Interventi che hanno quasi lo stesso esito, che vengano fatti davvero o meno. Il potere della suggestione entra in sala operatoria.
Il termine “placebo” deriva dalla forma futura del verbo latino piacere, e significa “io piacerò”.
In ambito scientifico, il placebo è la sostanza utilizzata durante i test clinici per valutare l'efficacia del farmaco oggetto di studio e, di conseguenza, con il termine 'effetto placebo' si indica proprio il benessere generato dall'assunzione di una sostanza che, di per sé, non ha alcuna valenza farmacologica.
Curati dalla convinzione
Il miglioramento delle condizioni del paziente, indotte proprio da tale effetto, deriva, quindi, dal mero atteggiamento del paziente che, convinto di aver assunto un farmaco utile a curare la propria patologia, ritiene di ricavarne degli effetti positivi per la propria salute. Inserito all'interno del New Medical Dictionary, nella seconda metà dell'Ottocento, il termine indicava una medicina ritenuta grossolana, mentre nel Foster Dictionary del 1894 veniva inteso, in senso più moderno, come una sostanza farmacologicamente non attiva.
Nel 1799, il medico inglese John Haygarth testò per la prima volta l'esistenza dell'effetto placebo, confrontando gli effetti curativi dei cosiddetti 'Perkins' Tractors', ossia delle bacchette in metallo ritenuti in grado di “attirare” fuori la malattia da curare. Haygarth trattò due distinti gruppi di pazienti con delle bacchette in legno e in metallo, e osservò che i benefici denunciati dalle persone prescindevano dal materiale della bacchetta di Perkins.
Da allora, la scienza e la medicina hanno fatto passi da gigante ma, ancora ai nostri giorni, si discute sulla reale efficacia dell'effetto placebo, specialmente in patologie che hanno anche una componente psicosomatica, quale l'insonnia o l'emicrania.
Nella percezione comune, quindi, l'effetto placebo è associato all'assunzione di una sostanza non farmacologica che, al pari di una medicina, produce certificabili effetti benefici nel paziente ma, per quanto molto meno nota, esiste anche una chirurgia placebo, ossia un intervento chirurgico nel quale viene omesso il passaggio pensato per essere terapeuticamente benefico, includendo solo l'anestesia e l'eventuale incisione.
«Il dolore è come l'umore»
In un articolo del Guardian del 2017, il professore di chirurgia dell'Università di Oxford Andy Carr dichiarava che «ci sono interventi chirurgici di routine, dove i risultati sono soggettivamente valutabili, come il dolore e la rigidità, per i quali ci sono buone prove che si trattino poco più del placebo».
Carr e i suoi colleghi hanno esaminato oltre una cinquantina di studi inerenti degli interventi chirurgici poco invasivi, quali l'artroscopia per il ginocchio artritico, il palloncino gastrico per l'obesità o la chirurgia laser per l'angina, e «hanno scoperto che, per la metà di tali operazioni, c'erano pochi segnali che fossero migliori del placebo».
Secondo Carr «la chirurgia si è evoluta intorno al Medioevo, nelle guerre, e riguarda il salvataggio di vite umane (…) è molto utile per le operazioni salvavita, ma quando affronti una operazione meno difficile, come per un dolore al ginocchio o il mal di schiena, introduci la possibilità che un elemento di ciò che stai offendo sia l'effetto placebo. Il dolore è estremamente modificabile, e influenzato da cose come l'umore, il contesto, l'aspettativa e la convinzione del paziente».
L'effetto placebo non deve essere però inteso come un elemento capace di cambiare il quadro clinico di una persona per pura magia, ma agisce grazie alla permeabilità degli organi di senso dell'essere umano, e la capacità dell'essere umano di farsi influenzare da una serie di fattori esterni.
Il suono del bisturi, la vista dell'abito
Per Ted Kaptchuck, ricercatore di placebo e professore di medicina all'Harvard Medical School, «sappiamo che i placebo possono far rilasciare al tuo cervello una serie di neurotrasmettitori, come endorfine, cannabinoidi o dopamina. Sappiamo anche quanto la relazione tra medico e paziente sia un fattore importante, capace di influenzare il modo in cui i pazienti si sentono dopo il loro trattamento medico, e sappiamo anche che i pazienti rispondono ai rituali della medicina», quali l'abito chirurgico, l'anestetico, il suono degli strumenti chirurgici o le parole rassicuranti sentite durante il periodo di cura.
