Sammy, Adalia Rose, Sam e Zoey. Avevano in comune la progeria: la malattia di chi nasce vecchio. E ognuno di loro amava la vita.
«Io non cambierei niente della mia vita. Se dovessi rinascere, rinascerei con la progeria. Perché io le mie esperienze le ho fatte in questa vita. Proprio grazie alla progeria sono diventato ricercatore». Sono parole di Sammy Basso che, nel corso di una intervista rilasciata a Fanpage, aveva anche dichiarato che «paradossalmente, se non ci fosse il buio noi non sapremmo cos'è la luce». Un messaggio di ottimismo e positività, sentimenti di cui Sammy si faceva portavoce nella sua vita privata e nel suo lavoro di biologo e ricercatore scientifico.
Un eroe silenzioso della scienza - Affetto dalla sindrome di progeria, banalmente riassunta come la malattia di chi nasce vecchio, aveva speso la sua vita per far conoscere, studiare e far progredire la ricerca scientifica in tale ambito, lasciando poi scritto che, alla sua morte, il suo corpo venisse donato per la ricerca scientifica. La morte, purtroppo, lo ha colto a una festa di matrimonio di amici lo scorso 5 ottobre, e i famigliari si stanno attivando per esaudire il suo desiderio, interpellando proprio quell'Università di Padova, dove si era laureato in Scienze Naturali alcuni anni fa. «Piuttosto che concentrarmi sui limiti che la progeria impone, preferisco pensare alle tante cose in cui posso fare la differenza», aveva dichiarato Basso che ha speso la sua intera vita a dedicarsi a ciò che amava fare: lo studio. Nel 2021 ha conseguito una specializzazione in Molecular Biology. E amava tanto anche viaggiare: aveva realizzato un documentario per la National Geographic basato su un suo viaggio negli States. Vi era poi molto altro, gli amici, la famiglia, la voglia di divertirsi e stare in compagnia, e un carattere solare e propositivo che oggi viene rimpianto da chi lo ha conosciuto di persona e da tutti coloro che lo hanno seguito nei suoi numerosi interventi pubblici.
La malattia di chi nasce vecchio - La sindrome di progeria di Hutchinson-Gilford è una rarissima condizione genetica, si stimano poco più di centocinquanta casi al mondo, caratterizzata dalla comparsa di un invecchiamento accelerato nei bambini. Come spiegato, infatti, sul sito, Progeria Research Foundation, il nome deriva dal greco e significa "prematuramente vecchio". La causa di tale sindrome è da ricercarsi in una mutazione genetica del gene Lmna e si genera durante la formazione degli spermatozoi. Tale gene, che produce le lamine A e C, proteine che si trovano sotto la membrana nucleare, è responsabile della formazione di una sorta di reticolo strutturale dove trovano ancoraggio vari tipi di proteine della membrana stessa e i cromosomi. In presenza di tale mutazione genetica, invece, la lamina A diviene tossica per le cellule, impedendo la formazione di quel reticolo necessario per la membrana nucleare e limitando la capacità della cellula di dividersi.
Calvi e con le rughe ma bambini - I bambini con progeria, che viene diagnosticata in genere entro i primi due anni di vita, presentano uno sviluppo fisico molto limitato, alopecia, un viso piccolo e rugoso. Molto più importante rispetto all'aspetto estetico è il processo di invecchiamento precoce che questa sindrome comporta, motivo per cui persone molto giovani si trovano a dover affrontare le malattie tipiche delle persone anziane, come l'arteriosclerosi, l'insufficienza renale e gravi problemi cardiovascolari. Si assiste inoltre, alla perdita di grasso corporeo e di massa muscolare, e una accentuata rigidità articolare. Come scritto sul sito dell'Osservatorio delle malattie rare, «entro i quindici anni d'età, i bambini con progeria devono iniziare una terapia preventiva contro il rischio di ictus e infarto che durerà tutta la vita». Sono «bambini ma si ritrovano prigionieri in un corpo vecchio», con tutte le insidie e le gravi problematiche del caso. Eppure, come visto dall'esempio mirabile di Sammy Basso, tale condizione può essere vissuta come non limitante e sono tante le storie di persone con progeria nel mondo che testimoniano ancora una volta che la malattia non debba definire la persona che ne è affetta.
