Arriva dall'Oriente la nuova moda di organizzare un “commiato” celebrativo quando si è ancora in vita (ma anche per combattere i suicidi).
«Spero che i funerali da vivi diventino più comuni. Ti aiutano a capire cosa è importante per te, perché sei qui e come puoi amare meglio. È stata una delle esperienze più significative della mia vita», ha raccontato al Guardian Michael, quarantasettenne britannico, che ha festeggiato in questo modo il suo quarantesimo anno di età.
L'idea può essere quanto mai assurda: celebrare la vita con un funerale sembra una contraddizione in termini, eppure i cosiddetti 'living funeral' sono sempre più richiesti in diversi Paesi al mondo, quale il Giappone, la Corea del Sud e i Paesi anglosassoni.
Si tratta, come suggerisce il nome stesso, di una celebrazione funeraria organizzata da chi è ancora in vita ma, sapendo di essere malato o molto anziano, preferisce congedarsi di persona da coloro che ama e con i quali ha condiviso la propria vita.
Samurai, dive e gente comune - In Giappone, dove è nato il fenomeno, queste celebrazioni sono dette seizensō, e si sono iniziate ad organizzare fin dagli anni Novanta anche se, secondo diversi esperti, potrebbero avere una origine molto più antica. Nell'epoca Edo, infatti, si aveva l'uso di celebrare i samurai che erano giunti alla fine della propria carriera con una sontuosa festa, durante la quale si ripercorrevano i momenti salienti della stessa.
Ai nostri giorni, invece, la moda è stata lanciata nel 1993 dalla cantante e attrice giapponese Takiko Mizunoe il cui seizensō venne trasmesso con grande enfasi in televisione.
La cerimonia si tenne presso il Tokyo Hotel di Tokyo dove vennero eseguiti brani di Chopin, canti gregoriani e canzoni religiose russe unitamente a preghiere tradizionali buddiste.
In un Paese caratterizzato da una popolazione molto anziana come il Giappone, queste celebrazioni sono in genere volute dalle persone avanti con gli anni per congedarsi dai propri cari e sollevare la famiglia dall'organizzare un altro funerale post mortem.
Con l'andare del tempo sono diventate anche un'occasione per poter riunire la famiglia e gli amici, circostanza che sembra accadere non così frequentemente, ed esprimere loro il proprio ringraziamento da vivi e condividere ricordi ed esperienze di vita comuni.
Il potere catartico di una “finta” morte - Anche in Corea del Sud, come detto, i living funeral hanno acquisito una propria importanza e, come stimato dall'agenzia di stampa britannica Reuters, dal 2012 al 2019 più di venticinque mila sudcoreani hanno partecipato a living funeral di massa, organizzati presso il centro Hyowon Healing a Seul.
«Una volta che diventi consapevole della morte, intraprendi un nuovo approccio alla vita», ha dichiarato la settantacinquenne Cho-Jae Hee che ha partecipato a un living funeral previsto all'interno di un programma di benessere organizzato per le persone anziane.
Durante queste celebrazioni le persone vengono fatte sdraiare in una bara per alcuni minuti, per avere tempo di metabolizzare l'importanza della cerimonia in corso, e riflettere su quanto fatto nella propria vita. Tale esperienza viene riportata come positiva anche dai giovani che prendono parte alla celebrazione: Choi Jin-kyu, studente universitario di ventotto anni, ha riferito a Reuters che tale tempo di meditazione lo aveva reso consapevole di vivere i propri rapporti interpersonali all'insegna della competitività, decidendo di avviare una propria attività piuttosto che inserirsi in un mondo del lavoro troppo alienante.
Se si considera che la Corea del Sud è afflitta dalla piaga dei suicidi giovanili, accostarsi precocemente al tema della morte e all'accettazione della propria vita, viene visto come molto positivo. Nel corso dei living funeral capita spesso che il protagonista della celebrazione senta l'esigenza di riconciliarsi con qualche parente o amico, o faccia ammenda dei propri errori, in una specie di attività catartica e propedeutica a una migliore accettazione del tema morte.
Anni fa, Jeong Yong-mun, direttore del Hyowon Healing, riuscì anche a far desistere dal proprio intento suicida molte persone deluse dalla propria esistenza. «È importante-ha dichiarato a Reuters-far sapere loro che contano e che ci sarebbero persone molto tristi se morissero. La felicità è nel presente».
Questo genere di celebrazioni, come facilmente intuibile, dividono l'opinione pubblica tra coloro che si dichiarano a esse favorevoli, e chi, invece, le critica considerandole come un rito inutile e macabro, volto solo a mettersi in mostra e attirare maggiore visibilità su di sé.