Questi sono tutti fattori capaci, secondo un gran numero di esperti, di convincere la persona di aver ricevuto le cure giuste per guarire dalla propria patologia. Si è occupato di recente della chirurgia placebo anche Wired che ha analizzato le implicazioni pratiche, ed etiche, di tale tipo di chirurgia che si rivela essere molto utile al fine di valutare l'effettiva efficacia delle procedure standard. Al pari di qualsiasi altro effetto placebo, anche quello in ambito chirurgico si è dimostrato molto efficace e, come riferito da Wired, «più del 50% dei trial si conclude con identici miglioramenti nei pazienti operati, e in quelli sottoposti a chirurgia placebo».
Ne è un esempio l'intervento chirurgico richiesto per curare l'angina pectoris, ossia quella condizione causata dalla riduzione dell'afflusso del sangue al cuore. Nel 1959 e nel 1960, due team di chirurgi statunitensi decisero di verificare la reale efficacia dell'operazione chirurgica fino ad allora praticata, detta operazione di Fieschi, che consisteva nel legare due arterie insieme nella convinzione che ciò aiutasse la vascolarizzazione del tessuto cardiaco, procedendo con una operazione chirurgica placebo.
Le due equipe mediche operarono i propri volontari applicando a una metà il metodo Fieschi, mentre all'altra metà fu fatta una semplice incisione sul petto senza che venissero in alcun modo toccate le arterie. I risultati dimostrarono che la procedura chirurgica consueta fosse efficace per un mero effetto placebo: se era vero, infatti, che il 67% pazienti operati con il metodo Fieschi denunciavano una significativa riduzione dei sintomi, lo stesso accadeva all'87% dei pazienti sottoposti a chirurgia placebo.
Interventi superflui?
Un discorso simile vale anche per la già citata artroscopia, un intervento chirurgico che si effettua utilizzando delle sonde munite di fibre ottiche, e che dovrebbe servire per rimuovere le parti di cartilagine dell'articolazione del ginocchio che risultano usurate.
Sempre su Wired si cita, invece, uno studio del 2022 che dimostrerebbe che l'effetto benefico di tale tipo di operazione chirurgica sarebbe solo un placebo, comparandola «ad un semplice lavaggio endoscopico dell'articolazione». Secondo quanto studiato dai ricercatori, infatti, la percentuale di pazienti che sperimentava una riduzione significativa del dolore era identico, sia che fossero stati sottoposti alla tecnica classica sia alla chirurgia placebo, tesa a simulare tutti i passaggi della procedura standard, compreso il suono della strumentazione utilizzata.
Un medesimo approccio si è avuto anche per la vertebroplastica, un intervento chirurgico volta a curare le fratture vertebrali da compressione iniettando del cemento osseo che si solidifica in poco tempo. Nel 2004, un radiologo della Mayo Clinic, negli Stati Uniti, aveva osservato che il tasso di soddisfazione per la riduzione del dolore dopo essersi sottoposti a tale trattamento chirurgico era identico anche fra i pazienti il cui intervento, per una serie di motivi, non era andato a buon fine.
Reclutati 131 volontari, il medico trattò una metà di loro con una vertebroplastica tradizionale mentre all'altra metà dei pazienti venne solo schiacciata la schiena con forza, dopo aver avuto modo comunque di annusare, prima di essere anestetizzati, il tipico odore emanato dal cemento osseo. I risultati furono abbastanza chiari, e anche se vi era una percentuale di successo maggiore tra i pazienti sottoposti alla vertebroplastica , circa il 67% di loro, anche il 48% di coloro che erano stati sottoposti alla chirurgia placebo si dicevano soddisfatti del risultato ottenuto, motivo per cui si ritenne che l'efficacia dei due procedimenti fosse sostanzialmente identica.
Per il professor Jeremy Howick, direttore del Stoneygate Centre for Emphatic Healtcare, presso l'Università di Leicester, «i placebo sono i trattamenti più utilizzati nella storia della medicina e migliaia di studi dimostrano che possono essere efficaci».
Nel suo libro, intitolato 'The Power of Placebos: How The Science of Placebo e Nocebos Can Improve Health Care', il professore britannico fa riferimento a oltre venti anni di ricerche, e i dati di oltre trecento mila pazienti, per stimolare un nuovo approccio del mondo medico verso «il potenziale non sfruttato dei placebo (…) e colmare il divario tra il mondo accademico e la cura del paziente nel mondo reale». Andrebbe quindi implementato lo studio dell'effetto placebo, alla luce delle reali e benefiche applicazioni che si sono osservate nel tempo nella cura di determinate patologie cliniche.