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Via gli abitanti, le case servono ai turisti. Lisbona e il dramma degli sfratti

L'esplosione del turismo e la speculazione immobiliare stanno causando un esodo forzato degli abitanti dai centri storici di Lisbona.
L'esplosione del turismo e la speculazione immobiliare stanno causando un esodo forzato degli abitanti dai centri storici di Lisbona.

Dalla finestra al quinto piano si vede il fiume Tago, largo come un mare, dietro ai profili dei capannoni e delle gru del porto. Il centro di Lisbona è oltre gli alti palazzi popolari, sembra lontanissimo ma è più vicino di quanto si creda. Gli affitti sono saliti alle stelle anche qui, molti lasciano questi condomini operai per zone più periferiche, magari di là dal grande fiume.

Giacomo SiniScorcio di una delle vie alte del quartiere Alfama, Portogallo. Gru, ristrutturazioni e nuove costruzioni ad uso turistico si fanno largo tra le case storiche del quartiere centrale di Lisbona. Lisbona, Portogallo.

L'espulsione dai centri storici - In Portogallo il salario minimo è di 760 euro mensili, e nel 2021 il 16,4% dei portoghesi viveva con meno di 554 euro al mese. Gli affitti di solito superano queste cifre. In molte città europee l'industria del turismo e la speculazione cacciano gli abitanti dai centri urbani sempre più desertificati. A Lisbona questo processo è avvenuto in modo particolarmente accelerato e violento, imponendosi in una realtà già marcata da profonde diseguaglianze. Il centro della città e alcuni quartieri storici, abitati da popolazione povera, nera, rom o immigrata, dove antichi edifici crollavano e le condizioni di vita erano molto precarie, in poco più di un decennio sono stati trasformati profondamente, e i loro abitanti sono stati in larga misura espulsi dalle zone in cui vivevano. Alojamento Local si legge accanto al portone di qualche edificio dai colori brillanti e dagli infissi nuovi. Sono le case per turisti o per gli affitti brevi.

Giacomo SiniIl “Frente Antiracista” in piazza durante un corteo in sostegno al popolo palestinese in centro a Lisbona. Lisbona, Portogallo.

Sfrattati pure i malati - «Sono Alcina Lourenço» La donna dallo sguardo duro interviene dal palco di fronte alla Assembleia Municipal di Lisbona. «Lo scorso giovedì - dice - sono stata sfrattata insieme a mio marito, malato oncologico, e mio padre di 89 anni di cui mi prendo cura. Ora dormiamo in un Alojamento Local affittato fino a sabato prossimo, grazie alla solidarietà di una vicina e alla raccolta fondi organizzata da Stop Despejos» - stop agli sfratti. Alcina spiega che non le hanno proposto le soluzioni alternative adeguate previste dalla legge. «Il nostro reddito mensile familiare è di 1200 euro - prosegue - a questa cifra è impossibile trovare un alloggio adeguato in tutta l'area metropolitana di Lisbona. Dove dormiremo a partire da sabato?». Dalla platea tre giovani gridano «Stop agli sfratti, diritto alla casa» distribuendo volantini ai presenti, sono le ragazze del collettivo Stop Despejos.

Via il domiciliato, spazio al turista - In Rua Arroios 37 il portone del palazzo è chiuso, all'interno le luci sono accese, solo un appartamento è buio e con le finestre serrate. Da quando aveva sei anni Alcina ha abitato qui insieme alla zia, titolare del contratto fissato a 30 euro al mese per motivi sociali. Alla morte della zia il proprietario si è rifiutato di stipulare un nuovo contratto e ha chiesto lo sfratto, nonostante Alcina avesse offerto fino a 700 euro. Questa è la storia di migliaia di altre persone. Abitanti sfrattati perché i proprietari vogliono affittare ai turisti o ai Digital nomads, oppure sono pronti a vendere a fondi immobiliari. Discendendo verso il Tago è evidente. Interi palazzi occupati solo al piano terra da ristoranti, negozi di lusso o grandi marchi, e completamente deserti ai piani superiori.

Giacomo SiniUna delle vie del centro di Lisbona con case abbandonate non distante da Piazza Martim Moniz.

