Il governo danese, tra gli anni '60 e '70, ha impiantato una spirale a 4'500 vittime per limitare le nascite della popolazione inuit.
Per quanti tentativi si possano fare per insabbiare una verità storica, il risultato è destinato al fallimento. Per quanti anni possano passare, la verità, con le dovute e tragiche eccezioni, tende a tornare a galla e a far luce sui misfatti passati. È quanto accaduto, di recente, in Groenlandia dove una tragica vicenda, riguardante un gruppo di donne inuit, sta scuotendo l'opinione pubblica internazionale. Anche in questo caso, la verità storica, tenuta nascosta per oltre cinquant'anni, è tornata alla luce grazie ad un podcast di successo, Spiralkampagnen, trasmesso nel 2022 dalla radio danese DR.
Una contraccezione forzata - La spirale, a cui si fa accenno nel titolo, è il contraccettivo femminile utile per il controllo delle nascite. Nel podcast, infatti, viene raccontata la storia della cosiddetta 'campagna della spirale', ossia il programma governativo con cui la Danimarca decise, intorno agli anni Sessanta e Settanta, di impiantare delle spirali nell'utero di oltre quattromila donne di etnia inuit al fine di contenere il numero della popolazione indigena groenlandese. La spirale, come è noto, è un dispositivo anticoncezionale intrauterino, in polietilene, a forma di T o di ancora capovolta, inventata agli inizi del secolo scorso per prevenire le gravidanze indesiderate. Lo stelo principale può essere avvolto in un filamento di rame o di argento, mentre, dagli anni Novanta in poi, è stato dotato di un serbatoio che rilascia progesterone. La spirale è, attualmente, il metodo contraccettivo più usato al di fuori dell'Europa, l'80% delle fruitrici si trova in Asia.
Come riportato dal Corriere della Sera, la politica di controllo di concepimento degli inuit, denominata Danish coil campaign, in poco tempo riuscì a dimezzare il tasso di natalità della Groenlandia che, fin dal Settecento è un territorio appartenente al Regno di Danimarca, nonostante non sia più sua colonia dal 1953. Tale programma aveva lo scopo di far risparmiare soldi alle casse dello Stato danese a danno della popolazione nativa della Groenlandia, ossia gli inuit. Ad oggi, 67 donne groenlandesi, appartenenti a tale etnia, hanno avanzato una richiesta di risarcimento di 300mila corone ciascuna, circa 40mila euro, al governo danese per aver impiantato loro, senza alcun esplicito consenso, il dispositivo contraccettivo.
Pronte a tutto per ottenere giustizia - Nel caso tale richiesta venisse respinta, le attiviste sono decise ad intentare una causa legale che potrebbe rappresentare una pietra miliare per casi simili. Dal canto suo, il governo danese, a seguito del clamore suscitato dalla vicenda, ha deciso di istituire una commissione d'inchiesta per far luce sull'accaduto; le cui indagini dovrebbero essere concluse entro il 2025. Tale data è stata giudicata inappropriata da coloro che hanno avanzato richiesta di risarcimento perché, «le più anziane di noi si avvicinano agli ottant'anni e non possiamo più aspettare», hanno spiegato.
Tra le più combattive del gruppo vi è Naja Lybert, una psicologa e attivista, che per prima, sei anni fa, ebbe la forza di raccontare quanto accaduto. La donna aveva solo 14 anni quando, nel 1976, durante una visita medica obbligatoria in ambito scolastico, le venne impiantata una spirale nell'utero, senza che le venisse detto qualcosa e senza alcun consenso informato dei genitori. Il doloroso racconto della Lyberth, narra di una ragazzina con le gambe sulle staffe, in un lettino ginecologico dell'ospedale di Maniitsoq, e di un medico con il camice bianco che prende gli strumenti dal vassoio. «Era come avere dei coltelli dentro di me» ha raccontato la donna che, come molte altre coinvolte nella vicenda, è riuscita comunque ad avere dei figli.