Il look sbarazzino di Adalia Rose Williams - Quando il 12 gennaio dello scorso anno è morta, a soli quindici anni, Adalia Rose Williams la famiglia della giovane youtuber ha ricevuto migliaia di messaggi di cordoglio da parte di tutti coloro che si erano appassionati ai suoi video. Adalia era affetta da progeria, sindrome che le era stata diagnosticata a tre mesi di vita, e aveva deciso di condividere la propria quotidianità con tantissimi follower ai quali mostrava i suoi look sbarazzini e i giri sulle sue auto giocattolo. A conquistare il cuore di tante persone è stato, come scritto anche dal suo amico e stilista Michael Costello, «l'atteggiamento positivo nonostante le carte che le erano state date».
Sam che si circondava di belle persone - Sampson Gordon Berns, meglio noto semplicemente come Sam, invece, morto nel 2014 all'età di diciassette anni, era stato il protagonista del documentario della HBO films "Life according to Sam", ossia la vita secondo Sam, proiettato al Sundace Film Festival nel gennaio 2013 e vincitore anche di un Emmy Award. Il documentario mostrava la vita di Sam e dei suoi genitori, oltre che di altri bambini con progeria, e aveva avuto un notevole impatto sull'opinione pubblica nella conoscenza di questa sindrome. Proprio per tale motivo la famiglia di Sam, i dottori Leslie Gordon e Scott Berns, insieme alla zia Audrey Gordon, avevano dato vita alla Progeria Research Foundation, raccogliendo milioni di dollari da destinarsi alla ricerca. Dotato di un carattere forte e propositivo, appassionato di sport e fumetti, aveva dichiarato che, pur sapendo di avere molti ostacoli da superare, «non voglio che le persone si sentano male per me. Io non spreco energie per farlo. Mi circondo delle persone che vogliono stare con me e continuo ad andare avanti». Anche nei sogni di Sam Berns vi era quello di poter diventare un biologo molecolare per poter contribuire alla scoperta di una cura preventiva per la progeria, e tale obiettivo, pur nella tragicità della sua morte, viene portato tutt'ora avanti dalla fondazione istituita dalla sua famiglia. I suoi messaggi, e i suoi discorsi pubblici, condivisi anche sui social network continuano a ricevere milioni di visualizzazioni.
Zoey Penny Verona, morta a 13 anni - Lo scorso agosto, Zoey Penny Verona, adolescente del New Jersey negli Stati Uniti, ha compiuto tredici anni ma è morta il mese successivo al suo compleanno per le complicanze legate alla progeria che le era stata diagnosticata quando era molto piccola. Zoey aveva preso parte al documentario "Life according to Sam" e, come Berns, si era sottoposte a cure a base di Ionafarnib, a oggi, come detto dalla Prf, «l'unico trattamento farmacologico noto per i bambini con progeria», avendo ricevuto l'approvazione della Food and Drug Administration statunitense nel 2020. Studiato, inizialmente, per i malati oncologici, agli inizi degli anni Duemila, si erano osservati anche dei risultati molto incoraggianti per le persone affette da tale sindrome. In uno studio pubblicato nel 2012, era stato dimostrato un significativo miglioramento in diverse aree compromesse dalla progeria, compreso il sistema cardiovascolare. Nel 2014, poi, un ulteriore studio aveva dimostrato che le cure a base di Ionafarnib aumentava la prospettiva di vita delle persone interessate dalla terapia di almeno 1,6 anni.
Sul sito della fondazione, alla sezione "Meet the Kids" è possibile conoscere le storie di tanti altre ragazze e ragazzi che convivono, o hanno convissuto, con la progeria e ne hanno fatto uno strumento per veicolare un messaggio di ottimismo e positività. Non si tratta di raccontarsi la favola che la vita per queste persone sia in discesa, tutt'altro, ma leggere queste storie è un modo per aprirsi a delle esperienze di vita che pur, tra le evidenti e innegabili difficoltà, hanno da insegnare a tutti cosa sia la vera voglia di vivere. Dall'esperienza di vita di chi ha consapevolezza di avere un destino segnato, traspare la ferma volontà di dedicarsi a ciò che si ama e sia migliorativo per l'esistenza propria e di tante altre persone. Non è un caso che i famigliari di questi ragazzi abbiano creato delle fondazioni o dato il via a iniziative benefiche per incentivare la ricerca scientifica su questo tipo di condizione genetica, proprio ispirati dalla forza manifestata da coloro che l'hanno vissuta sulla propria pelle.