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L'eredità «nascosta in bella vista» dei miliardari tedeschi “benedetti” dal nazismo

Le imprese, e gli imprenditori germanici arricchitisi grazie alle simpatie del Reich. Da Bmw fino a Volkswagen e Porsche.
Le imprese, e gli imprenditori germanici arricchitisi grazie alle simpatie del Reich. Da Bmw fino a Volkswagen e Porsche.

Quando è uscita la notizia che il patrimonio dell'uomo più ricco in Germania affonda le radici nella persecuzione degli ebrei da parte del regime nazista, in molti hanno gridato allo scandalo.

Mettere insieme l'idea di un patrimonio miliardario con la tragedia della Shoah sembra qualcosa di inaccettabile. Eppure, non sono poche le famiglie di miliardari tedeschi che devono la propria fortuna sia al regime nazista che al dramma del genocidio del popolo ebraico.

Nel caso specifico, l'87enne Klaus-Michael Kühne, presidente onorario della Kühne+Nagel, un'azienda leader dei trasporti e della logistica del valore di oltre quaranta miliardi di dollari, non ha mai rilasciato alcuna dichiarazione in merito, anche quando una approfondita inchiesta di Vanity Fair ha svelato i dettagli di ciò che si è sempre saputo.

ImagoKlaus-Michael Kühne

Nel 1933 il padre del miliardario, Alfred Kühne, e suo fratello Werner decisero di estromettere un socio dell'azienda, l'ebreo Aldolf Maas, senza riconoscergli alcuna liquidazione o buonuscita. Nel periodo bellico, gli affari legati al settore dei trasporti aumentarono enormemente, rendendo i fratelli Kühne immensamente ricchi, a danno di colui che, a causa delle leggi razziali, era stato privato dalla propria fetta.

L'infamia della M-Aktion - I Kühne, inoltre, sono indicati come coloro che organizzarono la cosiddetta "Möbelaktion", nota anche come M-Aktion, ossia una organizzazione di saccheggio nazista che si appropriava e trasportava i mobili sequestrati alle migliaia di famiglie ebree deportate nei campi di concentramento.

Come scritto da Vanity Fair «tra il 1942 e il 1944 quasi 70mila case appartenenti agli ebrei nei Paesi Bassi, Francia, Belgio e Lussemburgo furono sistematicamente saccheggiate dopo che i loro abitanti erano stati deportati in treno nei ghetti o nei campi di sterminio». Frank Bajohr, uno storico di Monaco, ha affermato che i Kühne si interessavano anche di rifornire di Zyklon B le camere a gas dei lager nazisti.

Imago/Echard StengelLa recetpion della sede di Kühne + Nagel a Brema, con i ritratti dei fondatori.

Negli anni successivi al suo ingresso nell'azienda di famiglia, Klaus-Michael Kühne pagò, come gli altri uomini d'affari tedeschi, l'indennità riconosciuta dal governo tedesco alle famiglie ebree e commissionò anche una indagine volta a ricostruire il passato della propria famiglia, per poi tuttavia disconoscerne le conclusioni e affermare che «è bene che la polvere della storia si depositi sulle cose».

Nel 2023 la tomba della famiglia Kühne, sita nel cimitero monumentale di Ohlsdorf ad Amburgo, è stata vandalizzata con la scritta "Nazi Kapital", ossia capitale nazista, mentre sulla lapide del padre Alfred compariva la scritta "M-Aktion", in riferimento ai saccheggi perpetrati anche dai Kühne.

Non è un caso isolato - Come emerge dall'inchiesta del settimanale statunitense sopracitato, altre grandi aziende, come la Deutsche Bank, la Volkswagen e la Bertelsmann hanno dovuto aprire i propri archivi storici per far luce sulle proprie lucrose collaborazioni con il regime nazista.

Gli studi commissionati hanno rivelato che la Deutsche Bank ha favorito l'espropriazione di centinaia di aziende di proprietà di persone ebree e ha finanziato la costruzione di Auschwitz, mentre nelle fabbriche dalla Volkwagen «migliaia di decine di uomini e donne sono stati utilizzati come lavoratori forzati e schiavi per la produzione di armi».

Con riguardo alla Bertelsmann, una multinazionale tedesca nel settore dell'editoria e dei mass media, è stato ricordato il ruolo attivo nella pubblicazione di letteratura antisemita e nello sfruttamento della mano d'opera di lavoratori ebrei, tenuti in regime di schiavitù.