I risultati dell'inchiesta giornalistica - La cosa non è da dare per scontata visto che, al forzato impianto della spirale in migliaia di giovani donne, non è seguito alcun controllo medico. Ciò ha causato, in molte di loro, fortissimi dolori addominali, infezioni ed emorragie interne che hanno condotto, in alcuni casi, a dover procedere con l'isterectomia, un intervento chirurgico per la rimozione dell'utero. Nonostante il racconto di Naja Lyberth risalga, come detto, a diversi anni fa, è stato solo nel 2022, grazie al successo del podcast, che quanto denunciato ha iniziato ad assumere una rilevanza politica. Grazie all'inchiesta giornalistica che ne è seguita, si è scoperto che, alla fine del 1969, al 35% delle donne inuit groenlandesi in età fertile era stata impiantata una spirale senza il loro consenso. Secondo quanto riportato dalla Bbc, una donna ha scoperto, solo nel 2009, che le era stata impiantata una spirale contraccettiva, mentre un'altra nel 2014. Sono storie che hanno dell'incredibile, eppure è tutto tragicamente vero e documentato.
La vicenda raccontata da queste coraggiose donne inuit, inoltre, non costituisce un unicum della storia moderna, essendoci stati molti altri casi di sterilizzazione forzata per decisione governativa a danno delle popolazioni indigene. Nel secolo scorso, molti Paesi ricorsero a delle discutibili politiche di controllo delle nascite per ridurre le popolazioni indigene e le minoranze etniche presenti sul proprio territorio. La Danimarca, infatti, non è stato il solo Paese ad accanirsi contro la popolazione inuit, ma lo stesso è avvenuto in Canada dove, sulla base di diversi rapporti governativi, così come riportato dal quotidiano Il Messaggero, oltre 150 mila bambini sono stati strappati alle proprie famiglie ed internati nelle famigerate scuole residenziali, di cui molte gestite da enti religiosi, dalla fine dell'Ottocento fino agli anni Novanta del secolo scorso.
Quanto successo in Danimarca non è un caso isolato - Come è noto, per scuole residenziali si intendevano una serie di collegi, per lo più gestite dalla Chiesa cattolica, nei quali venivano internati i bambini aborigeni con lo scopo di allontanarli dall'influenza famigliare di modo da privarli della propria identità culturale ed etnica. A causa dei maltrattamenti, e delle scarse condizioni igieniche, moltissimi di loro trovarono la morte in tenera età, e anche chi sopravvisse portò con sé dei traumi indelebili dovuti a quella terribile esperienza.
Anche in Canada, inoltre, è stata perseguita una politica di contraccezione forzata a danno delle donne inuit, e questo è avvenuto fino a pochissimi anni fa, tanto che nel 2019 un medico, così come riportato dal quotidiano romano, è stato sanzionato per aver sterilizzato forzatamente una donna indigena. Negli Stati Uniti, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, l'Indian Health Service sterilizzò migliaia di donne indigene senza alcun consenso informato, e in molti casi tali operazioni vennero eseguite anche su minori. Tra il 1970 e il 1976, il 25% delle donne native americane vennero sterilizzate sulla base della legge denominata Family Planning Services and Population Research Act, il cui scopo era proporre alle donne dei metodi contraccettivi ma che, nel caso delle native americane, si tramutò in interventi di sterilizzazione forzata per ridurre il numero della popolazione indigena.
Donne costrette a subire minacce - Secondo uno studio condotto nel 1974, molte native americane vennero costrette a firmare il consenso all'operazione perché minacciate di essere allontanate dai propri figli o sotto l'effetto di sedativi. Essendo la fertilità un valore considerato sacro dai popoli nativi, molte donne sterilizzate svilupparono, negli anni, svariati disturbi di natura psicologica che sfociarono, in moltissimi casi, nell'abuso di alcol e droghe.
In Perù, tra il 1996 e il 2001, per volontà dell'allora presidente Alberto Fujimori vennero sterilizzate, senza alcun consenso informato, oltre 270 mila donne, la maggior parte delle quali erano indigene provenienti da zone rurali povere. Così come accaduto negli Stati Uniti, anche in Perù venne adottata una politica di 'pianificazione famigliare' che, formalmente, aveva lo scopo di informare le donne sui vari sistemi contraccettivi, ma che, nel caso di migliaia di donne indigene di discendenza Quechua, si trasformò in un intervento forzato di chiusure delle tube.
La Storia purtroppo insegna che troppo spesso il corpo delle donne è stato strumentalizzato per fini politici o ideologici e che storie brutali come quelle sopra analizzate non sono mai troppo distanti da noi.