Un funerale, per celebrare la vita - L'idea di organizzare un living funeral può essere disturbante perché costringe le persone a fare i conti con il tema della morte che, inevitabilmente, condiziona la nostra eterna esistenza. Come esseri finiti e non immortali sappiamo che arriverà il momento di morire ma, per un naturale istinto di sopravvivenza, si cerca di rimandare il più possibile qualsiasi riflessione sul tema.
La cosa paradossale, è che la maggior parte di coloro che hanno preso parte a un living funeral parla di una celebrazione della vita, e non del suo contrario, come se servisse il simulare l'addio alla vita per rendersi conto dell'importanza di viverla in pienezza. Molte testimonianze sono positive e, a prescindere che si organizzi un funerale in vita perché consapevoli di essere malati o anziani o semplicemente come momento di riflessione, molte persone si dichiarano più consapevoli del proprio essere al mondo.
Nel 2019, un articolo della Bbc dava conto del fatto che si era iniziato a organizzare dei living funeral anche in Gran Bretagna come strumento per vivere in maniera più libera ed emotivamente coinvolgente l'idea della propria mortalità.
Uno dei primi ad approcciarsi in maniera positiva a questo tipo di funzioni è stato David Williamson, all'epoca guida spirituale del St.Leonard Hospice della città di York, che ha raccontato alla Bbc di aver celebrato funerali per oltre trent'anni e di essersi sempre stupito dell'amore e del rimpianto che accompagnano la morte di una persona cara.
«Spesso chiedevo "hai detto tutto questo alla persona quando era in vita?" E spesso mi dicevano di no» ha raccontato Williamson che si è spesso chiesto cosa si potesse fare perché le persone potessero parlarsi e riconciliarsi in vita. Georgia Martin è stata una pioniera del settore, e nel sito della sua società 'A Beautiful Goodbye', illustra tutte le opzioni disponibili per organizzare «un addio speciale che possa portare conforto a tutti».
Dal picnic in campagna a una cena informale nel proprio ristorante preferito, Georgia Martin promette ai propri clienti di poter avere «un'opportunità di ringraziare le persone che ami per il tuo ruolo nel viaggio della tua vita, ed esprimere il proprio affetto per loro e loro per te».
Dopo aver organizzato un primo funerale vivente diversi anni fa, ed essersi resa conto che la celebrazione aveva regalato un senso di pace e condivisione a tutti i partecipanti, la Martin si è convinta che i living funeral possano essere veramente utili per vivere in maniera più serena il distacco dai propri cari. «La gente - ha detto la Martin al Guardian - pensa che sia morboso. Immagina un funerale, in una chiesa con una bara e tutti vestiti di nero. Con un living funeral, però, nulla è scolpito nella pietra e puoi fare quello che vuoi».
«Mi sono sentita molto amata» - Della stessa idea sono le altra persone che hanno condiviso la propria esperienza in merito sulla rivista britannica. La trentaseienne Claire, affetta da un tumore al seno in stadio avanzato, ha deciso, dopo non poche titubanze, di organizzare tre distinti eventi: due con la famiglia e uno per gli amici. «Abbiamo avuto tre eventi durante l'estate dello scorso anno-ha raccontato la donna-tutti con il focus sul divertimento. Siamo andati a fare una passeggiata nel parco vicino a casa, organizzato un picnic e una degustazione di vini a casa nostra e a cena fuori (…) è stato bello vedere le persone che condividevano i loro ricordi, ma anche emozionante. Meriti di sentire quanto la gente ti ama prima di morire, dovrebbe diventare la norma».
Mille, un'ottantasettenne in buona salute, ha deciso di organizzare un living funeral dopo aver partecipato alla celebrazione funebre di un amico ed essersi resa conto che era un qualcosa di veramente impersonale.
«Ho avuto il living funeral in una bella giornata di sole di maggio nel frutteto di famiglia-ha raccontato la donna-mia figlia ha decorato gli alberi con dei nastri, e sparso petali di viola e lavanda sul terreno (…) abbiamo suonato i miei dischi preferiti, servito pasticcini e caffè danese con il servizio in porcellana ricevuto per le mie nozze. Mi è sembrata un'opportunità per condividere storie della mia vita e sono rimasta toccata da quanto tutti fossero interessati alle mie fotografie. Il living funeral mi ha dato la possibilità di condividere storie della mia vita che i miei amici non conoscevano. Mi sono sentita molto amata».