L'attivista e oppositore di Putin, è morto in carcere tra misteri e dubbi, il suo diario postumo Patriot rivela riflessioni sulla sua vita
Aleksej Navalny è stato un attivista politico, un blogger, ed uno dei più strenui oppositori del regime di Vladimir Putin. Sopravvissuto, nel 2020, ad un tentativo di avvelenamento con il Novičok, un potente gas nervino usato in svariate occasioni per uccidere gli oppositori dello zar bianco, decise di tornare volontariamente in Russia nel 2021. Qui Navalny venne sottoposto ad una serie quasi infinita di processi, e imprigionato, prima in un carcere di massima sicurezza poco distante da Mosca, e poi trasferito, nel 2023, nella colonia penale Ik-3, nota come 'Lupo Polare', a Kharp, uno dei luoghi più remoti della Russia, sita a quaranta miglia a nord del Circolo Polare Artico.
Una morte, tanti dubbi - Il 16 febbraio di quest'anno è stata data notizia della sua morte, ufficialmente “per una aritmia” mentre, secondo fonti ufficiose, riprese da diverse testate giornalistiche, l'uomo è stato volontariamente ucciso. Secondo il Times, Navalny è stato ammazzato da un sicario di Putin con la tecnica, in uso presso il Kgb, del 'pugno unico', ossia un colpo molto forte e preciso, assestato all'altezza del cuore, che ne avrebbe provocato un arresto cardiaco, anche in considerazione delle condizioni di congelamento a cui l'attivista era stato esposto poco prima. Secondo l'Insider, invece, Navalny sarebbe morto per avvelenamento e il referto medico, nel quale si faceva riferimento a “fortissimi dolori allo stomaco e conati di vomito”, sarebbe stato prontamente modificato per avvalorare la tesi dell'arresto cardiaco.
Il diario - La sua morte ha lasciato un vuoto enorme nell'ambito dell'attivismo politico in Russia, dove qualsiasi protesta contro il governo viene punita con l'arresto e la carcerazione, e ha privato i suoi sostenitori di un leader controverso ma carismatico, capace di testimoniare con la propria vita, e la propria morte, il desiderio di una Russia libera e democratica. In questi giorni, dopo molto silenzio, la sua voce, però, è tornata a farsi sentire grazie alla pubblicazione di numerosi stralci, ad opera del New Yorker, del diario tenuto dall'attivista durante il suo periodo di carcerazione in Russia, che è appena divenuto un libro con il titolo 'Patriot'.
Collezionista di processi - Non si tratta di una agiografia, ma delle riflessioni, pungenti, ironiche, paradossalmente ottimistiche ma anche tragiche, di un uomo che si paragona ad un “pendolo che oscilla all'infinito. Oggi sei coraggioso. Domani sembra che ti abbiano spaventato un po'. E dopodomani ti hanno spaventato tanto che disperi e diventi di nuovo coraggioso”. D'altra parte, come scrive Navalny, “così come alcune persone collezionano francobolli, o monete, io ho una collezione crescente di incredibili processi giudiziari. Sono stato processato nella stazione di polizia di Khimki. Sono stato processato in una colonia penale standard, e lo hanno chiamato un 'processo aperto'. E ora mi stanno processando a porte chiuse in una colonia penale di massima sicurezza”.
Non avere paura di nulla - Eppure, la carcerazione non era riuscita a fiaccarlo nello spirito tanto che, in una pagina datata 17 gennaio 2022, Navalny continua a fare appello al suo moto “non avere paura di nulla” affermando che l'unica cosa da temere “è permettere che la nostra patria sia saccheggiata da una banda di bugiardi, ladri e ipocriti”. In tutte le pagine del diario vi è, da parte di Navalny, un'estrema consapevolezza della propria sorte. Molti hanno parlato di una sorta di preveggenza nel vedersi morto in carcere, e l'ombra della morte, come è logico che sia in una condizione simile, aleggia in tutti i suoi iscritti.
La consapevolezza di morire - L'attivista scrive spesso di essere cosciente che sarebbe stato “imprigionato a vita, o per il resto della mia vita o fino alla fine della vita di questo regime”, e nella pagine successive tale concetto si ripete molte volte. “Passerò il resto della mia vita in prigione e morirò qui. Non ci sarà nessuno a cui dire addio. Oppure, mentre sono ancora in prigione, le persone che conosco fuori moriranno e non sarò in gradi di dire addio a loro” scrive Navalny, in una sorta di testamento spirituale nel quale arriva a dire che “la cosa importante non è tormentarsi con rabbia, odio, fantasie di vendetta, ma muoversi istantaneamente all'accettazione. Può essere difficile”.
