Giganti "dormienti" da più o meno tempo, che in caso d'eruzione potrebbero scatenare vere e proprie catastrofi
In queste ore il vulcano islandese Fagradalsfjall è sotto i riflettori dei media di tutto il mondo. L'eruzione sempre più imminente non è però un fatto isolato.
Si stima che, in tutto il mondo, vi siano circa 1500 vulcani potenzialmente attivi, il 75% dei quali si trova lungo le coste dell'Oceano Pacifico, nell'area nota come "Anello del fuoco" comprendente la Polinesia, le Filippine, la Nuova Zelanda, l'Indonesia e il Giappone. Tra questi vulcani c'è un ristretto numero che fa veramente paura: una loro eruzione avrebbe degli esiti devastanti per il territorio in cui si trovano e la popolazione che vive nelle vicinanze.
Il mostro di Yellowstone
Uno di questi è quello che giace sotto il parco nazionale dello Yellowstone, nello stato del Wyoming negli Stati Uniti. Uno studio realizzato alcuni anni fa ha stimato che questo super-vulcano avrebbe una camera magmatica del diametro di 90 chilometri, in grado di contenere fino a 600 chilometri cubi di roccia fusa pronta a esplodere. Una ripresa dell'attività vulcanica in quest'area è stimata come poco probabile dai ricercatori, che hanno calcolato dei cicli di eruzione ogni 700mila anni. Come è noto, però, i vulcani non hanno sempre un andamento regolare ed è per questo che si guarda con particolare preoccupazione a questo vulcano. Nel caso in cui si dovesse risvegliare, secondo quando scritto sul New York Times nel 2019 dall'esperto Bryan Walsh, «si verificherebbero terremoti di intensità crescente, segno che il magma sotto lo Yellowstone sta correndo verso la superficie. Inoltre, una sua eruzione, potrebbe seppellire intere aree del Colorado, Wyoming e Utah sotto un metro di cenere vulcanica. I raccolti verrebbero distrutti, i pascoli contaminati e le linee elettriche ne risulterebbero compromesse».
La leggenda del colosso messicano
Lo scorso maggio è stato innalzato il grado di pericolosità, da 2 al grado medio-alto 3, del vulcano Popocatèpetl, un colosso di oltre 3000 metri, situato a circa 72 chilometri da Città del Messico e il cui nome, in lingua nahuatl, significa "montagna che emette fumo". Si tratta di uno dei vulcani più attivi del Messico, e dal 1354 a oggi sono state registrate 18 sue eruzioni. Con la sua costante attività, caratterizzata da esplosioni di gas e cenere, minaccia circa 26 milioni di persone. Il vulcano era tornato in attività nel 1994, e da allora è costantemente monitorato, trovandosi in un'area così densamente popolata. Il Popocatèpetl è collegato da un'alta cresta di montagne a un altro vulcano, denominato Iztaccihuatl, ossia "la donna dormiente". La leggenda narra, infatti, che tali due montagne gemelle, un tempo un guerriero e una principessa innamorati ma separati per infauste circostanze, fossero stati trasformati dagli dei in vulcani in un gesto di pietà per le loro sofferenze.
La minaccia che incombe su Napoli
Altro osservato speciale è il Vesuvio che domina il Golfo di Napoli, in Italia. La sua pericolosità è dovuta alla sua natura esplosiva e all'enorme quantità di abitanti che vivono nelle sue vicinanze. Attivo da circa 40mila anni, ha eruttato l'ultima volta nel 1944, per poi dare inizio a una fase di quiescenza. Di recente si è anche assistito a un intensificarsi del fenomeno del bradisismo nella zona dei Campi Flegrei, ossia un lento movimento verticale del terreno attivato dalla pressione della camera magmatica del vulcano presente nella zona. Di recente è stato predisposto un piano di evacuazione che prevede che la zona rossa, comprendente la città di Napoli e altri comuni campani (per un totale di quasi un milione di abitanti) venga completamente sgomberata prima dell'eruzione vera e propria. Ci si deve preparare «all'eventuale necessità di passare rapidamente verso un livello di allerta superiore rispetto all'attuale giallo», ha dichiarato una settimana fa il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci.
Giappone: non solo il Fuji
Da questo punto di vista il Giappone, con i suoi 200 vulcani attivi, è stato sicuramente all'avanguardia predisponendo un nuovo piano di evacuazione nel caso si verifichi un'eruzione del Monte Fuji che, pur in stato di quiescenza, è a tutti gli effetti un vulcano attivo e ad alto rischio. La pericolosità del monte Fuji, la cui inattività dura ormai da 300 anni, è aumentata dopo il terribile terremoto del 2011 che ha fatto salire notevolmente il grado di compressione delle camere magmatiche. Come detto, il governo nipponico ha di recente aggiornato il proprio piano di evacuazione, la cui ultima versione risaliva al 2017, prevedendo una zona rossa comprendente 27 comuni e un totale di 800mila residenti. La principale novità è la richiesta fatta ai cittadini di abbandonare l'area di maggior rischio a piedi, di modo da evitare di congestionare il sistema viario.
Il Taal e i 39 morti del 2020
Tra i vulcani più pericolosi, per quanto dal punto di vista scientifico non sia possibile stilare una classifica esaustiva, vi è anche il Taal, situato nel nord delle Filippine, a meno di 70 chilometri da Manila, in un'area metropolitana abitata da oltre 12 milioni di persone. Si tratta di un'enorme calderara vulcanica, del diametro di oltre 20 chilometri, in gran parte occupata da un lago al cui centro vi è un isolotto, largo circa 5 chilometri, al cui centro vi è un altro lago. La particolarità di avere "un lago nel lago" ha reso il vulcano Taal unico nel suo genere e ne ha fatto meta obbligata per molti turisti e ricercatori. L'ultima eruzione del Taal risale al 12 gennaio del 2020 quando, dopo 43 anni di quiete, il vulcano si è risvegliato generando una colonna eruttiva alta quasi 100 chilometri e causando emissioni di cenere e gas che hanno spinto le autorità a evacuare i centri abitati e a chiudere tutti gli edifici pubblici della zona. A causa dell'eruzione sono morte 39 persone, principalmente per il rifiuto di abbandonare la propria casa o per problemi respiratori durante le operazioni di evacuazione, e sono stati stimati danni all'agricoltura per 48 milioni di franchi svizzeri.
I vari fattori di rischio
L'elenco dei vulcani più temibili potrebbe continuare ancora perché, come detto, i criteri presi in considerazione per determinarne la pericolosità possono essere molto diversi. Del tema se ne è occupato, alcuni anni fa, anche il Time che rimarcava l'esistenza di diversi fattori, quali la densità di popolazione che circonda i vulcani attivi, la storia e il tipo di magma che fuoriesce da essi, per stabilirne la pericolosità. Altri fattori presi in considerazione possono essere il tempo trascorso da un vulcano attivo senza eruzioni, dato che ciò comporta un aumento della pressione al suo interno, o la presenza di silice, un elemento che condiziona lo spessore della lava e ne aumenta la vischiosità.