Antonio Gori e Stop Despejos: la resistenza contro gli sfratti - A due passi dalla stazione metro di Intendente ha sede il centro sociale Sirigaita. Qui si riunisce Stop Despejos. «Quando sono arrivato a Lisbona nel 2011 non c'era lavoro ma era pieno di case che costavano pochissimo» Spiega Antonio Gori, membro di Stop Despejos. «Con la grave crisi del 2011 il governo cerca uno sbocco nell'apertura al turismo e ai fondi immobiliari, ma è dopo il 2012, con la liberalizzazione del mercato degli affitti, e con l'arrivo di Ryanair a Lisbona nel 2013, che la situazione inizia rapidamente a cambiare - racconta Antonio - Fino a sei o sette anni fa la lotta per la casa si concentrava sull'opposizione allo sgombero dei quartieri autocostruiti, per condizioni di vita degne nelle periferie, dal 2017 si è cercato di mettere al centro la lotta agli sfratti». È in quegli anni che nasce Stop Despejos. Antonio segnala che la situazione rischia di esplodere «L'80% dei portoghesi vive in una casa di proprietà, ma il 94% ha un mutuo con tassi variabili, ad ottobre la BCE ha deciso di non aumentare i tassi, ma chissà».

Giacomo SiniUna delle vie centrali del quartiere centrale di Mouraria, Lisbona. Sulla sinistra un intero edificio ristrutturato ed utilizzato per l’affitto di appartamenti di vacanza.

Gente lasciata senza casa per strada - La churrasqueira sta per chiudere e il cameriere in camicia bianca porta il caffè al tavolo alla fine del pranzo «Da una parte il centro è in mano a fondi immobiliari internazionali, che preferiscono tenere le case vuote» spiega Francesco Biagi. In effetti sono 45.000 le case sfitte nella sola area del Comune di Lisbona. «Dall'altra vediamo violente demolizioni dei quartieri autocostruiti come Talude, vicino all'aeroporto, dove gli abitanti, in gran parte rom, sono lasciati in genere senza soluzioni alternative degne». Altro esempio per Francesco è quello del Bairro Jamaica, dove l'ultimo sgombero c'è stato il 17 ottobre «Quel giorno la militarizzazione del quartiere è stata terribile e amici, familiari, persone solidali e giornalisti sono stati tenuti lontani dalla polizia. A circa il 30% degli abitanti di uno dei lotti sgomberati è stata negata la possibilità di cambiare alloggio, e diverse famiglie con bambini piccoli sono state lasciate senza casa per strada».

Il Bairro Jamaica nasce a metà anni Ottanta. Gli edifici, lasciati incompiuti dopo il fallimento dell'azienda costruttrice, furono occupati da persone senza casa. Una vicenda comune in quegli anni. Il processo di espansione della città di Lisbona, iniziato nei decenni precedenti, aveva infatti avuto un'accelerazione nel 1974, alla fine della dittatura, con il crollo dell'impero coloniale portoghese. Per far fronte alla mancanza di case nascevano ulteriori quartieri autocostruiti nelle periferie e venivano occupati edifici fatiscenti nel centro della capitale.

Giacomo SiniDurante una seduta pubblica dell’Assemblea Municipale di Lisbona, Teresa e Tamara dei gruppi Habita e Stop Despejos intonano degli slogan contro gli sfratti insieme ad Alcina. Ciò poco dopo la fine dell’intervento di Leo, militante di “Stop Despejos”.

Sgomberi violenti e insensibilità sociale: - «Gli sgomberi e le demolizioni di Jamaica seguono il "PER - Piano di Ricollocamento Speciale" che risale al 1993, ma al tempo poche famiglie furono ricollocate» spiega Ana Rita Alves, ricercatrice e attivista. Un nuovo programma di ricollocamento è stato avviato nel 2017. Le autorità motivano questi piani con l'insalubrità dei bairros, ma per Ana Rita è una giustificazione strumentale: «Nel tempo diviene chiaro che i programmi pubblici di ricollocamento rispondono più alla costruzione di un modello di città orientato alla finanziarizzazione e a un certo modello di sviluppo urbano che all'urgenza di migliorare la vita delle persone. Questo accade sia in centro che in periferia». Ana Rita cita come esempio il caso del Bairro Santa Filomena sgomberato tra il 2012 e il 2015, venduto per 47 milioni di euro, i cui abitanti sono stati sfrattati per liberare terreni su cui potrebbero essere costruite case per la classe media. In tutti questi casi «non erano gli abitanti a chiedere di lasciare i quartieri dove vivevano, ma era lo stato a volerli mandar via», chiarisce Ana Rita. «Tutti devono avere una casa degna, ma questa è esclusione - prosegue - I terreni su cui sorgono le case spesso sono di proprietà degli abitanti, che si trovano espropriati del terreno e sono ricollocati in case e quartieri che non hanno scelto, pagando un affitto che aumenta sempre di più». Tuttavia questi sgomberi, che gli attivisti hanno più volte denunciato come violenti, non provocano indignazione: «Vent'anni di razzismo e disumanizzazione - conclude - rendono impossibile per la società riconoscere gli abitanti di questi quartieri come vittime di violenza».