Nelle mani di Gesù - L'uomo arriva anche a predire il fatto che, dopo la sua morte in carcere, il suo corpo “sarà sepolto in una tomba non contrassegnata”, ed in effetti la realtà rischiava di non discostarsi molto da quanto temuto. Il corpo senza vita del dissidente, infatti, è stato restituito alla madre Liudmjla Navalnaya solo a condizione che non celebrasse un funerale pubblico, pena il sotterramento del cadavere nel cortile della colonia penale di massima sicurezza nel quale è deceduto. Un simile atteggiamento da parte delle autorità russe aveva suscitato molto clamore, a livello internazionale e nella stessa Russia dove, oltre ai famigliari e ai sostenitori di Navalny, si era mobilitata anche la Chiesa ortodossa, e diverse centinaia di preti avevano richiesto pubblicamente che le spoglie fossero restituite alla famiglia. D'altra parte, nel suo diario, così come in altre occasioni, il dissidente ha dichiarato di trarre molta forza dagli insegnamenti di Gesù, uno “che si è sacrificato per gli altri, pagando il prezzo per i loro errori”. Per tale motivo, Navalny scrive di “cercare il Regno di Dio e la Sua giustizia, e lasciare che sia il buon vecchio Gesù e il resto della sua famiglia a occuparsi di tutto il resto. Non mi deluderanno e risolveranno i miei mal di testa (…) si prenderanno i pugni per me”.
La prigione, come quella di Putin - Numerosi i riferimenti a Putin ed al suo regime dittatoriale, citati non con acrimonia scomposta ma in articolate disamine politiche. e persino in un sorprendente ed ironico parallelismo. L'attivista, infatti, paragona la propria prigione, “con una recinzione alta sei metri” ai palazzi in cui vivono Putin e Medvedev. “Putin-scrive Navalny-vive e lavora in un posto del genere, a Novo-Ogaryovo o Sochi. E io vivo in un posto simile. Putin lascia che i ministri siano nella sala d'attesa per sei ore, e i miei avvocati devono aspettare cinque o sei ore per vedermi. Ho un altoparlante che suona canzoni come 'Glory to the F.S.B' (il Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa) e penso che anche Putin ne abbia uno”. Qui però finiscono le similitudini perché, mentre Putin “si sveglia alle dieci del mattino e nuota in piscina”, per Navalny”le dieci sono l'ora del pranzo perché il lavoro inizia alle sei e mezza del mattino”, in un posto dove le temperature possono scendere anche di trenta gradi sotto lo zero.
«La Russia sarà libera» - Abbondano le lucide analisi sulla situazione politica in Russia che, a dispetto di chi vorrebbe sentirsi dire che le cose cambieranno presto, è destinata a rimanere uguale, perché i regimi autocratici “sono molto resilienti (…) L'U.R.S.S. è durato settant'anni. I Regimi repressivi in Corea del Nord e Cuba sopravvivono fino ad oggi. La Cina non cede. La verità è che sottovalutiamo quanto siano resilienti le autocrazie del mondo moderno, protette dall'invasione esterna da parte delle Nazioni Unite, dal diritto internazionale, dai diritti di sovranità. La stessa Russia è protetta dalla sua adesione all'Onu, Consiglio di sicurezza e dalle sue armi nucleari”. Sarebbe quindi consolatorio, ma ingenuo, pensare che il regime di Putin possa cadere dall'oggi al domani, ma l'accettazione della verità non deve scoraggiare dall'agire coloro che vogliono salvare la Russia, “la nostra miserabile ed esausta madrepatria. Saccheggiata, ferita e trascinata in una guerra aggressiva e trasformata in una prigione gestita dai mascalzoni più senza scrupoli e ingannevoli“. Le persone interessate a cambiare questo stato di cose, infatti, per Navalny, sono molto più numerose “dei giudici corrotti, propagandisti bugiardi e truffatori del Cremlino”. Può sembrare che prevalga il pessimismo: i regimi dittatoriali sono resilienti, e si autogenerano, gli oppositori vengono fiaccati nel corpo e nello spirito da inumani regimi di detenzione, oppure eliminati fisicamente, e i cittadini vengono ridotti al silenzio dalla paura di venire arrestati o perdere il lavoro. Eppure, il messaggio ultimo è di speranza,”credo che l'oscurità alla fine si arrenderà. Cercherò di fare ciò che è giusto-scrive l'attivista-ed esorterò tutti a non abbandonare la speranza. La Russia sarà libera”.