ha detto Adele Khodr, direttore regionale dell'Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa.

AFPI bambini feriti all'ospedale Nasser di Khan Yunis dopo un attacca aereo.

La protezione dei civili, in particolar modo dei bambini, dovrebbe essere garantita anche durante un conflitto. «La situazione è catastrofica. I miei colleghi sul terreno mi hanno raccontato che non hanno mai visto niente del genere», ci ha spiegato invece Saskia Kobelt manager di programmi internazionali di emergenza per Unicef Svizzera e Liechtenstein. Il dramma umanitario in Medio Oriente sta sconvolgendo la vita di tutti, adulti e bambini indistintamente. Eppure sono i più piccoli che pagano il prezzo più alto. 

I primi camion carichi di aiuti umanitari sono potuti entrare a Gaza. Il presidente Biden ha promesso un flusso di aiuti continui per la popolazione palestinese. Eppure per il momento il valico di Rafah resta sigillato. Come lavora Unicef dall’interno e dall’esterno?
«I primi convogli sono entrati a Gaza. Dobbiamo essere coscienti che rappresentano però solo una minima parte (il 4%) del bisogno attuale della popolazione. Lavoriamo in Palestina da anni anche prima dell’escalation della violenza. Attualmente siamo sul terreno con 93 operatori Unicef. L’accesso è limitato ed il lavoro è diventato estremamente pericoloso. È difficile contattare i colleghi a Gaza, manca elettricità, acqua e cibo. Il numero dei feriti è altissimo e le risorse limitate. Bisogna fare entrare più camion, è una questione di vita e di morte per i bambini».

ImagoI primi camion di aiuti umanitari entrano nella Striscia di Gaza dal valico di Rafah.

Le razioni d’acqua, tre litri a testa al giorno, non bastano. I medicinali ormai esauriti non si trovano. Cosa può fare Unicef?
«La mancanza d'acqua in particolare è un grandissimo problema per i bambini che sono particolarmente vulnerabili. Il sistema di pompaggio dell’acqua è stato duramente colpito e non funziona. Non c’è benzina e quel poco che si trova non viene usato per aiuti umanitari. La capacità dei sistemi di dissalazione dell’acqua, che rendono l'acqua potabile, al momento funziona solo al 5% delle sue capacità. Tre litri a testa al giorno è troppo poco (la media globale è di 50-100 litri al giorno per persona). Dobbiamo creare un corridoio umanitario».

La guerra è sensibile e la tensione è alta; si percepisce anche in Europa. Due volontari Unicef sono stati aggrediti a Milano durante una raccolta fondi per la Palestina. Come reagite davanti questa polarizzazione?
«È molto difficile anche per un’organizzazione umanitaria lavorare durante un conflitto così sentito. L'aggressione non provocata ai due volontari a Milano è l’esempio della pericolosa conseguenza della politicizzazione del conflitto. Il nostro lavoro è sempre guidato dai quattro principi umanitari: umanità, imparzialità, neutralità e indipendenza. In ogni crisi applichiamo questi principi. Abbiamo un imperativo umanitario e siamo fedeli al nostro mandato, per cui non lasciamo il terreno malgrado le difficoltà. Chiediamo alla politica di garantire la nostra sicurezza per rispettare il nostro lavoro. Oltre alle vittime il mio pensiero va anche ai volontari, che malgrado i pericoli e le difficoltà non hanno lasciato Gaza e continuano a operare in condizioni difficilissime».

ReutersUn bambino palestinese prematuro giace in un'incubatrice nel reparto di maternità dell'ospedale Shifa, che secondo i funzionari sanitari sta per chiudere perché sta esaurendo carburante ed elettricità.

I racconti della guerra che giungono dagli operatori delle diverse organizzazioni umanitarie sono commoventi e testimoniano tutta la drammaticità di una guerra devastante. 
«Ci sono due storie che mi tengono sveglia di notte. La prima riguarda un ospedale Unicef per bambini nati prematuri a Gaza. Sono venuti al mondo sotto le bombe e hanno un disperato bisogno di cure mediche. Le incubatrici necessitano di elettricità per funzionare. In una situazione così drammatica sappiamo che questi bambini saranno i primi a perire. La seconda riguarda una ragazza di soli sei anni, Emilia, soccorsa da un collaboratore Unicef a Gaza. Per scappare dalle bombe aveva trovato rifugio in una scuola. Ci ha chiamato per dirci che era salva e si sentiva al sicuro. "Con me ci sono molti altri bambini". Qualche giorno dopo però è giunta la notizia che le bombe avevano colpito anche lo stabile scolastico di Emilia. Non c’è un rifugio sicuro a Gaza. Questi bambini sono in trappola».

Hamas detiene ancora in ostaggio decine di bambini israeliani che, dopo l’attacco del 7 di ottobre, si trovano ancora nelle mani dei terroristi.
«È cruciale per Unicef seguire i nostri valori umanitari e non schierarsi con una parte del conflitto. La nostra priorità è la protezione dei bambini, in tutto il mondo. Chiediamo che i bambini israeliani presi in ostaggio vengano liberati immediatamente. I più piccoli non devono venire coinvolti».

AFPDue bambini che giocano tra le tende del campo profughi palestinese a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza.

Oltre alle necessità più urgenti, come l’acqua e il cibo, questi ragazzi che hanno subito un ennesimo trauma, avranno bisogno di un sostegno per elaborare queste esperienze.
«Anche prima dell’escalation i bambini crescevano in un ambiente pericoloso senza nessuna prospettiva. Una situazione che si è estesa per anni. Il conflitto avrà delle conseguenze molto pericolose su questi ragazzi. Il nostro compito è quello di sostenerli con dei programmi specifici che possano includere anche le famiglie. L'obiettivo è concedere a questi bambini un senso di stabilità e normalità. Ma finché gli attacchi continuano non possiamo. Questi ragazzi sono persi e non hanno nessun posto dove andare».


Appendice 1

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AFPDue bambini che giocano tra le tende del campo profughi palestinese a Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza.

AFPI bambini feriti all'ospedale Nasser di Khan Yunis dopo un attacca aereo.

ReutersUn bambino palestinese prematuro giace in un'incubatrice nel reparto di maternità dell'ospedale Shifa, che secondo i funzionari sanitari sta per chiudere perché sta esaurendo carburante ed elettricità.

ImagoI primi camion di aiuti umanitari entrano nella Striscia di Gaza dal valico di Rafah.

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