ImagoFerdinand Porsche

Ferdinand Porsche - Dello spinoso legame tra patrimoni miliardari e il passato regime nazista se ne è occupato anche lo scrittore e giornalista olandese David de Jong, che ha pubblicato il libro "Nazimiliardari" nel 2022, un'indagine storica sui rapporti mai del tutto chiariti tra le più ricche dinastie imprenditoriali tedesche e il nazismo.

Dal libro emerge che molti imprenditori di successo abbiano inizialmente accolto l'ascesa politica di Adolf Hitler con molto scetticismo, per poi ricredersi dopo aver capito che con il regime si potevano concludere affari molto redditizi.

Ferdinand Porsche, fondatore dell'omonima casa automobilistica, convinse il Führer a produrre il famoso Maggiolino Volkswagen, mentre suo figlio Ferry divenne un ufficiale delle SS, cosa che negò fino alla fine dei suoi giorni, e «progettò la prima auto sportiva Porsche circondandosi di ex membri delle SS negli anni '50 e '60».

ImagoFriedrich Flick e padre (nel ritratto)

Friedrich Flick - Non molto diversa è la storia di Friedrich Flick, magnate nel settore dell'acciaio e del carbone, oltre che capostipite della ricca famiglia di industriali e membro fondatore del Partito nazionalsocialista. Convinto sostenitore del nazismo, fu imputato assieme ad atri dirigenti del gruppo industriale di sua proprietà in uno dei processi secondari di Norimberga con l'accusa di frode e riduzione in stato di schiavitù dei propri lavoratori.

L'imprenditore fu inoltre accusato di aver fatto parte del club elitario "Il circolo degli amici di Himmler" e di aver sostenuto attivamente il Partito nazista. Nonostante la condanna a sette anni di reclusione, negli anni '50 l'imprenditore tornò rapidamente a far carriera e divenne uno degli uomini più ricchi nella Germania Occidentale. Flick fu insignito anche di varie onorificenze, come la Gran Croce dell'Ordine al merito di Germania e l'Ordine al merito bavarese, e divenne membro onorario del senato accademico dell'Università tecnica di Berlino.

Bundesarchiv, Bild 183-B03534 / Dorneth / CC-BY-SA 3.0Günther Quandt

Günther Quandt - Se queste storie suscitano sgomento e indignazione, ancora più rappresentativa è quella che riguarda Günther Quandt, fondatore dell'impero industriale comprendente la casa automobilistica Bmw, e di suo figlio Herbert, entrambi membri del Partito nazista.

Nel suo ruolo di responsabile delle fabbriche per la produzione delle automobili a Berlino, decise di impiegare dei lavoratori ebrei, tenendoli in stato di schiavitù. Sfruttò inoltre il lavoro di moltissime lavoratrici provenienti dai campi di concentramento.

Come scritto nel libro di de Jong, lo stesso fece costruire un campo di concentramento nella Polonia occupata dai nazisti. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale fu arrestato con l'accusa di collaborazionismo, ma riuscì a essere assolto, affermando «di essere stato costretto a unirsi al Partito nazista da Goebbels» che, tra le altre cose, divenne anche il secondo marito della sua ex moglie Magda Friedländer.

Dopo la guerra il figlio Herbert divenne azionista di maggioranza della Bmw Group e i suoi eredi possono vantare, attualmente, un patrimonio netto di circa 38 miliardi di dollari. Nel 2011, la famiglia Quandt ha commissionato uno studio per far luce sul controverso passato della propria famiglia anche se, di fatto, non c'è mai stata una presa di distanza dall'operato dei fondatori dell'impresa.

Secondo lo scrittore, il moto collettivo di coscienza che ha fatto prendere consapevolezza di tanti episodi oscuri «sta in qualche modo aggirando molti dei leggendari uomini d'affari tedeschi e la loro oscura eredità rimane nascosta in bella vista». L'augurio dello scrittore, che non si può non condividere, è quello che «le persone diventino più consapevoli del fatto che i soldi che spendono per questi prodotti potrebbero arricchire aziende che portano il nome di criminali di guerra nazisti».


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ImagoKlaus-Michael Kühne

ImagoFerdinand Porsche

ImagoFriedrich Flick e padre (nel ritratto)

Bundesarchiv, Bild 183-B03534 / Dorneth / CC-BY-SA 3.0Günther Quandt

Imago/Echard StengelLa recetpion della sede di Kühne + Nagel a Brema, con i ritratti dei fondatori.

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