Giacomo SiniUn gruppo nutrito di tuk tuk che offrono giri turistici della città di Lisbona affolla la piazzetta del Miraduro da Senhora do Monte.

Il desiderio di rimanere a casa - Tra i palazzi popolari si apre una spianata. Del Bairro Jamaica a Seixal, oltre il Tago, non rimane che qualche muro e un palazzo sventrato ancora abitato. Aggirando una grande pozzanghera una vecchia auto si ferma «Hanno buttato giù tutto, rimangono solo questi due blocchi - indica sporgendosi dal finestrino l'uomo nero alla guida - a destra sono rimaste ancora delle famiglie con i bambini». In terra ci sono macerie, stracci, bambole in pezzi, schegge di mattoni e frammenti colorati di mattonelle. Da una parte un grande macchinario appoggia a terra, spento, il suo braccio demolitore, come in una tregua. «Devo dire che provano a dare delle soluzioni alternative, non è come una volta. Ma Jamaica è la nostra casa, vogliamo rimanere qui» dice con un sorriso.

C'è un'altalena vuota di fronte ai blocchi rimasti in piedi, sulla destra due casette basse, ad un solo piano, dove vivono due famiglie. Una donna sulla porta, di fronte a lei il vuoto lasciato dalle demolizioni. Sul tetto del palazzo ancora in piedi due uomini stendono i panni ad asciugare. Una donna spazza la soglia, due bambini sono seduti vicino all'ingresso. Sul muro bianco alla loro destra si staglia una scritta nera "Um lar para todos" - una casa per tutti.


Appendice 1

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Dario AntonelliPiazza Martim Moinz a Lisbona

Giacomo SiniScorcio di una delle vie alte del quartiere Alfama, Portogallo. Gru, ristrutturazioni e nuove costruzioni ad uso turistico si fanno largo tra le case storiche del quartiere centrale di Lisbona. Lisbona, Portogallo.

Giacomo SiniDurante una seduta pubblica dell’Assemblea Municipale di Lisbona, Teresa e Tamara dei gruppi Habita e Stop Despejos intonano degli slogan contro gli sfratti insieme ad Alcina. Ciò poco dopo la fine dell’intervento di Leo, militante di “Stop Despejos”.

Giacomo SiniIl “Frente Antiracista” in piazza durante un corteo in sostegno al popolo palestinese in centro a Lisbona. Lisbona, Portogallo.

Giacomo SiniUna delle vie del centro di Lisbona con case abbandonate non distante da Piazza Martim Moniz.

Giacomo SiniLargo dos Trigueiros nel quartiere centrale di Mouraria, Lisbona

Giacomo SiniUna delle vie centrali del quartiere centrale di Mouraria, Lisbona. Sulla sinistra un intero edificio ristrutturato ed utilizzato per l’affitto di appartamenti di vacanza.

Giacomo SiniUn gruppo nutrito di tuk tuk che offrono giri turistici della città di Lisbona affolla la piazzetta del Miraduro da Senhora do Monte.

Giacomo SiniUn negozio di articoli nepalesi all’ingresso di Piazza Martim Muniz. Lisbona, Portogallo

Giacomo SiniUno scorcio dell’intersezione tra Rua da Graça e Rua Natalia Correia a LIsboa. Sulla sinistra alcuni appartamenti abbandonati e murati. Da Rua da Graça ha inizio il quartiere centrale di “A Graça”. Lisbona, Portogallo

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